Milano, 25 settembre 2025 – Quello dell’impatto con l’arruolamento nell’esercito (così come quello del fenomeno dell’obiezione di coscienza o dell’impiego di questi cittadini-soldato al fronte o nelle diuturne attività di controllo del territorio, vuoi che si tratti del presidio di un check point nel West bank o di una postazione lungo la frontiera) è un tema difficile e scomodo, che emerge carsicamente nella cinematografia israeliana, magari tra le righe in opere che trattano delle condizioni di vita nelle carceri e della detenzione oppure dei palestinesi.
UNA SOCIETÀ E LE SUE CONTRADDIZIONI
Una società che, tuttavia, mediante queste rappresentazioni riesce a mettere a nudo le problematiche che drammaticamente la affliggono. Come quella di Guy Davidi, sulla quale si può concordare o meno, ma che è comunque in grado di esprimere un disagio, film che verrà proiettato domani sera alla Cineteca di Milano in Viale Fulvio Testi 121, introdotto dalla giornalista Anna Maria Selini, che assieme a Davidi indagherà su cosa davvero significhi per un bambino crescere in un paese come Israele, nel quale prestare il servizio militare è obbligatorio e, dato il contesto, l’esposizione alla violenza è inevitabile. Inutile aggiungere che si tratta di un documentario drammaticamente attuale che si focalizza sulle conseguenze psicologiche della pressione militare e l’esposizione alla violenza sui giovani e sui bambini, oltre allo stigma che colpisce chi si oppone all’arruolamento.
LA GUERRA INCOMBENTE
In Israele, paese di pochi milioni di abitanti popolato da ebrei (ma anche da arabo palestinesi oltreché da drusi e da altre minoranze etniche), il servizio militare di leva è obbligatorio e ha una durata di trentadue mesi per i maschi e di ventiquattro per le donne, la presenza dell’esercito (Tsahal) accompagna dunque le persone fin dalla loro infanzia. Attraverso “Innocence” il regista esplora l’universo delle scuole del suo paese, unitamente alla narrazione della guerra nelle aule, con i bambini che – analogamente ai loro coetanei palestinesi, che però crescono e si formano in un diverso contesto – imparano a familiarizzarsi con le armi e gli esplosivi, a disegnare carri armati e soldati, a sparare e a temere il nemico.
UN’INNOCENZA CHE NON VIENE CONCESSA
I dati resi noti dal Ministero della Difesa dello Stato ebraico, successivamente ripresi e pubblicati dalla stampa israeliana, indicano che dall’inizio del 2025 sono già venti i militari in servizio con le Israel Defense Force (IDF) che si sono tolti la vita. Si tratta in ogni caso di un fenomeno risalente nel tempo, poiché anche prima del pogrom del 7 ottobre perpetrato da Hamas, nel 2022 su quaranta militari deceduti quattordici lo furono a causa di suicidio. Ad avviso di Guy Davidi sarebbe proprio questa cultura militare a compromettere e distruggere quella che dovrebbe essere la naturale capacità di costruire liberamente la propria identità. Egli si spinge ad affermare che i giovani israeliani vivono «in un sistema che soffoca il libero arbitrio, costringenoli a uniformarsi e alimentando la cultura dell’odio», con la conseguenza, sostiene sempre il regista, che «l’innocenza evocata dal titolo del film in Israele non è concessa».



