ZONE GRIGIE, Mattei, Moro, Gheddafi. Ma quale CIA: per la destabilizzazione bisogna guardare a Londra

La cosiddetta «guerra mediterranea» combattuta tra alleati della NATO, unitamente al «golpe inglese», sono vicende che Giovanni Fasanella ha avuto modo di analizzare accuratamente, sia come giornalista che come studioso. Egli le ha ripercorse il 1 luglio scorso di fronte alla Commissione parlamentare Affari esteri della Camera dei Deputati

«Io non mi meraviglierei se un giorno si scoprisse che spezzoni di servizi segreti di Paesi alleati avessero potuto avere interesse a mantenere alta la tensione in Italia e, quindi, a tenere basso il profilo geopolitico del nostro paese». (Francesco Cossiga)

Il senatore Giovanni Pellegrino nel tracciare un consuntivo dell’operato della Commissione parlamentare che aveva presieduto (quella terrorismo e stragi) manifestò amarezza, poiché quell’organismo non fu in grado di pervenire all’elaborazione di un documento conclusivo, ritenendo tuttavia che il buon lavoro svolto non dovesse disperdersi.

A questo scopo decise di scrivere un libro assieme allo stesso Fasanella e a Claudio Sestieri – “Segreto di Stato. Verità e riconciliazione sugli anni di piombo”, edito da Einaudi -, nel quale per la prima volta venne riportato tutto quanto accaduto in Italia a partire dal 1969 in poi, cioè dall’anno della strage di Piazza Fontana.

La “guerra mediterranea” combattuta tra alleati. A differenza di buona parte delle opere realizzate in passato sull’argomento, questa, seppure in forma ipotetica, affrontava il fenomeno del terrorismo e della connessa stabilizzazione non soltanto attraverso l’ottica del confronto bipolare tra i blocchi che caratterizzò quel periodo, ma anche in un altro contesto, quello della cosiddetta «guerra mediterranea».

Un contesto conflittuale nel quale secondo Fasanella il Paese sarebbe tuttora immerso.

Infatti, allora come oggi la guerra per il controllo del Mediterraneo verrebbe combattuta tra i maggiori membri della NATO, tutti Paesi «amici» e formalmente alleati dell’Italia in vari consessi.

Una guerra che, proprio in ragione della natura dei belligeranti, per lungo tempo è rimasta coperta da un alone di «indicibilità» in quanto imbarazzante.

Come si  sarebbe potuto rendere edotta l’opinione pubblica del fatto che, l’Italia da una parte e la Francia e la Gran Bretagna dall’altra, si facevano una guerra segreta senza esclusione di colpi che aveva quale posta in gioco il controllo delle fonti energetiche dei Paesi della sponda sud del bacino mediterraneo e nel Medio Oriente.

In passato Fasanella ha avuto modo di collaborare strettamente anche con il giudice istruttore Rosario Priore, titolare delle inchieste su molti misteri italiani, quali quelle su Ustica, il caso Moro e l’attentato al papa. Ebbene, anche questo magistrato fece trasparire la sua profonda amarezza per non essere riuscito a condurre fino in fondo le sue inchieste «a causa degli ostacoli che da più parti gli erano stati frapposti».

Nel libro scritto assieme a Fasanella – “Intrigo internazionale. Dalla strategia della tensione al caso Ustica”, editrice chiarelettere – egli volle dunque rendere noto all’opinione pubblica ciò che nel corso delle sue inchieste aveva intravisto ma che non aveva potuto provare, né scrivere in sentenze giudiziarie.

Il titolo provvisorio di questo saggio sul quale gli autori avevano iniziato a lavorare era “Il terzo giocatore”, che sottintendeva a un terzo protagonista esterno delle drammatiche vicende italiane, terzo rispetto ai due grandi protagonisti del confronto bipolare di allora, l’Unione Sovietica e gli Usa.

Un termine, quello ordinale, che andrebbe tuttavia inteso nella sua forma plurale, poiché afferirebbe a una serie di medie potenze anche «alleate» dell’Italia, ma con propri interessi specifici confliggenti in campo energetico, che quindi avevano tutto l’interesse a indebolire il Paese.

Francia e Gran Bretagna. Tra questi «strani amici» il giudice Priore indicava appunto la Francia e la Gran Bretagna.

Nel 2008 il quotidiano “La Repubblica” pubblicò un’inchiesta del giornalista Filippo Ceccarelli intitolata Il “golpe inglese”, che si basava su una serie di documenti ufficiali inediti rinvenuti dal ricercatore Mario Josè Cereghino negli archivi di Stato del Regno Unito di Kew Gardens.

Il filone non venne poi esplorato fino in fondo e non poche furono le reazioni venate di scetticismo da parte di ambienti diplomatici e intellettuali.

Lo scenario, collocabile alla metà degli anni Settanta, era quello di un intervento esterno in Italia nel caso i comunisti si fossero affermati politicamente avvicinandosi troppo al potere.

Il colpo di stato programmato dai britannici per i primi mesi del 1976 costituiva l’opzione «A», poiché era stata concepita e pianificata anche un’opzione «B», che prevedeva l’appoggio esterno a una diversa azione sovversiva mirante al blocco dell’azione politica di Aldo Moro.

In cosa consistesse questa diversa azione sovversiva si comprende meglio dai risultati dell’analitica ricerca condotta negli scorsi anni – anche e soprattutto – sulle fonti ufficiali britanniche.

Dalla documentazione emerge infatti chiaramente il ruolo di influenza esercitato dalle strutture di Londra, ma non solo, poiché vi furono anche vere e proprie ingerenze.

Gran parte dell’attività clandestina dell’intelligence britannica di allora era ovviamente rivolta al contrasto dell’avversario ideologico e militare, cioè il comunismo sovietico e dei satelliti di Mosca, tuttavia, a differenza di quanto fecero gli Stati Uniti d’America, secondo Fasanella l’azione di Londra si concentrò in funzione di contrasto della politica mediterranea italiana.

Gli idrocarburi del Medio Oriente. Si voleva annichilire l’attivismo di un paese sconfitto nella Seconda guerra mondiale e sottoposto a dei vincoli che, malgrado ciò, nei decenni della seconda metà del secolo si era risollevato avviando una politica estera autonoma nella regione fino a divenirne una potenza importante, in alcuni periodi addirittura emarginando le presenze britannica e francese.

Soft Power e propaganda occulta si confermano dunque per Londra fondamentali strumenti per condizionare l’obiettivo principale, che è l’Italia, una pratica aperta fin dall’immediato dopoguerra, cioè da quando allo specifico scopo vennero arruolati giornalisti, sindacalisti e politici.

«In molte parti del mondo la minaccia dell’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi, n.d.r.) si sviluppa nell’infondere una sfiducia latente nei confronti delle maggiori compagnie petrolifere occidentali, a scapito degli investimenti e degli scambi delle imprese britanniche», questo si legge in un rapporto redatto nell’agosto 1962 dal Ministero dell’Energia britannico, pochi mesi prima che Enrico Mattei venisse assassinato.

Negli archivi britannici sono presenti centinaia di documenti dai quali emerge con chiarezza l’irritazione del Governo di Londra nei confronti della politica di Mattei, sentimento che induce la British Petroleum (BP) a suggerire all’esecutivo di Londra la fallacità dei metodi di persuasione fino a quel momento adottati e, quindi, «a passare la pratica all’intelligence».

Seppure Fasanella non si azzardi a stabilire nessun rapporto meccanico di causa-effetto tra questa decisione e la tragica fine del presidente dell’ENI.

Dopo Mattei fu la volta di Aldo Moro, continuatore della politica mediterranea del primo, egli gestì la politica estera italiana per un decennio, rendendo l’influenza del Paese nella regione ai livelli più alti, soprattutto a seguito del colpo di stato dell’estate 1969 in Libia, che abbatté la monarchia senussa del filo-britannico re Idris portando al potere il colonnello Muhammar el-Gheddafi.

In un memorandum britannico risalente a quella precisa convulsa fase, redatto dal funzionario Kevin McLaren, inviato nei mesi precedenti da Londra in Italia allo scopo di valutare le cause dell’inefficacia della propaganda occulta, si afferma che «tutti gli sforzi da noi profusi hanno ottenuto il medesimo effetto di una pallina da ping pong scagliata contro Golia e, forse, è arrivato il momento di passare ad altri metodi e… speriamo che il nostro ambasciatore a Roma non abbia da ridire».

La parte del documento nel quale si fa riferimento al genere di metodi altri ai quali ricorrere risulta però oscurata è permane un segreto di Stato.

Al riguardo della vicenda di Aldo Moro, Fasanella nell’occasione ha avuto modo di citare il punto di vista di Rino Formica, parlamentare socialista della cosiddetta «prima Repubblica» che a suo tempo tentò di spiegare i perché in Italia non fosse impossibile pervenire né a una verità giudiziaria né a una verità storica completa che su di essa fosse esaustiva.

Egli ne rinvenne le cause nel fatto che: «La verità storica – parole di Formica – metterebbe in evidenza la sovranità limitata per interferenze abusive e rivelerebbe episodi di guerra non convenzionale combattuta sul nostro territorio».

L’uomo politico socialista quindi aggiunse: «Nella divisione post-Yalta l’Italia fu terra di guerra fredda accettata», ma guerra calda subita.

Il “golpe inglese” e le pressioni tedesche. Tornando al fatidico 1976, va registrato che nel primo semestre di quell’anno una commissione segreta del Governo di Sua Maestà britannica composta da quindici membri, metà alti funzionari del ministero della difesa e metà del Foreign Office, elaborò i progetti di colpo di stato in Italia che poi discusse con statunitensi, tedeschi dell’Ovest e francesi, cioè i quattro Paesi più influenti dell’Alleanza atlantica, ipotesi però bocciata da Washington.

Gli americani misurarono per bene le cose: nel Paese erano presenti e attive una sinistra molto forte (non solo comunista, ma anche socialista), organizzazioni sindacali molto radicate, dunque era prevedibile una reazione al golpe che avrebbe provocato un bagno di sangue, con un conseguente enorme danno di immagine per l’Alleanza atlantica.

Bonn si associò alla posizione di Washington – al contrario della Francia di Giscard d’Estaing, che invece sostenne il progetto di Londra -, seppure, mediante una dichiarazione ufficiale del proprio cancelliere Helmut Schmidt, minacciando chiaramente il blocco di ogni sostegno finanziario all’Italia – che in quella fase versava in condizioni di dissesto economico, con parte delle riserve auree della Repubblica date in pegno alla RFT al fine di ottenere dei prestiti – qualora nel Governo della Repubblica italiana fossero entrati a far parte esponenti del Partito comunista. Era il 13 luglio 1976, all’indomani del Vertice internazionale di Portorico.

Un mese prima il Partito comunista italiano aveva conseguito il 34% dei consensi alle elezioni per il Parlamento europeo, mentre sedici giorni dopo sarebbe stato varato il terzo governo Andreotti, che sarebbe rimasto in carica fino all’11 marzo del 1978, cioè cinque giorni prima dell’agguato teso in Via Mario Fani ad Aldo Moro e alla sua scorta.

Quell’estate venne dunque accantonato il famigerato «piano A», concepito per contrastare le politiche di Aldo Moro, tuttavia per gli alleati permase comunque ancora esplorabile l’ipotesi relativa al «piano B», quello consistente nel sostegno a una diversa azione sovversiva a danno degli elementi ritenuti ostili.

Strane cose accaddero in quegli stessi mesi, per esempio quelle riportate nel suo saggio “L’Anello della Repubblica: la scoperta di un nuovo servizio segreto, dal fascismo alle Brigate rosse”, da un’altra esperta di destabilizzazione e zone grigie, Stefania Limiti.

Scrisse la Limiti trattando l’oscuro caso della fuga dall’Ospedale militare del Celio del criminale di guerra Herbert Kappler, avvenuta il 15 agosto 1977:

«Il Bel Paese già dal 1976 si trovava in una fase politica molto delicata. Dopo il vertice del G7 di Portorico, i grandi dell’Occidente – Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti – avevano messo in guardia l’Italia: non sarebbero stati accettati cambiamenti della tradizionale linea di politica estera. C’era già odore di compromesso storico e la Democrazia cristiana, costantemente sotto la lente di osservazione di Washington, non poteva permettersi di alzare troppo l voce di fronte alle insistenti richieste di un alleato come la Germania, dove il ritorno a casa di Kappler non lasciava affatto indifferente l’opinione pubblica».

Per restare alla politica mediterranea italiana e agli attriti che essa generò anche e soprattutto tra alcuni Paesi «alleati» all’interno della NATO, insidertrend.it rinvia anche alla lunga intervista con Stefania Craxi, nella quale, partendo dalla vicenda dell’Achille Lauro, che vide tra i protagonisti suo padre (a quel tempo Presidente del Consiglio dei ministri), si affronta anche il tema del ruolo di media potenza mediterranea svolto dall’Italia nel passato.

A186 – POLITICA, BETTINO CRAXI: 34 ANNI FA L’ACHILLE LAURO E SIGONELLA. A insidertrend.it STEFANIA CRAXI parla della vicenda e dello scontro fra suo padre, allora Presidente del Consiglio dei ministri, e l’Amministrazione Usa guidata da Ronald Reagan.

Le dinamiche e i protagonisti; l’oscuro coté che agì per condizionare gli eventi, a cominciare da Michael Ledeen, l’amerikano consigliere dei servizi segreti statunitensi che era in rapporti col gran maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli e già noto in Italia per avere affiancato il ministro dell’Interno Francesco Cossiga nel corso dei drammatici cinquantacinque giorni del sequestro di Aldo Moro.

Stefania Craxi affronta inoltre i controversi aspetti della fine della Prima Repubblica, inclusa la vicenda occorsa a suo padre.

Essa afferma che in quella manciata di anni, un Paese sovrano che in precedenza era stato avviato verso una relativa autonomia in politica estera, con un proprio progetto di pace nella regione del Mediterraneo e nei Balcani, vide buona parte della propria classe politica scomparire dalla scena falcidiata dalle inchieste giudiziarie.

E poi la svendita delle imprese di Stato cedute ai privati spesso “prezzi di saldo”. Crollato il Muro di Berlino l’Italia passava dunque alla fase dello strapotere del turbocapitalismo finanziario nel quadro di una globalizzazione fino a quel momento anestetizzata dal confronto col blocco comunista, un globalizzazione alla quale, a torto, la propaganda delle lobby attribuiva poteri salvifici per l’umanità.

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