SUDAN, guerra civile e islamisti radicali. Ruolo delle milizie islamiste: le preoccupazioni dei Paesi arabi

19 maggio 2025 – Lo sviluppo delle capacità militari delle milizie islamiste nel Sudan, organizzazioni attualmente in guerra contro le Forze di supporto rapido (RSF) guidate dal generale Mohamed Hamdan «Hemeti» Dagalo, ha iniziato a destare preoccupazione tra i Paesi arabi che hanno designato come «organizzazione terroristica» la Fratellanza musulmana (Ikhwan al-Islami), associazione internazionale collocata ideologicamente nell’ambito del filone fondamentalista islamico. Nell’aprile 20’23, a seguito del divampare della guerra civile nel Paese africano, l’esercito regolare di Khartoum si è rivolto alla popolazione civile affinché partecipasse alla lotta armata contro le RSF. A oggi sono stati costituiti dodici battaglioni, le cosiddette Brigate di resistenza popolare. Il più importante di essi è il 4º, noto come Battaglione Al Baraa bin Malik, i cui metodi di combattimento e il numero di membri starebbe sollevando timori sullo stato della sicurezza a livello regionale, almeno stando a quanto riferito da fonti arabe e sudanesi all’agenzia di stampa “Nova”, https://www.agenzianova.com/news/sudan-il-ruolo-delle-milizie-islamiste-nel-conflitto-preoccupa-i-paesi-arabi-ostili-ai-fratelli-musulmani/. L’analista sudanese Mohammed al Asbat ha riferito a Nova che il battaglione Al Baraa bin Malik è composto da miliziani islamisti radicali e da leader del regime dell’ex presidente sudanese Omar al-Bashir, salito al potere nel 1989 con un colpo di Stato e poi destituito nel 2019. In particolare, ne fanno parte dei giovani affiliati al cosiddetto Movimento islamico, ritenuto vicino alla Fratellanza musulmana, che ha preso il controllo del Sudan dopo il colpo di Stato. Al comando vi è Al Misbah Abu Zeid Talha. Si stima che i combattenti del battaglione Baraa bin Malik abbiano raggiunto le 50.000 unità, considerando le diverse province del Sudan e, a questo punto, la milizia starebbe per annunciare la propria conversione formale da brigata a corpo d’armata.

L’analista interpellato dall’Agenzia Nova afferma anche che il sostegno tecnico verrebbe fornito dalla Turchia (che offre finanziamenti e protezione più o meno esplicite alla Fratellanza musulmana), oltreché dall’Iran, Stati che appoggiano da tempo gruppi islamisti radicali nella regione, come i palestinesi di Hamas. Ankara è tra i maggiori fornitori di velivoli a pilotaggio remoto di ultima generazione (UAV e UCAV), mentre Teheran è nota per la produzione dei droni suicidi Shahed, ampiamente utilizzati dalla Russia nella guerra in Ucraina.

Secondo il quotidiano sudanese “Al Rakoba”, il battaglione Al Baraa bin Malik riceve in particolare dal Corpo dei Guardiani della Rivoluzione islamica iraniana (Pasdaran) un addestramento incentrato sull’utilizzo dei droni. L’associazione indipendente Emergency Lawyers Organisation (ELO) ha accusato il gruppo islamista di essersi reso responsabile di «bombardamenti indiscriminati» nel Darfur (Sudan occidentale), ricorrendo a questi sistemi d’arma. Ahmed Hamdan, giornalista esperto degli aspetti relativi ai gruppi islamisti radicali, ha altresì rivelato a “Raseef22” che le forze di Al Baraa bin Malik oggi dispongono di armi «al di fuori del sistema riconosciuto», mentre l’esercito regolare sudanese «non ha alcun controllo sulla portata e sulla qualità» di questi armamenti.

Secondo Jassim Mohammed, responsabile del Centro europeo per gli studi sull’antiterrorismo e l’intelligence (con sede in Germania), l’asserito sostegno fornito da Turchia e Iran al battaglione islamista rientra nella cornice della più ampia escalation nella regione del Mar Rosso. «L’accesso delle milizie ai droni, ha osservato Mohammed – interpellato sempre da “Agenzia Nova” -, potrebbe al momento non rappresentare una minaccia diretta per l’Europa per via della distanza geografica, ma il caos in Sudan e nel Mar Rosso rappresenta un problema per la sicurezza della navigazione e per gli interessi europei nella regione». Un rapporto del Centro europeo per gli studi sull’antiterrorismo e l’intelligence riferisce che una società turca starebbe contrabbandando segretamente armi al battaglione Al Baraa bin Malik. Secondo quanto riporta il quotidiano “Sudan Tribune”, lo scorso 4 maggio, dopo gli attacchi dei paramilitari sudanesi all’aeroporto internazionale di Port Sudan e alla base navale militare di Flamingo, un aeroambulanza turco sarebbe stato avvistato mentre decollava per evacuare un equipaggio tecnico di Ankara che si ritiene avesse un legame di supervisione sui droni turchi, che si presuppone siano stati responsabili di un precedente bombardamento dell’aeroporto di Nyala, nel Darfur meridionale.

I media sudanesi riferiscono che il battaglione Al Baraa bin Malik rappresenta la “punta di diamante” degli attacchi contro le RSF e starebbe commettendo numerose violazioni tra torture, detenzioni illegali ed esecuzioni extragiudiziali. Secondo “Sudan Tribune”, gli islamisti hanno istituito posti di blocco e hanno creato centri di detenzione in diversi quartieri della capitale sudanese Khartum. I membri del battaglione sono accusati in particolare di aver adottato, approfittando del vuoto di potere e controllo, una linea dura contro coloro che avrebbero collaborato con le Rsf nelle aree riconquistate dall’esercito regolare. Emergency Lawyers Organisation ha documentato casi di violazioni che equivalgono a crimini di guerra contro l’umanità a Halfaya e Khartoum. Alcuni video mostrerebbero l’uccisione di persone con presunti legami con le Rsf all’interno di locali dedicati alla preparazione di cibo per gli sfollati.

L’analista sudanese Mohammed al Asbat ha concluso affermando che «i membri del battaglione Al Baraa bin Malik sono convinti sostenitori delle idee jihadiste e hanno legami con altre organizzazioni jihadiste della regione». Secondo Al Asbat, il motivo della loro forza nelle Brigate di resistenza popolare del Sudan è che «si sono formati dai resti militari dell’ex regime islamista». Il vice comandante in capo dell’esercito regolare, tenente generale Yasser al-Atta, ha spiegato che coloro che vogliono unirsi alle forze sudanesi per combattere le Rsf non possono essere fermati per le loro affiliazioni, che non sono motivo di indagini. Tra i Paesi arabi che si oppongono alla Fratellanza musulmana, e che di conseguenza guardano con attenzione le attività dei gruppi islamisti ad essa legati, vi sono Bahrein, Egitto, Siria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

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