Mai sottovalutare una gastroenterite acuta. Uno studio pubblicato su “Gut” da un gruppo di ricercatori del Gemelli dimostra che può virare verso un quadro si sindrome dell’intestino irritabile, anche in forma grave. Sul banco degli imputati virus come il SARS CoV-2 e batteri come Campylobacter ed Enterobacteriaceae, protagonisti di tante infezioni gastro-intestinali estive.
SINDROME DELL’INTESTINO IRRITABILE
Quell’insieme di disturbi digestivi che va sotto il nome di sindrome dell’intestino irritabile (IBS), in molti casi potrebbe rappresentare l’ennesima eredità del Covid-19, ma anche della cosiddetta «maledizione di Montezuma» (anche nota come diarrea del viaggiatore). Lo suggerisce uno studio appena pubblicato su Gut (del gruppo British Medical Journal) da un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore-Fondazione Policlinico Gemelli. Spiega al riguardo il professor Giovanni Cammarota (ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore della UOC di Gastroenterologia, Fondazione Policlinico Gemelli Università Cattolica del Sacro Cuore), che «la sindrome dell’intestino irritabile, disturbo che coinvolge l’asse intestino-cervello, è caratterizzata da dolori addominali a insorgenza “capricciosa”, gonfiore, stipsi alternata a diarrea, affligge secondo le stime della Società Italiana di Gastroenterologia il 20-40% della popolazione italiana, con una predilezione per le donne e la fascia d’età tra i venti e i cinquanta anni».
LA RICERCA SUI BATTERI AGGRESSIVI
Per alcuni rappresenta un disturbo di lieve entità, ma per molti altri è una condizione che impatta pesantemente sul quotidiano e sulla qualità di vita. Le cause non sono né ben definite e neppure univoche, aspetto questo che non aiuta certamente a trovare soluzioni terapeutiche efficaci. La nuova ricerca appena pubblicata su Gut è dunque preziosa, poiché aiuta a far luce su alcune cause specifiche dell’IBS. Sotto i riflettori dei ricercatori romani sono dunque finiti il Sars CoV-2 (il virus che causa il Covid-19) e batteri aggressivi per l’intestino e pro-infiammatori (come Proteobacteria e Enterobacteriaceae) che possono causare episodi di gastroenterite acuta. «Dopo aver fatto una ricognizione accurata di tutta la letteratura scientifica riguardante la comparsa di IBS dopo un episodio di gastroenterite – afferma il dottor Gianluca Ianiro, docente di Gastroenterologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, gastroenterologo di Fondazione Policlinico Gemelli e corresponding author – abbiamo evidenziato che i sintomi di IBS compaiono in una persona su sette a seguito di un episodio di infezione gastrointestinale. L’analisi dei dati ha consentito anche di appurare che dopo questo “innesco” i disturbi permangono dai sei agli undici mesi in almeno la metà delle persone colpite da una gastroenterite acuta; tuttavia, altri studi suggeriscono che la durata dell’IBS potrebbe protrarsi fino a oltre cinque anni».
DISTURBI DI LUNGA DURATA
«La presenza di disturbi d’ansia prima dell’episodio di gastroenterite triplica inoltre il rischio di sviluppare IBS – evidenzia la dottoressa Serena Porcari, contrattista presso la UOC di Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli e primo autore dello studio -, per quanto poi concerne gli agenti infettivi, il nostro studio ha evidenziato che la maggior comparsa di IBS si ha dopo una gastroenterite acuta da Campylobacter (21%); le probabilità di sviluppare IBS sono cinque volte maggiori dopo infezione da Proteobacteria o da SARS CoV-2 e 4 volte maggiori dopo infezioni da Enterobacteriaceae». Conclude dunque il professor Antonio Gasbarrini (coautore dello studio e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ordinario di Medicina interna e direttore della UOC di Medicina Interna e Gastroenterologia di Fondazione Policlinico Gemelli), che «la fisiopatologia dell’IBS non è ancora sufficientemente nota e nell’immaginario collettivo (ma anche nell’opinione di molti medici), quelli che vanno sotto il nome di IBS sono disturbi con un’importante componente psicologica e non una malattia di tipo organico; questo comporta il rischio di sottovalutare e sotto-trattare i pazienti, abbandonandoli ai loro disturbi. Visto che la gastroenterite è un’evenienza molto comune, i risultati del nostro studio potrebbero essere rilevanti in un’ottica di salute pubblica e portare i medici a seguire con più attenzione l’evoluzione di questi disturbi in un paziente che abbia presentato un episodio di gastroenterite acuta».