Il broker Gianluigi Torzi, cittadino italiano coinvolto nella intricata vicenda dell’acquisto di un immobile di pregio a Londra da parte della Segreteria di Stato vaticana, è stato arrestato dalle autorità di oltre Tevere con l’accusa di estorsione, peculato, truffa aggravata e autoriciclaggio.
Tra l’acquisto in sé e il debito gravante sull’immobile, il complessivo impegno di natura finanziaria assunto in Vaticano si aggira intorno ai 300 milioni, una vicenda che aveva provocato una crisi istituzionale al di là delle Mura leonine, portando a sei sospensioni.
Ora “la svolta”, avvenuta con l’arresto di Gianluigi Torzi, il broker di origini molisane residente a Londra, arrestato al termine dell’interrogatorio avvenuto in Vaticano dalla Gendarmeria pontificia, che lo ha trattenuto nei locali della sua caserma.
Torzi, che rischia una pena fino a dodici anni di carcere, nella giornata di ieri si era recato il Tribunale vaticano accompagnato dai suoi legali per essere ascoltato nel quadro delle indagini in corso sull’acquisto dello stabile londinese sito in Sloane Avenue, nel quale la Segreteria di Stato vaticana aveva investito 200 milioni, 140 destinati alla compravendita dell’immobile e i rimanenti in altre forme di impiego correlate.
L’arresto oltre Tevere. La Sala stampa della Santa Sede ha dato notizia dell’arresto attraverso un comunicato diffuso nella serata dello stesso giorno. Da esso si apprende che il mandato di cattura nei confronti di Torzi «a firma del Promotore di Giustizia, professor Gian Piero Milano, e del suo aggiunto avvocato Alessandro Diddi, è stato emesso in relazione alle note vicende collegate alla compravendita dell’immobile londinese che hanno coinvolto una rete di società in cui erano presenti alcuni funzionari della Segreteria di Stato».
Torzi curò il passaggio dell’immobile di Londra dal Fondo Athena – controllato da Raffaele Mincione, nel quale la Segreteria di Stato aveva investito 200 milioni di dollari nel 2013 – a una società controllata al 100% dal Vaticano. Quando l’operazione immobiliare fu ristrutturata, l’intermediazione di Torzi venne liquidata con dieci milioni di euro.
L’immobile di Sloane Avenue. Fra il 2011 e il 2012, la prima Sezione della Segreteria di Stato, a capo della quale dal 2009 è stato posto monsignor Alberto Perlasca, decise di investire su un immobile di lusso, quello di Sloane Avenue 60, nel prestigioso quartiere londinese di Chelsea.
L’immobile era gestito dalla società 60 SA e la Segreteria di Stato vaticana ne sottoscrisse l’acquisto per 160 milioni di dollari con il fondo lussemburghese Athena del finanziere Raffaele Mincione, che funse da intermediario.
Quando il fondo Athena venne liquidato – tra la fine del 2018 e la primavera del 2019 – alla Santa Sede non venne tuttavia restituito l’investimento, con la conseguenza che avrebbe rischiato di perdere l’intera somma se non avesse acquistato l’edificio.
Sulla base della ricostruzione della Giustizia di oltre Tevere, Torzi era intervenuto nel passaggio da Athena a un altro fondo controllato al 100% dalla Santa Sede, ma in un intricata cornice di schemi e schermi societari che non facevano figurare il Vaticano tra gli acquirenti, mentre veniva esaltato il ruolo del mediatore.
Un modo, sempre secondo l’accusa, per incrementare il prezzo del bene in cessione, la situazione alla quale farebbe riferimento il comunicato della Sala stampa vaticana parlando di «una rete di società nella quale erano presenti alcuni funzionari della Segreteria di Stato».
La Segreteria di Stato. Torzi avrebbe trattenuto 1.000 azioni dell’immobile all’insaputa della Santa Sede, le uniche che attribuivano il diritto di voto.
Secondo la versione ufficiale del vaticano fu la stessa Segreteria di Stato a verificare le incongruenze emergenti dall’affare. Infatti, l’accordo tra il fondo Athena e il broker molisano era stato concluso il 22 novembre del 2018, ma già cinque giorni dopo era stato recapitato ai vertici della Segreteria di Stato un testo, pubblicato poi dal Corriere della Sera, nel quale si poneva in luce come il Torzi sedesse nel consiglio della Gutt, società lussemburghese che aveva rilevatola proprietà del palazzo per conto del Vaticano insieme all’avvocato Michele, intendente di Ernst&Young (che però agiva in proprio) e Fabrizio Tirabassi, officiale della Segreteria di Stato, persona che ora figura tra gli indagati.
L’ipotizzata «trattativa». La nota stampa emessa ieri rileva anche che «Credit Suisse è il principale operatore bancario della Segreteria di Stato dopo la chiusura del rapporto con BSI, su disposizione del Cardinale Pell”. Si legge anche che Credit Suisse ha accesso “un conto corrente ad hoc intestato a Gutt in seguito al buon esito della due diligence svolta sulla società e sul dottor Torzi», nonostante i dubbi, dunque, il Torzi venne inizialmente considerato affidabile.
Tuttavia, una delle ipotesi – al momento non ufficiali – al vaglio della Giustizia vaticana è quella che, trovatasi in una situazione di impasse, la Segreteria di Stato avrebbe cercato di pattuire con il broker l’uscita dall’affare liquidandolo con quindici milioni di euro anziché venti, quelli che egli aveva preteso inizialmente.
Allora, infatti, la Segreteria di Stato non aveva acquistato direttamente lo stabile, sottoscrivendo invece le quote del fondo facenti capo al Mincione.
Un complicato passaggio della vicenda. La Segreteria di Stato vaticana era l’unico investitore del fondo (200 milioni di dollari), la cordata di azionisti riconducibile a Retelit (il cui 40% apparteneva ad Athena) per il tramite di Fiber 4.0, per conto della quale Giuseppe Conte (che poi sarebbe divenuto il futuro Presidente del Consiglio dei ministri italiano) emise un parere giuridico secondo il quale «il voto dell’assemblea dei soci sulla nomina del consiglio di amministrazione avrebbe potuto essere impugnato dal Governo per mezzo della golden power», uno specifico potere di intervento conferito all’esecutivo su quelle società che vengono considerate di importanza strategica.
La segnalazione all’Autorità di Informazione Finanziaria (Aif). Il sostituto della Segreteria di Stato, arcivescovo Edgar Pena Parra, segnalò all’Aif l’operazione rilevando non piena trasparenza nella movimentazione del denaro.
L’Aif consultò cinque Uif estere e bloccò quindi l’acquisto, comunicando la decisione sia alle autorità britanniche che alla Segreteria di Stato vaticana.
Ma il contratto obbligava la Segreteria all’acquisto, l’Aif ristrutturò l’investimento escludendo gli intermediari al fine di ridurre la spesa che avrebbe dovuto sostenere la Santa Sede.
Vennero richieste allo Ior risorse sufficienti per chiudere il vecchio mutuo e consentirne l’apertura di uno nuovo, così da concludere l’acquisto, risorse che vennero però negate dal Torrione, che a sua volta interessò l’Ufficio del revisore generale diretto ad interim da Alessandro Cassinins Righini e venne dunque informato il Promotore di Giustizia vaticano.
La denuncia per scarsa chiarezza dei fondi nell’operazione da parte della Segreteria di Stato venne inoltrata il 2 luglio 2019 dal direttore generale dello Ior Gianfranco Mammì, previo diretta informazione del pontefice.
L’avvio delle indagini in Vaticano. L’8 agosto 2019 fu l’ufficio del revisore generale a inviare un documento ai magistrati vaticani, in esso si segnalava che l’80% delle riserve della Segreteria di Stato erano sono versate presso la Credit Suisse e non nello Ior, Credit Suisse la banca attraverso la quale si risalì al fondo Athena.
Per il revisore generale, il mancato utilizzo dello Ior aveva integrato gli estremi del conflitto di interessi, poiché «si trattava di donazioni ricevute dal pontefice per il sostentamento della Curia».
Il Promotore di Giustizia, per mezzo dell’attività svolta dalla Gendarmeria vaticana, avviò l’indagine che avrebbe condotto alle sospensioni di cinque tra funzionari e impiegati (laici e religiosi) di Segreteria di Stato e Aif: Vincenzo Mauriello, Fabrizio Tirabassi, Caterina Sansone, monsignor Maurizio Carlino, Tommaso Di Ruzza.
A questi si è aggiunto successivamente monsignor Alberto Perlasca, che per dieci anni era stato a capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, in seguito trasferito alla Segnatura Apostolica.
Carlino è stato rimandato alla diocesi di Lecce, Sansone forse spostata in altro ufficio con minori responsabilità, Mauriello e Tirabassi sospesi fino al mese di luglio, mentre Di Ruzza non ha visto rinnovarsi il suo mandato alla direzione dell’Aif in scadenza a gennaio, sostituito per volere del cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin da Giuseppe Schlitzer.
Il documento della Gendarmeria vaticana recante le fotografie dei cinque dipendenti sospesi venne pubblicato dalla stampa e la conseguenza fu la rimozione su ordine di Bergoglio del comandante del Corpo, Domenico Giani, reo di non essere stato capace di individuare il soggetto che aveva rivelato ai giornalisti la notizia.
Il 27 di novembre Bergoglio nominò poi il dirigente della Banca d’Italia Carmelo Barbagallo alla presidenza dell’Aif in sostituzione del legale svizzero René Brüelhart.
La Santa Sede e il nuovo mutuo con Cheney Capital. Lo scorso 23 maggio la testata svizzera “Neue Zücher am Sonntag” riferì che i promotori di giustizia della Santa Sede il 30 aprile avevano inviato alle autorità una rogatoria con la richiesta formale di assistenza per esaminare l’investimento della Santa Sede nell’immobile di Sloane Avenue».
Il portavoce dell’ufficio federale di Giustizia, Raphael Freij, riferì a sua volta che «l’Ufficio federale aveva inviato in Vaticano una prima parte dei documenti richiesti», mentre – sempre secondo l’articolo pubblicato dallo stesso giornale – «decine di milioni di euro appartenenti alla Santa Sede erano stati congelati in diverse banche svizzere».
Il 3 maggio fu la volta del Corriere della Sera, che in un proprio articolo rivelò che la Santa Sede stava tentando di rinegoziare il mutuo da 120 milioni precedentemente acceso al fine di completare l’acquisizione dell’immobile di Sloane Avenue.
La ricerca dell’ennesimo finanziamento venne resa possibile a seguito della concessione di una nuova licenza edilizia da parte della municipalità londinese e del municipio di Kensington, la cui destinazione d’uso veniva mutata da edilizia residenziale (appartamenti di lusso) ad uso ufficio.
La nuova licenza conferiva alla Santa Sede la possibilità di ristrutturare (il palazzo sarebbe stato oggetto di una sopraelevazione di due piani) e di rinegoziarne le condizioni per il mutuo acceso con Cheney Capital, scaduto il precedente era il 31 aprile.
Sempre secondo il quotidiano di Via Solferino, con questa operazione la Santa Sede avrebbe mirato a “spalmare” il proprio debito su un periodo dai cinque ai dieci anni, con tassi di interesse compresi tra il 2% e il 2,5%, mantenendo percorribile l’ipotesi alternativa di sostituirlo con un mutuo acceso con un’altra banca, questo per non perdere l’investimento effettuato dalla Segreteria di Stato, ammontante complessivamente (nel periodo intercorrente tra il 2013 e il 2018) a circa 300 milioni di euro.
Dopo la tempesta scatenatasi all’interno del cuore finanziario vaticano Bergoglio ricevette in udienza privata a Casa Santa Marta i monsignori Perlasca e Carlino, che hanno sempre protestato la loro innocenza in ordine alle accuse mossegli.
Permangono tuttavia ancora gli interrogativi sulle reali finalità delle operazioni poste in essere nel tempo dai soggetti coinvolti nella vicenda, non chiarite dallo sviluppo dell’inchiesta. Si è trattato esclusivamente di tentativi di difesa di un profittevole investimento immobiliare e finanziario da parte degli uomini della Santa Sede oppure c’è dell’altro?
Da dietro le Mura leonine qualcuno ha fatto filtrare, non senza malizia, che il terremoto che ha portato alla sostanziale sostituzione dei vertici della finanza vaticana ha avuto luogo proprio alla vigilia dell’attesa valutazione da parte del Comitato della Commissione europea, Moneyval.