Mercoledì scorso, con il voto favorevole della Repubblica Popolare Cinese e della Federazione Russa, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha prorogato per un ulteriore anno l’embargo sulle armi nel Darfur. Si tratta di una misura in vigore dal 2005, ma ripetutamente violata. La risoluzione adottata all’unanimità estende dunque le sanzioni fino al 12 settembre 2025; esse includono un embargo sulle armi e misure individuali, quali il congelamento dei beni e i divieti di viaggio. Ad avviso del viceambasciatore statunitense Robert Wood, «questa decisione è un messaggio forte inviato alla popolazione del Darfur, poiché assicura a essa che la comunità internazionale permane attenta alla situazione in atto». Wood ha inoltre dichiara0to che l’estensione dell’embargo «contribuirà a limitare il flusso di armi verso la regione e a riportare il Sudan alla stabilità e alla sicurezza».
Dall’aprile dello scorso anno il Sudan è dilaniato dal conflitto esploso tra l’esercito guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhane e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (RSF) comandate dal suo ex vice, il generale Mohamed Hamdane Daglo. Secondo le Nazioni Unite questa guerra ha causato decine di migliaia di morti e più di dieci milioni di sfollati, inoltre, sia al Palazzo di vetro che le organizzazioni umanitarie nutrono timori riguardo a una possibile degenerazione di questo conflitto in nuove violenze etniche, soprattutto in Darfur, regione già devastata da precedenti guerre e dalla politica della terra bruciata perseguita dai Janjawidi, miliziani arabi oggi integrati nella FSR. Allo specifico riguardo, Jean-Baptiste Gallopin (Human Rights Watch) si è rammaricato che il Consiglio non abbia esteso l’embargo all’intero paese, definendo questo passo una «occasione mancata». L’Onu denuncia violazioni dell’embargo sulle armi in particolare da parte di paesi come gli Emirati Arabi Uniti, che sostengono la RSF.