INTELLIGENCE, addetti militari. La «sottile linea rossa» tra le spie e le «feluche»

di Vittorfranco Pisano (*), Colonnello dello US Army (Ris), già Rettore del Multinational Intelligence Studies Campus di Lugano, articolo pubblicato su “Rivista Marittima” nel marzo 2014 – La figura dell’Addetto militare, qui considerata senza riferimento alla specifica nazione d’invio, rientra in un contesto che abbraccia elementi d’intelligence e di diplomazia. Pertanto, l’inquadramento di questa figura richiede una preliminare, ancorché sintetica, illustrazione di entrambe le istituzioni e, in particolare, dei loro punti di convergenza.

Intelligence e diplomazia sono istituzioni, a pieno titolo, del sistema statale odierno. Contemporaneamente, esse rientrano fra gli strumenti del potere nazionale – il quale è situazionale, quindi mutevole – per l’attuazione della politica estera e di Sicurezza nazionale.

Ne segue che i termini intelligence e diplomazia indicano, alternativamente, funzioni

istituzionali e il complesso di organi a esse preposto.

Storicamente intelligence e diplomazia evolvono grosso modo pari passo. In forma rudimentale entrambe hanno origini antichissime, addirittura pre-bibliche.

In forma relativamente moderna l’intelligence emerge con la Repubblica di Venezia e la diplomazia con le città-stato della penisola italica del tardo 1400, mentre in forma moderna entrambe sorgono nel 1800, quindi, in forma contemporanea esse acquistano le rispettive fisonomie nel 1900; l’intelligence, più particolarmente, con la Seconda guerra mondiale e la Guerra Fredda.

La diplomazia, talvolta erroneamente confusa nell’uso del termine con la politica

estera, è l’arte di trattare per conto dello Stato affari di politica internazionale. Tant’è vero che in dottrina la negoziazione per raggiungere intese è indicata come lo scopo primario della diplomazia, la quale abbraccia l’insieme dei procedimenti per il tramite dei quali uno Stato mantiene le normali relazioni con altri soggetti di diritto internazionale. Tutto ciò al fine di contemperare interessi contrastanti e favorire la reciproca collaborazione per soddisfare comuni bisogni o interessi.

L’intelligence è spesso qualificata come la dimensione taciuta della storia diplomatica e delle relazioni internazionali poiché i suoi successi sono raramente rivelati a causa dell’intrinseca riservatezza che ne caratterizza l’attività.

Molto esposti e criticati sono invece – specialmente in esternazioni politiche di

parte e ricostruzioni giornalistiche – i fallimenti dell’intelligence, sia quelli effettivi sia

quelli supposti.

La condotta della diplomazia comporta strutture e organi (con relative gerarchie e

branche), procedure, preparazione e capacità culturale e professionale e, ovviamente, attori. Lo stesso è palesemente vero per quanto riguarda l’intelligence.

Nelle sue dinamiche la diplomazia ha inevitabilmente subito e subisce l’impatto dei sistemi di comunicazione e di trasporto tecnologicamente avanzati e, parimenti, delle emerse o emergenti problematiche e sfide globali.

Il predetto progresso tecnologico ha, fra l’altro, influito sul ruolo degli attori in quanto il ripetitivo coinvolgimento diretto del Capo di Stato o di governo, oppure del ministro degli Esteri, ha ridimensionano la classica figura dell’Ambasciatore.

A loro volta, le nuove sfide e problematiche globali hanno necessitato la presenza, nel contesto diplomatico e delle relazioni internazionali, di specialisti non organici al corpo diplomatico e al dicastero degli Affari Esteri.

L’intelligence, con i sui organi, svolge tre funzioni:

1) la raccolta – sotto forma aperta o clandestina, nel secondo caso comunemente

denominata spionaggio – e l’analisi d’informazioni;

2) la contro-intelligence, che abbraccia misure di sicurezza passive e attive per contrastare spionaggio, sovversione, sabotaggio e altri atti ostili progettati o posti in essere da entità statali straniere o da singoli attori nazionali o stranieri;

3) le operazioni coperte (covert action, secondo l’abituale dizione – al singolare – in lingua inglese), che mirano a influenzare condizioni politiche, economiche o militari all’estero senza esporre o mettere in evidenza il ruolo dello Stato che le conduce e includono assistenza politica e/o economica segretamente resa a diversi destinatari,

propaganda e operazioni paramilitari.

Delle predette tre funzioni la prima è sempre fondamentale, predominante e propedeutica alle altre due. La terza è la meno frequente e soggetta a variabilità dipendendo dal Paese che la pratica.

In questi tre settori o funzioni è riscontrabile la parziale sovrapposizione o, meglio, il

concorso degli organi d’intelligence e della diplomazia. In quanto la cognizione è imprescindibile per l’esercizio del potere dello Stato e il perseguimento degli interessi e valori nazionali, la raccolta e analisi di notizie viene svolta sia dall’intelligence sia dalla diplomazia ricorrendo con enorme frequenza a fonti di pubblico dominio costituite, appunto, dalla OSINT, ovvero open source intelligence, cioè la disamina di fonti aperte di derivazione mediatica, istituzionale, accademica, scientifica, imprenditoriale o professionale. Si calcola che tra l’80 e il 90% delle informazioni sia disponibile nel pubblico dominio.

I servizi d’intelligence acquisiscono informazioni altresì per il tramite di due ulteriori

strumenti. Il primo è la HUMINT, ovvero human source intelligence, che riguarda informazioni raccolte e provenienti da fonti umane. Il secondo sono i mezzi tecnologici di ricerca.

Gli organi diplomatici procedono a loro volta autonomamente via HUMINT, ma sono contemporaneamente utenti delle informazioni provenienti – e condivise – dai servizi d’intelligence che impiegano metodi speciali a loro peculiari e dispongono di

strumenti tecnologici.

Analogamente agli appartenenti agli organi d’intelligence, quelli del corpo diplomatico necessitano di una preparazione specifica nella raccolta HUMINT e debbono far fronte all’esigenza di produrre informazioni tempestive, precise, pertinenti e continuative, anche se le notizie utili in alcuni campi o materie di alta sensibilità pervengono in modo tendenzialmente rapsodico e frammentario. Le stesse rappresentanze diplomatiche sono materialmente sedi di raccolta informativa e simultaneamente forniscono copertura operativa a personale organico ai servizi d’intelligence.

Le informazioni, innegabilmente inutili se non valutate e correlate ad altre, sono soggette a procedimenti analitici che avvengono sia a livello della direzione nazionale d’intelligence sia a livello del Dicastero degli Affari Esteri.

Parimenti alla raccolta e analisi d’informazioni, la contro-intelligence viene svolta sia

dai servizi d’intelligence sia dalla diplomazia, nel secondo caso nel contesto di misure di sicurezza sostanzialmente passive cioè, a titolo esemplificativo, accorgimenti per prevenire l’accesso non autorizzato alle strutture sensibili; il trattamento e la salvaguardia delle informazioni classificate, particolarmente fonti e documenti; briefings al personale sul comportamento in caso di contatti sospetti, sul contro-reclutamento, sui metodi di segnalazione preventivi, sulle misure protettive

personali et alia; e la sicurezza delle comunicazioni, che comporta l’uso di codici e cifre e la disciplina di trasmissione.

Non di meno, viene curata la verifica dell’idoneità degli aspiranti e di tutto il personale diplomatico per l’indispensabile rilascio e rinnovo del nulla osta di sicurezza per l’accesso a informazioni classificate e infrastrutture protette, nonché l’imposizione di norme di comportamento, proibizioni incluse, riguardanti rapporti personali, frequentazioni e viaggi.

Anche la terza funzione dell’intelligence, la predetta covert action, è per certi versi direttamente o analogicamente riscontrabile nella condotta della diplomazia.

Risaltano tre fattispecie, la prima delle quali sono le intese segrete tra Stati raggiunte per via diplomatica.

Queste intese possono, fra l’altro, riguardare vari tipi di assistenza o sostegno da eseguirsi per il tramite di organi d’intelligence.

La seconda fattispecie concerne particolari casi e circostanze da cui derivano l’assenza di rappresentanze diplomatiche o la mancanza di piene relazioni diplomatiche.

Si tratta della cosiddetta diplomazia non convenzionale, ovvero il ricorso a sezioni d’interessi istituite presso compiacenti ambasciate di Paesi terzi, a uffici di rappresentanza con personale privo di status diplomatico oppure a uffici consolari che svolgono altresì funzioni più vaste di natura diplomatica. Tali strumenti suppletivi permettono la prosecuzione di relazioni bilaterali di politica estera senza far ufficialmente figurare i canali diplomatici che le curano.

Nei casi di relazioni particolarmente tese, i contatti avvengono in modo ancora più indiretto servendosi di uffici culturali, commerciali o turistici; agenzie di viaggio; missioni scientifiche e di altra natura; o corrispondenti stampa.

La terza e ultima fattispecie comprende abusi a vari livelli dello status diplomatico,

ovvero l’uso improprio dell’immunità per quanto riguarda il personale, le sedi e il corriere diplomatico.

Da notare che nel caso di Paesi alleati o amici l’accreditamento diplomatico viene consapevolmente e volutamente concesso anche a personale addetto all’intelligence nell’interesse dei collegamenti fra servizi.

Considerati i numerosi punti di convergenza tra intelligence e diplomazia, eventuali carenze premonitorie riguardanti rischi e minacce in materia di relazioni internazionali e Sicurezza nazionale non ricadono necessariamente e unicamente sui servizi d’intelligence.

Premesso quanto precede, come s’inquadra la figura dell’Addetto militare?

Gli Addetti militari, anche denominati «Addetti alla Difesa», sono ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica assegnati alle missioni diplomatiche del proprio Paese per promuovere collegamenti con le Forze Armate della nazione dove accreditati e per raccogliere informazioni attinenti a questioni relative alla Difesa.

L’ufficio dell’Addetto militare può essere composto da uno o più ufficiali delle tre Armi assistiti da coadiutori.

Le prime assegnazioni di Addetti militari risalirebbero al 1700 a opera della Francia.

Napoleone Bonaparte ne istituzionalizzò la prassi nel secolo successivo.

Dipendendo dagli Stati e ordinamenti di appartenenza, gli Addetti militari provengono unicamente dall’intelligence militare, come nel caso del GRU sovietico, oppure sia dall’intelligence militare sia dalle varie componenti delle Forze Armate, prassi adottata, per esempio, dagli Stati Uniti d’America.

La missione dell’Addetto militare, come usualmente descritta, consiste nell’osservare e riferire informazioni militari e politico-militari, rappresentare il Dicastero della Difesa e le Forze Armate, gestire i programmi di assistenza militare e di vendite militari all’estero e consigliare l’Ambasciatore su questioni militari e politico-militari.

In effetti, l’Addetto militare è un ufficiale con compiti d’intelligence (intelligence officer in lingua inglese) e, più dettagliatamente,le sue mansioni includono:

  • identificare fonti umane ritenute in condizione di fornire informazioni a livello di intelligence e ottenerne la collaborazione;
  • identificare e sfruttare opportunità di raccolta in occasione di eventi militari, fiere

commerciali, simposi, conferenze, riunioni et similiter;

  • raggiungere aree di specifico interesse per osservare, fotografare e riferire informazioni di cui necessitano i decisori/utenti istituzionali;
  • identificare, stabilire contatti e restare in collegamento con ufficiali stranieri i quali, in ragione del grado, collocamento o incarico, possono potenzialmente fornire informazioni o raggiungere posizioni di leadership;
  • acquisire e approfondire la conoscenza dell’area geopolitica ove assegnato onde osservare e riferire sviluppi politici, sociologici, psicologici ed economici potenzialmente utili per valutare piani militari, capacità, intenzioni e stabilità di governi stranieri e delle relative Forze Armate;
  • assistere, a seguito d’identificazione e accesso, nell’acquisizione e sfruttamento di

equipaggiamento e materiale straniero.

Ai fini dell’addestramento per l’incarico e a seconda dell’impostazione dello Stato d’invio, possono rientrare nel corso di formazione per gli Addetti militari, a prescindere dall’Arma di appartenenza o specializzazione, le seguenti materie:

  • il sistema Addetti militari: inquadramento strutturale, gerarchico e operativo del sistema; gestione dell’ufficio dell’Addetto militare; aspetti amministrativi, logistici e di sicurezza;
  • l’ambiente operativo: il corpo diplomatico (principi e compiti di rappresentanza;

immunità diplomatica e reciprocità; comportamenti protocollari, cerimoniali e sociali); struttura e funzioni della missione diplomatica; rapporti con il capo missione; rapporti con altri membri della missione, incluso l’eventuale personale di enti d’intelligence operante dall’Ambasciata e il personale responsabile per la sicurezza della missione diplomatica;

rapporti con l’ufficio di collegamento della nazione accreditante;

confronto con atteggiamenti critici od ostili riscontrabili nell’ambiente operativo.

  • Ricerca e raccolta d’informazioni: categorie e sfruttamento di fonti aperte disponibili; tecniche e processi mnemonici; metodiche per l’identificazione, valutazione, acquisizione e utilizzo delle fonti umane; tecniche di osservazione (persone, beni immobili e mobili, eventi); tecniche di raccolta (note, schizzi, fotografie); tecniche per estorcere informazioni; rapporti tra l’ufficio dell’Addetto militare e altri organi di raccolta assegnati alla missione diplomatica; metodi di contrasto dell’inganno; metodiche di confronto con le autorità della nazione ospitante; elementi di psicologia umana;
  • composizione e stesura di rapporti/resoconti d’intelligence: tipologie e procedure;
  • sicurezza: principi e tecniche di protezione e identificazione e analisi dei rischi e pericoli;
  • preparazione geopolitica e culturale e formazione linguistica relative all’incarico;
  • aspetti militari e tecnologici del commercio estero.

Tanto dalle funzioni d’intelligence sopra elencate quanto dalla natura della preparazione per l’incarico, emerge il fatto che la raccolta d’informazioni da parte dell’Addetto militare può svolgersi apertamente o con metodologie clandestine. Influiscono in tal senso la natura dei rapporti intercorrenti tra lo Stato ove assegnato e quello di invio e il grado di apertura politico-sociale dell’ambiente.

Quando lo Stato di invio è anche un esportatore di armamenti, l’Addetto militare deve spesso dedicare altrettanto tempo alla promozione della vendita delle armi quanto alla raccolta d’intelligence militare.

Sebbene gli Addetti militari non appartengano organicamente al corpo diplomatico,

viene loro concesso dallo Stato accreditante lo status diplomatico con le relative immunità e privilegi a titolo di cortesia e di reciprocità. Pertanto, le disposizioni della

Convenzione di Vienna sulle Relazioni Diplomatiche del 1961 riguardano parimenti gli Addetti militari.

Ne segue che l’Articolo 3 della Convenzione estende anche a loro la facoltà di informarsi «con ogni mezzo lecito» delle condizioni e dell’evoluzione degli avvenimenti nello Stato accreditante e fare rapporto a tale riguardo allo Stato d’invio.

Come gli appartenenti al corpo diplomatico facenti parte della missione, gli Addetti

militari sono soggetti all’espulsione per violazioni dello status diplomatico, seppure talvolta le accuse siano artefatte.

Nel corso dell’incarico numerose sono le effettive o potenziali problematiche con le

quali l’Addetto militare deve o potrebbe doversi confrontare. Segue una panoramica a titolo esemplificativo.

Un primo problema può essere costituito da un’insufficiente preparazione o predisposizione culturale e linguistica per l’ambiente geopolitico e sociale, specialmente se l’Addetto non possiede una pregressa esperienza d’intelligence militare o d’interazione con elementi stranieri.

Nonostante l’addestramento per svolgere la raccolta d’informazioni anche con dinamiche clandestine, il compito ufficiale dell’Addetto militare è quello di un collettore palese (overt collector in lingua inglese). Lo specifico ruolo assegnatoli e la nota preparazione impartitagli dallo Stato di invio comportano l’imposizione di limitazioni di movimento da parte dello Stato presso il quale accreditato.

Sia il tentativo di contravvenire a tali limitazioni sia la violazione delle norme diplomatiche in generale può comportare il rischio di espulsione e consequenziale imbarazzo per lo Stato d’invio.

Situazioni ulteriormente problematiche possono emergere quando l’Addetto militare – persona particolarmente soggetta al monitoraggio delle Autorità nazionali locali – presta servizio in un Paese ostile.

La sfruttabilità della sua immagine lo espone tanto a turbative, onde limitarne l’efficienza e il raggio di azione, quanto ad accuse artefatte, a fini propagandistici, di violare lo status diplomatico.

Anche i rapporti con il Capo missione – ambasciatore o Incaricato di affari – e con il personale della missione diplomatica in generale possono essere fonte di difficoltà attribuibili a vari fattori. Sono annoverabili la comune collocazione di elementi provenienti da formazione, mentalità e trascorsi diversi; l’eventuale mancanza di apprezzamento unilaterale o reciproco per le rispettive funzioni; riscontrabili atteggiamenti «classisti» di categoria professionale; e percezioni o reazioni non omogenee in materia di sicurezza.

Comportamenti altezzosi o concorrenziali da parte di altri organi informativi o di sicurezza assegnati alla missione diplomatica possono a loro volta rendere più arduo lo svolgimento dei compiti dell’Addetto militare e del suo ufficio.

Quando il Paese d’invio dell’Addetto militare mantiene nello Stato ospitante (più noto come host nation) altresì la presenza di corpi di truppa, ovvero contingenti delle proprie Forze Armate, possono verificarsi interpretazioni errate e generatrici di confusione riguardanti il ruolo dell’Addetto militare e quello del Comandante di detti corpi e dei rapporti tra i due.

Inoltre, sempre a causa delle proprie funzioni e visibilità della sua figura spesso soggette a percezioni fallaci, l’Addetto militare deve essere costantemente consapevole dell’attivo interessamento da parte dei mass media sovente politicizzati.

Su un altro versante, l’Addetto militare deve essere ugualmente pronto a valutare approcci da parte di aspiranti informatori, o sedicenti tali, non sollecitati.

Delicati possono rivelarsi, infine, i rapporti con gli Addetti militari di altre nazioni accreditati nello stesso Stato, i quali potrebbero rispecchiare origini ed esprimere atteggiamenti nei confronti dei quali considerevole deve essere l’esercizio del tatto e della cautela.

Pur in presenza delle sfide e dei rischi che questo delicato incarico comporta e che, per sua natura, è passibile di mancato o limitato riconoscimento per l’impegno e per il sacrificio di chi lo svolge con dedizione, il ruolo dell’Addetto militare costituisce uno dei pilastri su cui poggia l’attività d’intelligence non solo nel contesto militare, ma anche in quello diplomatico.

Bibliografia

  1. R. Berridge, Diplomacy: Theory and Practice, Palgrave, New York, 2002.
  2. Evans & J. Newman, The Penguin Dictionary of International Relations, Penguin Books, Londra, 1998.
  3. Krieger, Storia dei Servizi Segreti: Dai Faraoni alla CIA, Mimesis, Milano, 2013.
  4. C. Lowenthal, Intelligence: From Secrets to Policy, Sage, Los Angeles, 2012.

(*) Vittorfranco Pisano, Colonnello dello US Army (Ris), già Rettore del Multinational Intelligence Studies Campus di Lugano, Confederazione Elvetica; in precedenza ha ricoperto numerosi incarichi di natura internazionale; tra le sue opere monografiche si annovera “Italia e Stati Uniti, Terrorismo e disinformazione” (Ed. Nuova Cultura, Roma, 2016).

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