MEDIO ORIENTE, Siria e Mediterraneo. La strategia di Erdoğan verte sull’espansione militare in Siria

La Turchia intende stabilire nuove basi militari in Siria sulla base di un accordo nel settore della difesa con il nuovo governo siriano formato da Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Allo scopo, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha programmato la propria visita ufficiale a Damasco per addivenire a uno spiegamento di forze nel Paese arabo in virtù di accordi nel settore della Difesa. Egli incontrerà Ahmed al-Sharaa (Abu Muhammad al-Joulani), col quale si ritiene stipulerà intese che conferiranno una veste giuridica allo schieramento di forze da parte di Ankara in diversi luoghi. Si tratta di protocolli relativi all'addestramento delle forze di terra e dell'aeronautica del nuovo governo al potere a Damasco, oltre alla riattivazione (e alla supervisione) degli aeroporti e dei porti. Ovviamente, non sfugge che se tutto questo avrà luogo favorirà l’azione contro i curdi del YPG, ma non solo: avrà anche una valenza in funzione deterrente nei confronti di Israele

In passato Ankara è stata la principale sostenitrice di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), organizzazione jihadista nata sulle ceneri di Jabhat al-Nusrah, a suo tempo ufficialmente affiliata ad al-Qaeda nella fase in cui quest’ultima era guidata da Ayman al-Zawahiri, che in seguito, tuttavia se ne distaccò (2016), aprendo la strada alla fusione con diversi altri gruppi islamisti in Siria e al mutamento della propria denominazione, che divenne dapprima Jabhat Fath al-Sham, quindi, nel 2017, Hayat Tahrir Al-Sham.

METAMORFOSI E ASCESA DI HTS

Divenuta branca di Islamic State in Siria, con la disfatta militare del califfato di al-Baghdadi rimase sostanzialmente confinata nella enclave della provicia di Idlib. Inserita nell’elenco delle organizzazioni terroristica dagli Stati Uniti d’America e da diversi altri paesi, negli ultimi mesi del 2024 si rese protagonista della fulminante offensiva che condusse alla caduta degli Assad. Proprio a seguito del crollo del regime baathista, coincidente con la perdita di influenza e capacità di manovra nello scacchiere regionale dei suoi principali sostenitori (Russia e Iran), la Turchia ne ha approfittato allo scopo di incrementare la propria influenza sul Paese a lei confinante.

I PROTETTORATI DI ANKARA

Ankara potrebbe ben presto trasformare la Siria (o almeno parte di essa) in un proprio protettorato. In questo senso andrebbe letta la possibile attesa visita ufficiale del presidente Recep Tayyip Erdoğan a Damasco, un evento dalla duplice funzione: legittimare il nuovo governo siriano di Ahmed al-Sharaa (Abu Muhammad al-Joulani) e contestualmente porre le basi per una presenza militare turca nel Paese, formalmente sancita da una serie di accordi nel settore della Difesa. Da questo punto di vista non è casuale il fatto che i turchi abbiano riaperto la loro sede diplomatica a Damasco dopo dodici anni, inviando nella capitale siriana il responsabile dell’intelligence İbrahim Kalın e, successivamente, il ministro degli Esteri Hakan Fidan.

ARRIVANO I TURCHI

A questo punto ci si attende dunque che la Turchia apra nuove basi militari in Siria, che andrebbero ad aggiungersi a quelle nella parte settentrionale del Paese, nella fascia territoriale immediatamente a ridosso dei confini con l’Anatolia (principalmente nei governatorati di Aleppo e Idlib), una profonda penetrazione militare a suo tempo resa possibile dalla risolutezza di Ankara e dalle sue contestuali intese con la Russia, difficile quanto indefettibile interlocutore sull’esteso scacchiere. La stampa araba ha ventilato l’ipotesi della costituzione di installazioni militari turche a Damasco e Homs (Palmira), di un impiego della base navale di Tartus e, inoltre, dell’efficientamento del sistema di difesa aerea siriano in funzione anti israeliana, con installazioni anche nel governatorato di Quneitra (Golan).

LA SPINA NEL FIANCO CURDA

Ma uno sviluppo del genere rinforzerebbe notevolmente Damasco nei confronti delle Forze democratiche siriane (SDF), che, sostenute dagli Stati Uniti d’America, rinvengono la loro roccaforte nella città di Kamishli (Siria nordorientale), dove le Unità di Difesa del Popolo curdo (YPG), che ne costituiscono la componente preponderante, si sono ritagliate ampi spazi di autonomia. Esse vengono ricondotte all’organizzazione terroristica curda PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), è per questo combattute da Ankara, che ha scatenato diverse offensive nell’area, anche oltre il confine iracheno fino alle importanti basi logistiche della zona di Qandil, non distante dalla città di Erbil. Un elemento degli accordi che potrebbe fare gioco ai turchi è quello del contrasto della minaccia all’integrità territoriale siriana posta dai separatisti curdi dell’YPG/PKK nelle SDF.

DETERRENZA NEI CONFRONTI DI ISRAELE

Servendosi di queste nuove basi in Siria (qualora venissero effettivamente costituite), le unità militari turche si troverebbero nelle condizioni di meglio operare contro le SDF, delle quali Ankara mira all’annientamento. Stati Uniti d’America e Francia sono attualmente impegnate allo scopo di far cessare gli scontri armati  che vedono opposte le fazioni armate siriane filo-turche e le SDF, divampati alla caduta del regime di Assad, tuttavia, gli analisti ritengono che la situazione permarrà incerta fino a quando la politica di Washington non si delineerà con maggiore chiarezza a seguito dell’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump. Ma quelle stesse basi potranno fungere da deterrente nei confronti di Israele, che dopo la caduta del regime baathista ha distrutto la maggior parte delle capacità militari siriane, prendendo il controllo del versante siriano del Monte Hermon e mantenendo una propria presenza in altre aree nella Siria meridionale.

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