«Nei miei ventisei anni di carriera presso la Central Intelligence Agency mi sono reso conto molti termini impropri nel campo dell’intelligence venivano condivisi dal pubblico e persino dai politici, così il concetto di certezza predittiva, cioè l’essere in grado di prevedere gli eventi mondiali» Con queste parole ha esordito Marc Polymeropoulos nel suo commento pubblicato da “Atlantic Council” il 27 agosto 2024, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/new-atlanticist/how-the-israeli-intelligence-community-got-its-mojo-back/, introducendo il tema di ciò che i decisori politici vorrebbero dall’intelligence, che gli si dica loro esattamente cosa accadrà riguardo a un dato scenario. «Ma questo – argomenta Polymeropoulos -, ovviamente, accade di rado, perché è una nozione derivata dai libri e dai film di spionaggio».
NESSUNA SORPRESA
«Invece – prosegue Polymeropoulos -, in qualità di ufficiale operativo della CIA ho sempre creduto che ci saremmo dovuti impegnare nella raccolta di informazioni che, in definitiva, avrebbero potuto lanciare un avvertimento ai decisori politici. Tale funzione di avvertimento era, ed è ancora, fondamentale nella descrizione del lavoro di qualsiasi stazione della Central Intelligence Agency». Ad avviso del senior fellow presso lo Scowcroft Center for Strategy and Security dell’Atlantic Council, il verificarsi di un evento può apparire probabile mediante segnali mai definitivi (ad esempio un’invasione militare o un colpo di stato pianificati), conseguentemente, le informazioni raccolte devono indurre i decisori politici a considerare le diverse opzioni possibili. «Nessuna sorpresa era il mantra che ispirava la mia azione nel corso dei periodi trascorsi a Washington e mentre prestavo servizio all’estero quale ufficiale operativo. Dicevo ai miei colleghi del Dipartimento di Stato, della Casa Bianca e del Dipartimento della Difesa che le mie attività di raccolta avrebbero dovuto essere giudicate un successo se non fossero mai state colte di sorpresa».
I LIMITI DELL’INTELLIGENCE
Tuttavia, tutto questo comporta un evidente limite, quello dell’impossibilità di assicurare a un ambasciatore (nel caso di Polymeropoulos degli Stati Uniti d’America) che vengano raccolte, analizzate e valutate tutte le informazioni, «poiché non ci si deve aspettare che l’intelligence abbia un tale livello di granularità da implicare la certezza di un risultato». Ma, per quanto concerne l’attacco preventivo dei giorni scorsi sul Libano, l’autore si dice convinto che rimarrà nella storia militare israeliana, al pari di quelli effettuati contro le forze aeree e terrestri egiziane nel 1967. Un grosso successo per la comunità di intelligence israeliana, che ha ottenuto informazioni a tal punto importanti da rivelarsi di natura altamente predittiva e, probabilmente, in grado di scongiurare una guerra più ampia.
I PREGI DELL’INTELLIGENCE
Riprendendo i resoconti del fatto pubblicati dai media, Polymeropoulos riconosce ampi meriti alla comunità di intelligence israeliana, poiché avrebbero delineato alla perfezione lo scenario futuro fornendo ai decisori politici e militari del Paese indicazioni relative a al piano massivo di attacco missilistico contro le zone settentrionali e centrali del territorio dello Stato ebraico al quale Hezbollah si apprestava ad attuare. I servizi segreti israeliani sono stati in grado di indicarne la data (domenica 25 agosto), l’ora (le 05:15 del mattino ora locale) e le unità della milizia sciita libanese che l’avrebbero condotto. Polymeropoulos ritiene che il successo dell’attività di intelligence vada presumibilmente ricondotto a una combinazione di segnali (quali ad esempio l’intercettazione di un ordine proveniente dall’interno della catena di comando della struttura militare di Hezbollah), da immagini dei movimenti all’interno delle stesse unità lanciarazzi, lanciamissili e droni, ricavate dagli israeliani probabilmente per mezzo di velivoli a pilotaggio remoto e da altre fonti ricognitive, oltreché dalla Humint, quindi dai resoconti effettuati da persone che hanno comunicato a Tel Aviv i piani e le intenzioni precise della leadership della struttura militare dell’organizzazione sciita libanese.
EFFETTO DE-ESCALATION
Al riguardo va tenuto in considerazione il fatto che l’intelligence israeliana nel recente passato ha dimostrato concretamente di essere in grado di penetrare Hezbollah con l’eliminazione di Fuad Shukr, stretto collaboratore di Hassan Nasrallah, ucciso a Beirut lo scorso mese di luglio. Il patrimonio informativo ricavato e successivamente lavorato ha quindi posto le Forze di difesa israeliane (IDF) nelle condizioni di sferrare l’attacco preventivo, impiegando allo scopo (presumibilmente) un centinaio di velivoli nella distruzione dei due terzi dei sistemi d’arma che i miliziani di Hezbollah erano in procinto di lanciare. «Sembra abbastanza chiaro che i piloti israeliani conoscevano la posizione precisa delle unità missilistiche e missilistiche di Hezbollah – sottolinea Polymeropoulos -, ottenuta dall’intelligence». Egli prosegue poi affermando che l’attacco basato sulla vasta e accurata operazione di intelligence «ha quasi certamente evitato una guerra più ampia, poiché ha avuto effetti di de-escalation». Infatti, evitato un evento foriero di vittime di massa in Israele, sia che fossero esse civili o militari, non c’è stata ragione del ricorso a una massiccia risposta israeliana, che avrebbe con ogni probabilità incluso degli attacci alla periferia meridionale della città di Beirut.
ASPETTI PSICOLOGICI INTERNI A ISRAELE
In seguito, gli organi di stampa e propaganda di Hezbollah hanno riferito che era stata attaccata l’infrastruttura di sicurezza nazionale israeliana, in particolare la direzione del Mossad e un edificio dell’Unità 8200 (unità di sorveglianza elettronica, ascolto e intercettazione dell’AMAN, Agaf HaModi’in o Sezione informazioni militari), ma qualora verificate, conclude Polymeropoulos, sul piano degli effetti psicologici il successo dell’intelligence di cui sopra «dovrebbe rassicurare l’opinione pubblica e i decisori politici israeliani», che adesso possono tornare a contare su apparati di sicurezza che «si sono ripresi con le loro forze»