6 settembre 2024 – Venerdì la missione delle Nazioni Unite che indaga sugli abusi commessi nel corso della guerra civile in Sudan ha formalmente accusato di crimini di guerra l’esercito di Khartoum e le Forze paramilitari di supporto rapido (RSF). A carico di queste ultime pende anche l’accusa relativa ai crimini contro l’umanità commessi nel Darfur durante i loro attacchi contro le comunità non arabe come quella Masalit. La missione Onu guidata dal tanzaniano Mohamed Chande Othman ha in seguito raccomandato l’estensione dell’embargo sulle armi al Sudan, che dal 2004 era stato imposto ai gruppi armati attivi nel Darfur. Inoltre, viene richiesto il dispiegamento di forze indipendenti allo scopo di proteggere la popolazione civile dalle violenze, infine l’estensione dell’indagine sulle violazioni dei diritti umani (avviata nel 2005 dalla Corte penale internazionale inizialmente soltanto per il Darfur), a tutto il Sudan, nonché la creazione di un sistema giudiziario internazionale che integri il lavoro di tale Corte. Il conflitto in atto, divampato il 15 aprile dello scorso anno a causa della controversia sull’integrazione dei paramilitari nel governo golpista, ha causato oltre 18.800 morti, 33.000 feriti, 7,9 milioni di sfollati interni e 2,1 milioni di rifugiati in altri Paesi. All’esercito e ai paramilitari vengono attribuite responsabilità in ordine a fatti considerati crimini di guerra, quali gli attacchi indiscriminati sui civili, la tortura e l’omicidio. Le RSF e le milizie a esse alleate sono accusate inoltre di aver violentato ragazze e donne di età compresa tra gli otto e i settantacinque anni, principalmente in Darfur e a Khartoum; sono anche accusati di reclutamento di bambini, sfollamenti forzati e saccheggi in numerose località del Paese. Il rapporto dell’Onu sul Sudan verrà presentato e discusso al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a partire dalla prossima settimana.