MEDIO ORIENTE, guerra e pace. Gli israeliani e l’ipotesi di soluzione del conflitto

Dal mondo economico perviene l’esortazione a «rinnovare i legami con gli Stati arabi». In questa

Tel Aviv, 20 aprile 2025 – Il tema è stato affrontato oggi da Talia Levin dalle colonne del quotidiano “Jerusalem Post” – https://www.jpost.com/israel-news/article-850772?utm_source=jpost.app.android&utm_medium=share#google_vignette – che prendendo le mosse dall’appello lanciato da un centinaio di personalità di spicco del mondo imprenditoriale israeliano, unitesi allo scopo di promuovere un nuovo ordine regionale nel Medio Oriente, ha esplicato nei suoi dettagli questa importante opportunità.

IPOTESI NUOVAMENTE ESPLORATE

Alla base dell’ipotesi da essi caldeggiata vi è il cosiddetto «Scudo di Abramo», elemento concepito nel quadro della coalizione per la sicurezza regionale che mirava a promuovere la normalizzazione con gli Stati arabi. Uno sforzo – ricorda la Levin – la cui profusione aveva raggiunto il suo apice poco prima della guerra, ma che si era apparentemente esaurito, uscendo dal dibattito pubblico, a seguito del massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre di due anni fa. Ora, però l’ipotesi viene nuovamente esplorata, poiché considerata un’opportunità reale, probabilmente unica, di promuovere la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, costruendo una coalizione regionale con gli Stati arabi che si concentri non solo sulle questioni politiche, bensì anche su quelle economiche, infrastrutturali e tecnologiche. Insomma, per usare le parole del generale in ausiliaria Udi Dekel (direttore del programma “From Conflict to Resolution” presso l’Institute for National Security Studies (INSS) e già negoziatore con i palestinesi) «uno degli obiettivi di Hamas dell’attacco terroristico: bloccare appunto questa normalizzazione alla quale eravamo arrivati molto vicini».

INIZIATIVA NEGLETTA DA POLITICA E MEDIA

Dekel figura nel novero dei promotori di questa “Coalizione”, assieme, tra gli altri, a Lianne Pollak-David (analista strategico, già consigliere presso l’ufficio del primo ministro e il Consiglio di sicurezza nazionale), Koby Huberman (fondatore di “Israel Initiates” e autore di “The Regional Initiative”, pioniere della strategia regionale di Israele dal 2006), Moty Cristal, esperto di negoziati e di gestione delle crisi , oltreché nel passato elemento dei team negoziali israeliani con la Giordania e i palestinesi) e Attila Somfalvi (consulente strategico e politico). Il generale si è detto frustrato a causa della scarsa visibilità conferita dai media israeliani a questa iniziativa. «Essa – ha egli argomentato – potrebbe porre Israele in una posizione completamente diversa nel prossimo decennio, ma purtroppo neppure la politica se ne sta occupando: non c’è una vera discussione, sebbene ci sia un ampio consenso al riguardo». Infatti, i risultati di un recente sondaggio demoscopico effettuato su commissione dell’INSS in collaborazione con la Coalizione per la sicurezza regionale, ha  evidenziato l’orientamento dell’opinione pubblica sulle opportunità e sulle sfide di Israele nella regione, in particolare la questione degli ostaggi e l’instaurazione di relazioni con gli Stati arabi moderati.

I TERMINI DELLA QUESTIONE

Gli  israeliani sosterrebbero dunque il perseguimento di entrambi gli obiettivi, più del 72% degli intervistati riterrebbe utile un nuovo piano diplomatico del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, che porrebbe sul tavolo negoziale il rilascio degli ostaggi sequestrati da Hamas e dalle formazioni palestinesi sue alleate, la fine del conflitto, la normalizzazione delle relazioni con l’Arabia Saudita, un percorso verso la separazione dai palestinesi e un’alleanza per la sicurezza regionale guidata da Washington che tenga sotto controllo l’Iran. Al riguardo, Dekel ha assicurato: «Ci siamo consultati con gli stakeholder nei paesi arabi e abbiamo rilevato riscontri positivi, abbiamo diversi canali di comunicazione aperti con gli Stati interessati e anche la comunità internazionale ha risposto positivamente». Uno sviluppo del genere, come per altro sottolineato da Lianne Pollak-David, «potrebbe indebolire l’Iran e, al contempo, rafforzare i moderati in Medio Oriente, preservando in questo modo la sicurezza di Israele». Tutto si gioca dunque sul tempo e sulla attuali condizioni del nemico regionale dello Stato ebraico, la Repubblica Islamica dell’Iran.

NECESSARIO MUTARE APPROCCIO

Già, poiché chi ha elaborato questa strategia ha tenuto bene a mente l’isolamento e la debolezza di Teheran in questo momento, una condizione di vulnerabilità che espone lo Stato teocratico sciita ai (potenziali) effetti di un successo militare (si legga: attacco) che muterebbe ulteriormente l’ordine regionale. E poi c’è l’irrisolta questione palestinese e quella relativa al futuro della striscia di Gaza, che ad avviso di Pollak-David, interpellato dalla Levin per il JP, «non viene affrontata seriamente». Egli ritiene infatti necessario un cambiamento nell’approccio al conflitto israelo-palestinese, poiché sia i negoziati diretti che la gestione del conflitto si sono rivelati un fallimento, «tuttavia – egli sostiene -, ciò che non è stato sperimentato, e ciò che noi sosteniamo, è un approccio di respiro regionale attraverso il quale si possano rinvenire soluzioni innovative per Gaza grazie al coinvolgimento significativo degli Stati arabi moderati».

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