IRAN, nucleare. Il programma di Teheran dagli albori al JCPOA

Dai primi passi compiuti alla fine degli anni Sessanta fino al programma segreto avviato dagli ayatollah sulla base del patrimonio di capacità ereditate dal precedente regime.

Dall’accordo sul nucleare iraniano – formalmente noto come Piano d’azione globale congiunto (JCPOA) e firmato da Usa, Cina, Russia e Paesi dell’Unione europea – lo scorso anno Washington si è ritirata unilateralmente.

Si tratta del penultimo atto di una lunga storia che affonda le sue radici nei lontani anni Cinquanta, quando, anche su impulso del presidente statunitense Dwight D. Eisenhower (discorso dell’8 dicembre 1953) venne implementato lo sviluppo delle tecnologie per lo sfruttamento civile dell’energia nucleare.

«Atoms for Peace» fu il nome tratto da quello storico discorso per essere attribuito alla prima Conferenza di Ginevra sulla materia.

Nel 1967 – al potere in Persia c’era lo scià Mohmmd Reza Palhavi – anche grazie a una sovvenzione americana di 350.000 dollari presso l’università di Teheran venne reso operativo un primo reattore nucleare della potenza di 5 megawatt.

Il 2 settembre 1970 l’Iran ratificò il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), tuttavia lo Scià si riservò l’opzione relativa allo sviluppo di un programma di natura militare qualora il mutevole scenario globale glielo avesse reso necessario.

L’anno seguente, mediante la costituzione dell’Atomic Energy Organization of Iran (AEOI), il Regno si pone l’obiettivo della gestione autonoma dell’intero ciclo del combustibile nucleare.

Nel 1979 a seguito della Rivoluzione islamica guidata dall’ayatollah Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī (Khomeini) che depose lo scià, la nuova dirigenza del Paese ereditò le capacità maturate negli anni precedenti, consistenti in due reattori nucleari prodotti in Germania occidentale in fase di ultimazione, alcuni laboratori scientifici di elevato livello e la possibilità di arricchimento dell’uranio del 10% annuo  grazie al contributo del consorzio EURODIF (European Gaseous Diffusion Uranium Enrichment Consortium) per il tramite della società controllata franco-iraniana SOFIDIF (Société franco-iranienne pour l’enrichissement de l’uranium par diffusion gazeuse).

Nel 1981 all’interno del laboratorio per la chimica dell’uranio di Isfahan venne avviata la produzione di tetrafloruro di uranio, materiale utilizzato nei reattori.

Nel discorso pronunciato nel 1988 al Majlis l’hojatoleslam ‘Ali Akbar Hāshemi Rafsanjāni sottolineò la necessità per la Repubblica Islamica di dotarsi di armi di distruzione di massa (WMD) quale garanzia per il Paese nei confronti di attacchi nemici.

Quelli erano gli anni dei paralleli sforzi nel settore nucleare dell’Iraq di Saddam, che prelusero alla fase successiva alla guerra fredda, quando gli Usa passarono al cosiddetto «Dual Containment», cioè alla dottrina che prevedeva il contenimento sia dell’Iran che dell’Iraq in favore dei sei Paesi arabi aderenti l Consiglio di Cooperazione del Golfo.

La negativa esperienza maturata dagli iracheni nella loro invasione del Kuwait, che in breve tempo aveva portato alla disfatta militare di Saddam rese palese l’insufficienza dei sistemi d’arma convenzionali, che erano allo stesso tempo eccessivamente costosi e spesso inaccessibili a causa dell’embargo imposto a livello internazionale. A Teheran si perviene alla determinazione della indispensabilità di un programma militare nucleare.

Al riguardo, il 1990 rappresenterà un anno fondamentale poiché vennero contestualmente avviati il programma di realizzazione di missili balistici a lunga gittata e quello derivante dall’accordo siglato con Mosca che avrebbe portato alla realizzazione dei due reattori della centrale nucleare di Bushehr, unica centrale che negli anni seguenti sarebbe stata rifornita con combustibile russo.

La fase immediatamente successiva sarà quella dell’inizio delle attività clandestine.

Nel 1992 nei siti nucleari iraniani viene segnalata la presenza di tecnici provenienti dalle ex repubbliche sovietiche.

Dalla base militare kazaka di Semipalatinsk vengono sottratte due testate nucleari tattiche dalle quali verrà poi ricavato materiale fissile, mentre nel corso delle attività condotte segretamente con ogni probabilità viene effettuato un primo test di generatori di neutroni destinati all’innesco di ordigni nucleari.

1993, all’Onu Rafsanjāni propone una zona libera da armi di distruzione di massa in Medio Oriente, ma sia gli Usa che Israele respingono un approccio del genere. In quel periodo Teheran tenta di rilanciare la propria economia, che è basata in larga parte sulla produzione e l’esportazione di materie prime energetiche.

Dopo la lunga e dolorosa parentesi del conflitto con l’Iraq di Saddam, gli iraniani comprendono l’urgenza dell’ammodernamento e dell’efficientamento dei loro impianti di estrazione petrolifera. Allo specifico scopo si rivolgono all’Occidente chiedendo l’apporto del necessario know how, ma questa politica viene contrastata dall’amministrazione Clinton.

Teheran viene quindi costretta alla difficile ricerca di una propria autonomia strategica nel ciclo del combustibile nucleare e, nel biennio 1993-95, cerca di reperire sui mercati internazionali i materiali necessari alla costruzione delle prime 500 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.

Quella della Repubblica Islamica è una politica del “doppio binario”, poiché mentre da un lato si accettano le ispezioni dell’AIEA, dall’altro si persegue la realizzazione autonoma del reattore ad acqua pesante di Arak.

Nell’agosto 1998 il test nucleare pakistano spariglia un poco le carte: Islamabad (avversaria di Teheran) pone il baricentro delle sue attività nucleari nella provincia del Balucistan, a pochi chilometri dall’Iran.

11 Settembre 2001, attentati compiuti negli Usa dagli jihadisti di al-Qeda: George Walker Bush scatena la guerra contro il terrorismo. Le forze statunitensi attaccano prima l’Afghanistan e poi (nel 2003) l’Iraq “laico” del partito Baath di Saddam. Tuttavia anche l’Iran (a maggioranza sciita) viene incluso nella lista nera americana dei cosiddetti rogue states.

A Teheran si vive una sindrome da accerchiamento e questo stato di cose porta i vertici della Repubblica Islamica all’elaborazione di una nuova dottrina strategica nazionale, quella della cosiddetta «dissuasione minimale».

Il presupposto di essa è rendere inaccettabili per il nemico i costi di un’eventuale attacco al territorio iraniano. I sentendosi legittimati dai termini espressi dal trattato TNP cui Teheran ha aderito, gli iraniani dichiarano pubblicamente di condurre attività dell’uranio.

Essi sfruttano in maniera ottimale la tempistica offerta dalla contestuale denuncia dell’adesione allo stesso Trattato da parte della Corea del Nord (gennaio 2003). Nel marzo seguente gli americani attaccano l’Iraq scatenando le reazioni di Russia, Cina e Francia, tutti paesi fornitori di tecnologie nucleari all’Iran.

Sempre in marzo Teheran, in risposta a specifiche richieste rivolte al riguardo, comunica all’AIEA lo stato di avanzamento nella realizzazione dei suoi due impianti per l’arricchimento dell’uranio situati nel complesso di Natanz.

Si tratta di un reattore per la ricerca in grado di accogliere fino a mille centrifughe e uno per la produzione idoneo a ospitare 50.000 centrifughe, entrambi – si afferma – non sono stati ancora avviati.

Gli ispettori dell’AIEA rinvengono comunque tracce di uranio arricchito a basso livello all’interno degli stabilimenti Kalaye Electric Company, mentre, quasi contestualmente, i Mujaheddin-e Khalk rivelano la costruzione di due siti segreti per l’arricchimento dell’uranio presso la località di Hashtegerd, a circa trenta chilometri dalla capitale.

I Mujaheddin-e Khalk sono un’organizzazione oppositrice della teocrazia iraniana, dapprima sostenuta dal nemico storico di quest’ultima, il dittatore iracheno Saddam, in seguito ritenuta vicina ai servizi segreti israeliani.

La reazione dell’AIEA si concretizza nella richiesta alle autorità della Repubblica Islamica di una maggiore cooperazione e trasparenza sulla base delle clausole di salvaguardia concordate nell’ambito del TNP.

Alla fine di quell’anno l’Iran sigla un protocollo aggiuntivo con l’AIEA nel quale viene prevista la possibilità per gli ispettori internazionali di effettuare controlli nella totalità delle installazioni del Paese.

Teheran sembra dunque accogliere la proposta rivolta da Francia, Germania e regno Unito relativa alla sospensione del programma di arricchimento a fronte della corrispettiva fornitura di maggiori tecnologie civili.

Si tratta con ogni probabilità di un diversivo, poiché poco tempo dopo, l’8 febbraio 2004, lo scienziato di origini pachistane Abdul Qadeer Khan viene costretto ad ammettere la cessione delle componenti necessarie allo sviluppo delle centrifughe (centrifughe P1 e disegni tecnici delle P2), infatti, il network nucleare a lui riconducibile lavorava segretamente per gli iraniani almeno fino dal 1976, dunque dai tempi dello Scià.

Nel 2005 si interrompe la fase politica riformista in atto nella Repubblica Islamica dal 1995, con la sconfitta alle elezioni di Seyyed Mohammad Khātami, quinto presidente dell’Iran, assume la guida del Paese Maḥmūd Aḥmadinežād (Ahmadinejad), un conservatore laico che aveva combattuto nelle insanguinate paludi la guerra contro l’Iraq.

Il suo indirizzo oltranzista conduce all’interruzione dei negoziati internazionali sul nucleare iraniano. In breve l’egiziano el-Baradei (Muhammad Mustafā al-Barādeʿī), direttore dell’AIEA, denuncia il mancato accesso di suoi ispettori ai siti di Lavizhan-Shian e Parchin, a Natanz viene contestualmente rilevato un incremento delle centrifughe installate nell’impianto pilota, mentre ad Arak viene realizzato il reattore ad acqua pesante e a Isfahan convertito l’esafluoruro di uranio.

Alla fine del 2006 l’Onu approva la Risoluzione 1737 che estende l’embargo in atto contro l’Iran.

Sono le prime sanzioni internazionali dirette a impedire la fornitura di componenti impiegabili nel programma nucleare e nello sviluppo di armamenti atomici, compresi i missili balistici.

In seguito l’embargo verrà esteso ai settori energetico, bancario, dei trasporti, delle transazioni finanziarie, all’import-export di beni e tecnologie civili utilizzabili anche a fini militari (dual-use).

Nel marzo del 2007 Teheran sospende i Subsidiary Arrangement. Teheran li aveva accettati quattro anni prima impegnandosi a trasmettere all’AIEA almeno sei mesi prima i dettagli tecnici relativi a qualunque avvio della realizzazione di nuove installazioni compatibili con il ricevimento di combustibile nucleare.

Nel 2012 l’Unione europea giungerà a sanzionare anche le persone fisiche e le banche coinvolte in varia misura nei programmi nucleari e missilistico iraniani.

Le conseguenze di questa stretta portano allo stritolamento dell’economia del Paese: le esportazioni petrolifere crolleranno del 33%, il riyāl perderà metà del suo valora rispetto al dollaro con conseguenti notevoli difficoltà nell’importazione di beni dall’estero.

Si ingenerano ulteriori sospetti su eventuali attività condotte clandestinamente dagli iraniani.

Sempre nel 2007 viene effettuato un test su un iniziatore di neutroni all’idruro di uranio, un composto del quale non si rinviene alcuna applicazione in campo civile, ma che nel passato è stato impiegato dai pachistani per la realizzazione della loro prima bomba.

Parallelamente viene registrato un incremento delle attività nei siti di Qom, Metfaz e Fordow.

Con l’eliminazione fisica di Morteza Behzad, scienziato legato ai Pasdaran responsabile dei due siti sopracitati, i servizi segreti israeliani danno avvio a un serie di «esecuzioni mirate» di scienziati e tecnici iraniani.

Nel 2007 viene ucciso Ardeshir Hassanpour, fisico nucleare che lavorava presso il sito di Isfahan.

Nel 2010 vengono eliminati Massoud Ali Mohammadi, il primo docente all’università di Teheran, l’altro docente all’università Shaid Beheshti e specialista in fissione nucleare, incaricato dell’esecuzione di numerosi progetti dall’AEOI.

Nel 2012 vengono uccisi Daryoush Rezael dell’AEOI e Mustafa Roshani, impegnato all’università della capitale e nel sito di Natanz.

Il 2 aprile 2015 l Repubblica Islamica dell’Iran e i cosiddetti «5+1» (AIEA, Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Usa e Russia) raggiungono un’intesa di massima riguardo al negoziato finale concepito per addivenire a un “congelamento” delle attività iraniane in campo nucleare per almeno cinque anni.

A seguito della firma, la sottoscrizione e le ratifiche è stata quindi avviata la fase di implementazione delle disposizioni stabilite, estese, per una prima fase, almeno fino al 2017.

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