CINA, Xi Jinping in Italia. 5G, telecomunicazioni e libertà: il “firewall anti-dissidenti” di Pechino

Dal 1° giugno 2017 in Cina è entrata in vigore una normativa che regolamenta in modo specifico e stringente la materia dell’accesso alla rete Internet e, più in generale, la cosiddetta cybersecurity. Attraverso di essa le autorità di Pechino hanno impresso una notevole stretta al settore riconducendo al contempo a esse stesse il controllo delle attività poste in essere sul territorio della Repubblica popolare dalle società americane che vi operavano, imponendo loro rigide regole.

 

I dati relativi resi pubblici quattro mesi prima, quindi nel mese di gennaio, fotografavano una notevole diffusione digitale nel Paese, laddove dei circa 1.400.000.000 abitanti ben 731.000.000 risultavano internauti, questo mentre alla stessa data gli utilizzatori di app (cioè quelli presenti sui social network cinesi) ammontavano a 787.000.000. Dunque un mercato di notevole interesse anche per le grandi società americane che nel web rinvengono il loro business, come Google, Facebook, Amazon, Twitter, Apple, Windows e Microsoft.

 

Ma da quel momento in poi le cose cambiarono, poiché l’introduzione di stringenti limiti insieme alla libertà di espressione fino ad allora concessa, vennero ridotti anche i margini di manovra dei colossi esteri del settore. Infatti, se prima Apple poteva “regalare” ai consumatori le sue app attraverso la propria rete commerciale Online, da allora non poté più farlo. Si trattava di strumenti in grado di aggirare la “grande muraglia digitale” stesa dalle autorità statali, cioè di quel firewall posto a protezione delle possibili interferenze esterne alla rete digitale della Repubblica popolare. a nuova legge obbligò la rimozione di tutti i software in grado di eludere la censura.

 

Amazon tentò di introdurre in Cina “cloud” (la nuvoletta), all’interno della quale far navigare gli utenti, ma per farlo gli venne imposto il ricorso a ua società locale (quindi con i server in territorio cinese) e, in alternativa, desistere dal progetto.

 

I cittadini della Repubblica popolare poterono quindi scaricare i software consentiti dallo Stato, inclusi i membri del Partito comunista, soggetti a severe punizioni nel caso fossero stati colti a visitare siti dichiarati illegali.

 

In base alla nuova normativa la censura, già capillarmente attiva in Cina, filtrando le notizie ha la facoltà di eliminare dalle pagine web i vocaboli ritenuti pericolosi per la stabilità del sistema, parole quali «democrazia», «diritti», «partiti politici» o «libertà di pensiero».

 

Una vigorosa stretta sulla rete che, tra  l’altro, nella competizione per il controllo del mercato del digitale, significò anche una manovra tesa all’interdizione della potenziale clientela cinese (stimato in circa 800.000.000 utenti) alle imprese americane del settore.

 

Queste ultime cercarono di porre almeno in parte rimedio alla mossa del governo di Pechino. Facebook, ad esempio, cercò di insinuarsi nella rete cinese aggirando gli ostacoli attraverso un’app dall’indirizzo “grigio” che sfruttava Baidu, Weiba e We Chat, rispettivamente, il maggiore motore di ricerca e i principali social network cinesi.

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