ESTERI, Vietnam. A 50 anni dalla conclusione della “sporca guerra”

Alle 11.30 del mattino del 30 aprile 1975, alcuni carri armati T-54 con la bandiera rosso-azzurra con al centro la stella gialla del Fronte nazionale di liberazione (FNLV) sfondarono i cancelli nel Palazzo dell’Indipendenza di Saigon, sede del governo del Vietnam del Sud, scrivendo la parola fine alla “sporca guerra” che aveva visto protagonisti prima i francesi nel conflitto post-coloniale, poi gli Stati Uniti impegnati ad ostacolare l’avvento del comunismo in Indocina. Due ore prima un elicottero CH-46 Sea Knight si era alzato dal terrazzo della ambasciata degli Stati Uniti trasportando i dieci marines che costituivano il corpo di guardia della sede diplomatica verso il ponte della USS Okinawa. Fu l’ultimo elicottero ad alzarsi in volo in una operazione in cui furono evacuate più di 130.000 persone tra cittadini statunitensi e vietnamiti compromessi con il governo di Saigon, da quel giorno ribattezzata Ho Chi Minh City.

UNA CELEBRAZIONE DALLA DOPPIA VALENZA

50 anni dopo il Vietnam ha celebrato quell’evento con una festa dalla doppia valenza. A sud dove Ho Chi Minh City per molti è ancora Saigon, la celebrazione è stata sottolineata con la parola Riunificazione; ad Hanoi con la parola Liberazione. Liberazione dal regime dei “muppets”, i pupazzi nelle mani degli imperialisti americani, come sostengono le didascalie nei musei dedicati al conflitto. A dimostrazione che di guerre del Vietnam ce ne sono state almeno due: la prima è stata una guerra civile, la seconda quella tra le ideologie che si confrontavano nella “guerra fredda”. Tanto Hanoi si mostra austera e senza bisogno di troppe bandiere per ricordare di essere stata dalla “parte giusta”, tanto Ho Chi Minh City ne ha evidentemente ancora bisogno.  La grande parata di quasi tre ore del 30 aprile scorso e gran parte delle celebrazioni del cinquantenario si sono svolte qui, dove probabilmente si avverte ancora la necessità di conquistare “i cuori e le menti”, come avrebbe voluto il generale Westmoreland della gente dei villaggi, tanto distante dai suoi G.I. quanto vicina al Viet Minh.

ZIO HO E’ SEMPRE IL VENERATO PADRE DELLA PATRIA

Chissà cosa avrebbe detto lo Zio Ho, il venerato padre della patria vietnamita che da fondatore del Viet Minh morì nel 1969 senza riuscire a vedere la riunificazione del paese con la caduta della città che oggi porta il suo nome. L’uomo che profetizzò la vittoria finale sulle potenze occidentali fin dal 1954, quando il capo delle forze Viet Minh, Nguyen Giap, sconfisse i parà francesi nella decisiva battaglia di Dien Bien Phu. Ne sarebbero nati due Vietnam divisi dal 17° parallelo ed un movimento di guerriglia filo comunista che operando nel sud puntava ad abbattere il governo autoritario filo statunitense. Un conflitto strisciante che finì con il coinvolgimento diretto delle forze armate degli Stati Uniti in una guerra non formalmente dichiarata alla quale parteciparono più di mezzo milione di soldati americani.

PERDERE LA GUERRA E VINCERE LA PACE

Il capitalismo imperialista che stava dietro il governo del sud perse la guerra, ma certamente ha vinto la pace. Nelle capitali del Vietnam riunificato, Gucci, Prada, Dior, Rolex e Louis Vuitton e tutte le griffe del lusso ci sono. Insieme ai negozi dove si vendono le loro contraffazioni frequentati da frotte di turisti. Socialismo applicato anche questo, che consente a tanti vispi bimbetti dell’interno del paese di vestire con i marchi delle multinazionali una volta aborrite. Il Vietnam è, dietro la Cina, una delle fabbriche del mondo per quello che riguarda la manifattura dello sportswear – Nike, Adidas, The North Face e molte altre aziende producono qui – ma anche una delle prime nazioni nella contraffazione, i cui prodotti vengono venduti in mercati e bancarelle che hanno per clienti i numerosi turisti che oggi con le loro valute pregiate, costituiscono una delle voci più rilevanti nel bilancio economico del paese. (1 – segue)

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