CRIMINALITÀ, droga. Messico, le recrudescenze della guerra tra i cartelli dei narcos

Aumento esponenziale degli assassinii nel Paese americano, i primi tre mesi del 2019 sono stati i più violenti della sua storia recente. Alla frontiera con gli Usa, che Trump (a parole) vorrebbe chiudere, continua la sanguinosa guerra tra i narcotrafficanti, mentre il problema della droga resta irrisolto: servono nuove strategie di contrasto?

I dati diffusi sono eloquenti: quella in corso alla frontiera settentrionale è davvero una «macelleria messicana», ma non è soltanto sul Rio Bravo che la gente muore ammazzata, spesso in maniera estremamente brutale, poiché anche nel resto del Paese sono aumentati in modo esponenziale gli assassinii.

Nei primi tre mesi di quest’anno in Messico sono state uccise quasi novemila persone (8.737 per la precisione), che si ricordi, è il più violento trimestre della sua storia recente.

Non tutti questi omicidi vanno ricondotti allo scontro per il controllo locale del traffico degli stupefacenti verso gli Usa, infatti accade un po’ dappertutto, a cominciare dai grandi centri urbani.

Al nord divampa cruenta la guerra tra i locali narcotraficantes, ingigantitisi a seguito della “caduta in disgrazia” dei cartelli della coca colombiani di Medellin e Cali. Allora le opinioni pubbliche mondiali, distratte dalla guerriglia zapatista del subcomandante Marcos nel frattempo divampata nel Chiapas, non fecero eccessiva attenzione a quanto stava accadendo alla frontiera settentrionale di quello stesso paese.

In fondo, lì il contrabbando c’era sempre stato, un’attività praticata da decenni dalla criminalità locale, che conosceva a menadito il territorio dove insisteva sfruttandolo per traffici di ogni genere, in ogni caso meno redditizi rispetto a quello della cocaina.

Un prodotto che viene da fuori, poiché in Messico non si produce droga di quel genere, si coltiva soltanto cannabis, seppure essa (unitamente alle metanfetamine) vada a soddisfare buona parte delle piazze di spaccio nordamericane, rappresentando così quasi la metà delle entrate per i locali cartelli dei narcos.

Ebbene, la gestione dei transiti dei carichi della cocaina prodotta soprattutto in Colombia e Bolivia trasformò in pochi anni questi clan in potenti organizzazioni. Non tutti riuscirono nell’impresa, non tutti ebbero la capacità di fare il salto di qualità. Alcuni dei vecchi sodalizi scomparvero, altri crebbero in potenza e li soppiantarono; poi, attratti dai ricavi stratosferici, giunsero anche altri, e la guerra si alimentò sempre di più.

Chi sopravvisse alla fase mutazionale, però, crebbe a dismisura in potenza, sia finanziaria che militare. A controllare il territorio rimasero all’incirca una decina di organizzazioni di maggiore spessore, quelle che ancora prosperano oggi, malgrado scontri, faide e fallaci tentativi di contrasto da parte dello Stato messicano.

Uno stato profondamente permeato dalla corruzione, un fenomeno corroborato dal flusso di mazzette erogato dai narcotrafficanti a funzionari governativi e poliziotti infedeli. Se lo possono permettere, date le dimensioni finanziarie delle loro organizzazioni criminali.

Ma, ovviamente, a favore dei cartelli gioca anche e soprattutto il fattore più importante: la paura. Qualcuno ha definito la situazione messicana come una «conflitto a bassa intensità con varianti narco-terroristiche», forse non è proprio così, ma sta di fatto che dal 2006 al 2018 i decessi per morte violenta riconducibili direttamente o indirettamente ai contrasti per il controllo della droga ammontavano a oltre 235.000. Una mattanza.

La vita in certe zone del Messico – al pari di non pochi altri paesi dell’America Latina – vale assai poco. Si deve stare molto attenti a ciò che si fa.

Nel suo programma presidenziale presentato nel corso della campagna elettorale, il candidato Andrés Manuel López Obrador inserì alcuni punti chiave, a suo dire determinanti nell’approccio all’insoluto problema della violenza:

eliminazione del cosiddetto «Plan Merida» (concretizzatosi in una sostanziale ulteriore militarizzazione dello scontro con le organizzazioni criminali);

legalizzazione della marijuana e dei derivati dell’hashish, onde ridurre il cespite derivante dalla coltivazione e dalla vendita delle sostanze stupefacenti;

cooperazione più intensa con la DEA statunitense (Drug Enforcement Administration);

stretta sui requisiti richiesti ai soggetti che chiedono di immigrare nel Paese;

riduzione dello stato di militarizzazione attualmente in essere e contestuali tagli alle voci di spesa in bilancio relative all’acquisizione di sistemi d’arma da destinare alle forze armate e alla polizia.

Tuttavia, nel frattempo chi è in condizioni di farlo cerca di abbandonare il Messico, unendosi all’altro grande flusso di disperati provenienti dall’America centrale.

Intanto, dalla Casa Bianca, un giorno sì e l’altro no, il presidente statunitense Trump, twittando in 280 caratteri (spazi inclusi), ribadisce al mondo la sua asserita ferma volontà di chiudere la frontiera sudoccidentale dell’Unione, cioè quei 3.200 chilometri della linea attualmente in fase di blindatura (la famigerata “barriera”), che si estende dal Texas (sulla sponda atlantica) alla California (sul Pacifico), tangendo Nuovo Messico e Arizona.

The Donald guarda sia all’oggi che all’immediato futuro, cioè alla campagna per le presidenziali Usa del 2020.

Probabilmente non la chiuderà mai – come invece afferma di voler fare – la frontiera col Messico, non glielo permetteranno.

Ma a lui e sufficiente che si produca l’effetto annuncio, come nel caso dei dazi imposti all’Europa, annunciati contro il prosecco e i formaggi italiani per colpire l’Airbus.

Per il momento gli basta cavalcare la drammatica crisi umanitaria che affligge la frontiera giù a sud, dove le strutture di accoglienza e detenzione esistenti non sono più in grado di sostenere la pressione esercitata dal crescente flusso di migranti. La Custom and Border Protection nel 2018 ha registrato 400.000 arrivi, ma le previsioni per il 2019 arrivano a un picco di un milione di persone.

Anche qui si fa leva sul fattore paura, però in maniera diversa. In questo caso, anche per effetto della propaganda dell’amministrazione repubblicana in carica, rispetto al fenomeno migratorio si va sempre più diffondendo un sentimento di ostilità e preoccupazione.

Non è casuale, quindi, che nei sondaggi effettuati a cavallo tra il 2018 e il 2019 sia emerso che nelle percezioni del 49% dei cittadini statunitensi la preoccupazione maggiore fosse la pressione migratoria alle frontiere meridionali. Una cifra che soltanto un anno prima era inferiore di ventidue punti percentuali.

Mister Smith ha paura degli stranieri e associa sempre più indissolubilmente l’immigrato alla commissione di crimini.

 

Nelle interviste di seguito rese disponibili veranno affrontati questi temi e altri ancora.

insidertend.it ha ricevuto il contributo di Massimo Zaurrini (direttore dell’agenzia infoAfrica e del periodico “Africa Affari”, già residente in Messico ed esperto della società e dei fenomeni criminali legati al narcotraffico di quel paese) e di Rita Bernardini (coordinatrice della presidenza del Partito Radicale, antiproibizionista, tra i promotori della legalizzazione delle sostanze stupefacenti).

Di questi stessi argomenti si tornerà a trattare in seguito, connettendoli all’economia globalizzata e alle trasformazioni sociali e politiche in atto.

 

A126 – CRIMINALITÀ, DROGA: MESSICO, LE RECRUDESCENZE DELLA GUERRA TRA I CARTELLI DEI NARCOS. L’aumento esponenziale degli assassinii nel Paese americano, i primi tre mesi del 2019 sono stati i più violenti della sua storia recente.

Alla frontiera con gli Usa, che Trump (a parole) vorrebbe chiudere, continua la sanguinosa guerra tra i narcotrafficanti, mentre il problema della droga resta irrisolto: servono nuove strategie di contrasto. A insidertrend.it ne discutiamo con MASSIMO ZAURRINI, direttore dell’agenzia infoAfrica e del periodico “Africa Affari”, già residente in Messico ed esperto di quella società e dei fenomeni criminali legati al narcotraffico a essa correlati.

 

A127 – CRIMINALITÀ, DROGA: MESSICO, LE RECRUDESCENZE DELLA GUERRA TRA I CARTELLI DEI NARCOS. L’aumento esponenziale degli assassinii nel Paese americano, i primi tre mesi del 2019 sono stati i più violenti della sua storia recente.

Alla frontiera con gli Usa, che Trump (a parole) vorrebbe chiudere, continua la sanguinosa guerra tra i narcotrafficanti, mentre il problema della droga resta irrisolto: servono nuove strategie di contrasto. A insidertrend.it ne discutiamo con RITA BERNARDINI, coordinatrice della presidenza del Partito Radicale, antiproibizionista, tra i promotori della legalizzazione delle sostanze stupefacenti.

Condividi: