SLOVACCHIA, elezioni politiche. A Bratislava tornano al potere i filorussi, al Cremlino si brinda

Il partito politico dell’ex primo ministro Robert Fico, considerato su posizioni non contrastanti con la Russia di Putin, ha vinto le elezioni legislative anticipate. Due erano stati i suoi slogan (rivelatisi alla luce dei fatti vincenti) nel corso della campagna elettorale: basta  con l’invio di armi all’Ucraina e arresto dei flussi di migranti. Nelle urne Direzione-Socialdemocrazia (Smer-Sd) (il partito di Fico) ha ottenuto il 22,9% dei consensi, pari a 42 dei 150 seggi del parlamento monocamerale di Bratislava; a seguire in termini di voti con il 18% dei consensi e 32 seggi in parlamento è il partito liberale europeista Slovacchia progressista (Ps) di Michal Simečka, formazione politica di orientamento occidentale che, malgrado la sconfitta alle elezioni potrebbe comunque formare una propria maggioranza di governo grazie all’eventuale appoggio ricevuto da alcuni dei partiti entrati in parlamento. Domani (lunedì) Fico riceverà dalle mani della presidente slovacca Zuzana Caputova l’incarico di formare un esecutivo attraverso negoziati politici con due altri partiti. «Il mio governo sarà pronto ad aiutare l’Ucraina a livello umanitario e con la ricostruzione, ma non con gli armamenti – ha dichiarato Fico nell’immediatezza della proclamazione dei risultati delle elezioni -, anche perché la Slovacchia ha problemi maggiori che non l’Ucraina». Egli stesso, in campagna elettorale non aveva affatto celato le proprie simpatie per Vladimir Putin, sostenendo apertamente l’invasione dell’Ucraina «fascista» e asserendo al contempo che, una volta divenuto primo ministro, oltre a fermare gli aiuti militari a Kiev (la Slovacchia confina con l’Ucraina), ne avrebbe anche impedito l’adesione alla NATO. «Meglio dieci anni di trattative di pace che lasciare altri dieci anni la gente a uccidersi per poi constatare che siamo rimasti dove siamo oggi», aveva dichiarato. Con il ritorno al potere dei sovranisti a Bratislava si viene dunque a cementare un’ideale cintura visegradiana senza soluzione di continuità nel cuore dell’Europa, che agglutina l’Ungheria di Viktor Orbán e la Polonia di Mateusz Morawiecki.

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