17 aprile 2025 – A due anni esatti dal divampare della sanguinosa guerra civile nel Sudan, martedì scorso il comandante delle Forze di supporto rapido (RSF), Mohamed Hamdan Daglo, ha annunciato la creazione di un governo parallelo a quello di Khartoum, una decisione che si ritiene esacerberà ulteriormente le divisioni in un paese già devastato da combattimenti, carestia e sfollamenti di massa.
generale Mohammed Hamdan Daglo
IL GOVERNO PARALLELO DEL GENERALE DAGLO
In un messaggio pubblicato sul proprio account Telegram, il generale Daglo ha presentato questo nuovo governo come un «esecutivo di pace e unità», arrivando persino ad annunciare l’introduzione di una nuova moneta e di una nuova carta d’identità nazionale: «Questo governo rappresenta il vero volto del Sudan», ha egli affermato. Ma il conflitto si sta impantanando e dal massacro si passa allo stallo. La guerra è divampata il 15 aprile del 2023, quando l’esercito sudanese comandato dal generale Abdel Fattah al-Burhan e l’RSF di Daglo, in precedenza suo braccio destro, hanno iniziato a combattersi. Da allora il Sudan ne patisce le drammatiche conseguenze: decine di migliaia di morti, milioni di sfollati e una carestia diffusa. Recentemente, l’esercito ha ripreso il controllo di Khartoum, da dove era stato cacciato all’inizio delle ostilità. Per molti cittadini della capitale si tratta di una “liberazione” dopo quasi due anni trascorsi sotto il controllo dell’RSF, accusato di gravi violazioni dei diritti umani, tra le quali figurano il genocidio, i saccheggi e le violenze sessuali.
generale-Abdel-Fattah-al-Buran
DI NUOVO GUERRA NEL DARFUR?
La conseguenza di questa dinamica è che, con ogni probabilità, il Darfur tornerà a trovarsi al centro dei combattimenti, così come accadde a seguito della perdita della capitale da parte delle RSF, che concentrarono le loro offensive nella regione nell’ovest del Paese. Domenica scorsa hanno annunciato di aver conquistato il campo di Zamzam, nei pressi di El-Facher, area nella quale vivevano più di cinquecentomila sfollati. Secondo le Nazioni Unite l’attacco ha causato più di quattrocento morti e ha costretto quattrocentomila persone ad abbandonare le proprie abitazioni. Attualmente l’esercito di Burhan controlla le regioni settentrionali e orientali del Sudan, mentre le RSF si attestano nel sud e nell’ovest, una divisione di fatto del Paese africano che preoccupa la comunità internazionale.
APPELLO URGENTE PER UN CESSATE IL FUOCO
Riunitisi martedì a Londra, i rappresentanti di una quindicina di stati, tra i quali gli Usa e l’Arabia Saudita, oltreché diverse organizzazioni internazionali, hanno lanciato un appello urgente per un cessate il fuoco immediato e permanente in Sudan. Nella medesima sede è stata inoltre sottolineata la necessità di impedire qualsiasi divisione del Paese. Lo stesso messaggio è stato trasmesso dai paesi del G7, che hanno chiesto la fine di tutti gli aiuti esterni che alimentano il conflitto. Da parte sua, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha denunciato il flusso di armi dall’estero e ha chiesto la cessazione del sostegno esterno alle parti in conflitto. Da diversi mesi l’esercito sudanese accusa gli Emirati Arabi Uniti di aver fornito armi alle RSF, accusa tuttavia decisamente negata sia da Abu Dhabi che dai paramilitari stessi.
LA CATASTROFE UMANITARIA
A Londra, i donatori internazionali hanno promesso l’erogazione di più di ottocento milioni di euro allo scopo di fare fronte alla crisi umanitaria in atto nel Sudan. Il ministro degli Esteri britannico David Lammy ha denunciato il silenzio della comunità internazionale, mentre l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, ha avvertito che l’inazione avrebbe conseguenze catastrofiche. Infatti, secondo l’Onu nel paese africano sconvolto dalla guerra venticinque milioni di persone versano in una situazione di grave insicurezza alimentare, di queste, otto milioni sono sull’orlo della carestia. Il sistema sanitario è in rovina, aspetto che rende per altro impossibile qualsiasi valutazione accurata della dimensione del dramma. Stime non ufficiali indicano in centocinquantamila il numero delle vittime dall’inizio della guerra.