Apparentemente è l’escalation, ma sottotraccia si tratta, poiché né gli americani né tantomeno i cinesi intendono oltrepassare il punto di non ritorno della loro guerra commerciale combattuta a colpi di annunci e, reciproche, concrete imposizioni di dazi.
Tweet e dichiarazioni ufficiali dei belligeranti che riflettono però i loro effetti su un’economia globalizzata che accusa di volta in volta duri colpi.
Oggi siamo alla stretta di Pechino sui beni d’importazione prodotti negli Usa, sessanta miliardi di dollari di dazi che verranno applicati a partire dal prossimo primo di giugno, questo se nel frattempo non verranno raggiunti accordi con Washington.
È la risposta alla mossa del presidente Trump di venerdì scorso, cioè l’aumento delle imposizioni sulle importazioni di beni cinesi negli Usa dal dieci al venticinque per cento.
Non solo, alla guerra commerciale si salda la competizione strategica (sui mercati e nel settore della difesa) che fa della tecnologia l’elemento principe, in particolare quella del comparto aerospaziale, dove i cinesi stanno facendo passi da gigante. Ebbene, Pechino sarebbe intenzionata a tagliare degli ordini alla Boeing.
Ovviamente di tutto questo ne risentono le borse e le economie mondiali, soprattutto nell’ipotesi (al momento soltanto ventilata) di una ritorsione cinese sui titoli del debito federale statunitense. La Cina investe molto nel debito pubblico americano, infatti è giunta a detenerne per 1.100 miliardi di dollari, dal momento che reinveste parte dei ricavi derivanti dalle esportazioni (americane ma non soltanto) nei titoli Usa.
Questo fa comprendere come la Cina non abbia interesse a un escalation del confronto con Washington, in quanto dipende sostanzialmente dagli acquisti degli americani, tuttavia una guerra commerciale potrebbe inesorabilmente condurla verso sviluppi imprevedibili.
Sono i pericoli dell’eventuale degenerazione della situazione in atto, che in ogni caso produce i suoi effetti anche nell’immediato.
Ieri tutte le borse europee hanno chiuso in rosso (Milano a -1,35%), mentre Wall Street ha perso il 3 per cento. Ripercussioni sono state registrate anche sui prezzi petroliferi (in negativo dopo l’impennata dovuta all’incremento della tensione nel Golfo Persico), su quello dell’oro (giunto fino a 1.300 dollari) e sui differenziali dei tassi di interessi dei titoli pubblici (i cosiddetti spread).
La soia invece è scesa ai suoi minimi storici, ed è calato anche il cotone, beni di particolare importanza che possono assumersi come indice delle possibili contromosse cinesi alle politiche muscolari dell’amministrazione di Washington. Infatti, un crollo dei prezzi di certi beni prodotti (o, in alternativa, il ricorso ad altri fornitori da parte dei clienti cinesi) colpisce al cuore quella provincia agricola americana che, delusa e spaventata, ha votato Trump facendolo arrivare alla Casa Bianca.
Sulla situazione attuale (contestualizzata nell’ambito del confronto in essere tra le due potenze del XXI Secolo) e della possibilità che essa possa andare fuori controllo, dei progressi economici e tecnologici cinesi e del perdurante ruolo dell’egemonia del dollaro come moneta adottata (imposta) negli scambi internazionali e della sua stretta relazione con il doppio deficit federale degli Usa (commerciale e di bilancio), insidertrend.it ha interpellato il professor PAOLO GUERRIERI, economista e già senatore della Repubblica. La registrazione audio dell’intervista è fruibile di seguito su questo sito.
A140 – ECONOMIA, GUERRA COMMERCIALE USA-CINA: I DAZI DI TRUMP E LE RISPOSTE CINESI, Pechino non recede e impone misure restrittive sulle importazioni americane per un valore di 60 miliardi di dollari. La situazione alla luce degli ultimi sviluppi analizzata dal professor PAOLO GUERRIERI, economista e già senatore della Repubblica.
Il confronto tra le due potenze del XXI Secolo sui piani economico, tecnologico e strategico: la reciproca imposizione di dazi e i pericoli insiti in un’eventuale escalation; Pechino non ha interesse a oltrepassare il “punto di non ritorno”, allo stesso tempo l’amministrazione attualmente in carica potrebbe subire colpi non indifferenti diretti all’elettorato che Casa Bianca. Nel frattempo si tratta; in ogni caso i cinesi hanno della capacità antropologiche di resistenza, infatti pianificano al 2040. In fondo anche loro sono «popoli del riso», quelli della «lotta di lunga durata».