a cura di Espresso Communication Solutions Srl – La solitudine sul lavoro è un problema che interessa a livello globale milioni di persone, ma troppo spesso passa inosservato. Eppure ha gravi conseguenze, sia rispetto al grado di coinvolgimento dei dipendenti, sia a quello sulla produttività e le performance di un’organizzazione economica. Soltanto nel Regno Unito si stima che l’isolamento lavorativo costi ogni anno 2,5 miliardi di sterline, mentre negli Stati Uniti d’America le stime giungono addirittura a 154 miliardi di dollari.
SOLITUDINE SUL LAVORO
Per invertire la rotta in Italia è nato un «manifesto» sostenuto da un pool di esperti, tra sociologi, economisti e psicologi, una iniziativa intrapresa al fine di aiutare le imprese a entrare nella nuova Era del Relazionésimo. Affermano infatti Ketty Panni e Ombretta Zulian, a capo della Fondazione Relazionésimo, che «aiutando i dipendenti a creare connessioni sociali, le aziende possono costruire una forza lavoro più felice, più sana e più produttiva: una rivoluzione che permetterà all’intero paese di tornare a crescere puntando sull’enorme potenziale della cultura delle relazioni». I lavoratori soffrono sempre più spesso di solitudine. Secondo un’indagine ripresa dal periodico “Nature”, sono otto su dieci i dipendenti di aziende in Brasile, Cina Popolare, Germania, Regno Unito e Stati Uniti d’America che dichiarano di sentirsi soli nei luoghi di lavoro (82%). A livello globale, il report State of the Global Workplace di Gallup ha rilevato inoltre come un dipendente su cinque si senta solo al lavoro, mentre tra i lavoratori italiani uno su quattro (il 25% del totale) dichiara di provare tristezza e isolamento quotidianamente. Tra i giovani, secondo quanto riportato anche da “Fortune”, sono gli appartenenti alla Gen Z a sentirsi maggiormente isolati sul luogo di lavoro (30%), rispetto al 22% registrato nelle altre fasce d’età.

Ketty Panni e Ombretta Zulian
UN FENOMENO DIFFUSO GLOBALMENTE
In Giappone uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Tokyo, i cui risultati sono stati in seguito diffusi dal “Japan Times”, ha evidenziato come una persona su dieci si senta «sempre sola» al lavoro, con la percentuale che aumenta tra coloro che lavorano per molte ore. L’impatto negativo della solitudine sul lavoro si estende ben oltre il benessere individuale, mentale e fisico, influendo anche su produttività, grado di coinvolgimento dei collaboratori e prestazioni dell’organizzazione. Uno studio della Campaign to End Loneliness promosso dalla Sheffield Hallam University ha rilevato che le persone che si sentono spesso sole hanno maggiori probabilità di dichiarare una minore soddisfazione lavorativa e un minore coinvolgimento sul luogo di lavoro. Un’altra ricerca pubblicata sull’Harvard Business Review ha rilevato che i dipendenti solitari sono meno produttivi e dimostrano un minore impegno nei confronti della propria organizzazione. Un trend negativo che ha effetti devastanti anche sull’intera economia globale. Nel Regno Unito si stima ad esempio che la solitudine dei lavoratori costi agli imprenditori, in termini di calo della produttività e aumento dei tassi di assenteismo e turnover, fino a 2,5 miliardi di sterline all’anno. Negli Stati Uniti d’America, invece, come riportato da Harvard Business Review, l’assenteismo correlato allo stress attribuito alla solitudine costa ai datori di lavoro circa 154 miliardi di dollari all’anno.
IL MANIFESTO DEL RELAZIONÉSIMO
La solitudine lavorativa, come da monito lanciato anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità, nel corso degli anni è diventata sempre di più una vera e propria epidemia, tuttavia, una nuova cura è a portata di mano e arriva direttamente dall’Italia. Infatti, con l’intenzione d’invertire la rotta e far finalmente comprendere a tutti il valore inestimabile delle relazioni, nel business come nella vita quotidiana, è nato il Manifesto per far entrare la società in una nuova era, quella del «Relazionésimo»: un progetto sostenuto da un pool di esperti sociologi, psicologi ed economisti, che lavorano a stretto contatto con imprese e istituzioni. «L’identità soggettiva e delle comunità non è statica, richiede negoziazione, riconoscimento, impegno e soprattutto lo sviluppo di relazioni a tutti i livelli – sottolineano Panni e Zulian -, è ormai indispensabile e improrogabile affermare la centralità della persona e delle relazioni umane in ogni scelta culturale, politica, economica, sociale e ambientale. Serve progettare non per i territori, ma con i territori; non per le imprese, ma con le imprese. In un processo autenticamente condiviso che sappia rovesciare le dinamiche tradizionali per ritrovarsi come comunità intorno alle relazioni, vero cuore del nostro esistere, motore di felicità e volano di sviluppo per produrre valore condiviso. Molti aspetti della vita moderna contribuiscono alla solitudine, inclusi fattori culturali, economici, demografici e tecnologici che esulano dalla capacità dei datori di lavoro di influenzare direttamente il clima all’interno delle organizzazioni. Tuttavia, ci sono aspetti della vita aziendale che possono essere modificati per ridurre la solitudine lavorativa e aumentare i legami umani. Aiutando i collaboratori a creare delle connessioni sociali le aziende costruiscono infatti una forza lavoro più felice, più sana e più produttiva».

IL PROGETTO
Ad avviso dei promotori, quello di Fondazione Relazionésimo è un progetto che esprime l’esigenza di armonia, equilibrio e bellezza nella complessità contemporanea. A coniare il neologismo sono state proprio Ombretta Zulian e Ketty Panni, che reinterpretano, rinnovano e, allo stesso tempo, ritornano all’essenza della parola «economia» (dal greco οἰκονομία), intesa come amministrazione e cura della casa. Il loro impegno per riuscire ad affermare, nella società odierna, l’importanza e il valore delle relazioni umane è supportato da un comitato scientifico di primo livello composto, tra gli altri, dal professor Mauro Magatti (presidente del Comitato scientifico della Fondazione Relazionésimo e Ordinario di Sociologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Ugo Morelli (psicologo, studioso di scienze cognitive e scrittore, docente di Scienze cognitive applicate presso il Dipartimento di Architettura dell’Università Federico II di Napoli, DIARC), Vittorio Gallese (neuroscienziato, professore ordinario di Psicobiologia presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma), Daniel Antenucci (ordinario di Bioecologia e direttore del Centro di Investigazione marina presso l’Università di Mar del Plata a Buenos Aires), Luigino Bruni (ordinario di Economia politica presso la Lumsa di Roma) e da Chiara Giaccardi (ordinaria di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).
VALORIZZARE E PROMUOVERE IL CAPITALE UMANO
La Fondazione Relazionésimo intende valorizzare e promuovere il capitale relazionale, umano e narrativo delle persone, delle imprese e delle istituzioni, attraverso il dialogo tra le generazioni. «Il dialogo quando si spezza si traduce in conflitto. Le relazioni, quando si rompono, inceppano la macchina – afferma il professor Magatti -, lo vediamo nel mondo del lavoro e dell’impresa, dove oggi più che mai le giovani generazioni chiedono più relazione, più senso, più partecipazione oltre a equilibri diversi tra vita lavorativa e vita personale, ma anche equilibri diversi fra strumentalità e senso. Apparteniamo a generazioni che hanno attraversato la fase espansiva della crescita e, oggi, si ritrovano in un mondo dominato dal caos. Altre generazioni, che in questo caos sono nate, chiedono di guardare oltre e altrove, con uno sguardo nuovo. Credo che questo transito generazionale sia fondamentale anche per l’affermarsi di un nuovo spirito del capitalismo. Un capitalismo che deve passare dall’etica della crescita all’etica della sostenibilità». Ogni impresa vive grazie al suo capitale etico e spirituale e quest’ultimo coincide con la capacità di porre al centro l’uomo e le sue relazioni. «L’impresa è il luogo che più di ogni altro ha bisogno di virtù civili condivise e di una mediazione complessa sui temi della formazione, della compartecipazione e del lavoro – sostiene il professor Bruni –, solo includendo il valore della relazione in quello del lavoro possiamo riaprire un dialogo con le nuove generazioni. Generazioni che all’impresa chiedono molto di più di un contratto: chiedono visione e condivisione di valori oltre a un senso complessivo del fare e dello stare insieme. Il bene relazionale è un bene di grande valore che resta tale finché non cerchiamo di assegnargli un prezzo, di trasformarlo in merce e metterlo in vendita».
I DIECI PUNTI DEL MANIFESTO
Per riuscire a portare tutta la forza della era del Relazionésimo nelle dinamiche di sviluppo dei territori, la Fondazione omonima ne ha sviluppato il Manifesto, sintetizzato in dieci punti e consultabile integralmente al link relazionesimo.com/il-manifesto.
La persona è il centro dell’agire: l’individuo, unico e insostituibile, si rapporta all’altro non come mezzo ma come fine, soggetto di una tensione relazionale per la sua crescita spirituale, culturale e civile.
Le relazioni devono rappresentare la bussola della vita: le relazioni sono un bene primario ed essenziale per misurare la qualità di vita. I comportamenti umani producono un “effetto relazionale” che a sua volta genera valore che può essere tangibile o intangibile, materiale o immateriale.
La responsabilità deve diventare un bene comune: un legame sociale e di relazione di cura delle persone, della comunità e del pianeta in un circuito di reciprocità, interminabile e sempre aperto.
Misurare il valore delle relazioni: le relazioni sono un bene primario ed essenziale per misurare la qualità del vivere e il loro valore, materiale o immateriale, va sempre misurato e rendicontato per monitorare il ritorno economico, personale, sociale e civile.
Valorizzare il “prendersi cura”: le imprese, le organizzazioni e le istituzioni sono chiamate a introdurre nella loro rendicontazione economica, una quota di valore destinata al “prendersi cura” delle persone, delle comunità di appartenenza e dell’ambiente.
Annullare le distanze per produrre valore: i servizi e le dinamiche sociali all’interno delle città devono basarsi sulla prossimità, fattore chiave per alimentare nuove soluzioni di cura e assistenza e uno sviluppo sostenibile, capace di ridurre i costi sociali e produrre valore condiviso.
Tramandare un’eredità alle future generazioni: l’eredità, ricevuta o lasciata, è data dalla ricchezza integrale che è composta dalla somma di beni materiali e immateriali, di valori tangibili e intangibili. Un’eredità che le persone hanno il dovere di conservare, far crescere, tramandandola responsabilmente alle future generazioni.
Dare lucea all’Impresa-Comunità: l’impresa, intesa come organizzazione sia a profitto privato, sociale e pubblico, assume la postura della C-Corp (Impresa-Comunità) per attivare relazioni di reciprocità, collaborazione e cooperazione con i livelli istituzionali e con le forme di cittadinanza attiva, creando valore condiviso.
Stop a pregiudizi e discriminazioni: L’attività di Relazionésimo ha solide radici nel rispetto, nella reciprocità, nella giustizia, nella solidarietà e nell’assenza di pregiudizi e discriminazioni, fonti di disuguaglianza economica.
Superare la dicotomia pubblico vs privato: praticando innovazione sociale e adottando nuove soluzioni generative sarà possibile attuare dei cambiamenti profondi, caratterizzati da una cultura delle relazioni pervasiva che sarà in grado di strutturare e riorientare lo sviluppo dell’economia dei territori.



