VATICANO, palestinesi e Nabka. L’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede esprime critiche riguardo al «revisionismo pericoloso»

Egli è intervenuto a seguito della pubblicazione dell’articolo del gesuita David Neuhaus da parte de “La Civiltà Cattolica”. Infatti, in “Ripensare la partizione della Palestina” si sostiene che «il bisogno di uno Stato ebraico» sia il frutto di «una credenza post-Shoah», da cui conseguono le lamentele del diplomatico di Gerusalemmme, che sottolinea come «l’associazione fatta tra Olocausto degli Ebrei e Nabka palestinese non riflette alcuna verità storica», sottolineando che la seconda è stata causata «dall’aperto rifiuto dei leader arabi di accettare ogni possibilità di partizione del territorio della Palestina»

Raphael Schutz, ambasciatore dello Stato di Israele presso la Santa Sede, ha posto in luce ciò che lui stesso  definisce come «revisionismo pericoloso». Lo ha fatto intervenendo nel dibattito in corso mediante un suo articolo di stampa pubblicato da “First Things” l’8 marzo scorso.

NABKA E SHOAH NELL’ARTICOLO DI “CIVILTÀ CATTOLICA”

Dopo aver fatto una disamina dei buoni rapporti tra cattolici ed ebrei, nonché tra Santa Sede e Stato di Israele, andatisi sviluppando negli ultimi sessant’anni a partire dalla Nostra Aetate (documento fondamentale emesso al tempo del Concilio ecumenico vaticano II), il diplomatico israeliano ha avuto modo di evidenziare «come questo spirito positivo non abbia raggiunto ogni angolo del mondo cattolico». Egli ha quindi posto alla base della sua osservazione l’esempio rappresentato dall’articolo a firma del gesuita David Neuhaus pubblicato da “La Civiltà Cattolica”, intitolato “Ripensare la partizione della Palestina”. Schutz lamenta infatti che «l’associazione fatta tra l’Olocausto e la Nabka palestinese (letteralmente «catastrofe», termine invalso nel linguaggio comune dei palestinesi a indicare l’esodo seguito alla guerra del 1948, n.d.r.) non riflette alcuna verità storica», sottolineando inoltre come la Nabka sia stata causata «dall’aperto rifiuto dei leader arabi di accettare ogni possibilità di divisione».

IL DRAMMA DEGLI UNI E QUELLO DEGLI ALTRI

L’ambasciatore si è mostrato critico anche riguardo al fatto che Neuhaus consideri il bisogno di uno Stato ebraico alla stregua di «una credenza post-Shoah», sebbene poi lo stesso gesuita abbia ricordato come la Dichiarazione di Balfour risalisse al 1917 (non dunque al 1948-49), sottolineando che «la Nabka palestinese è connessa con la Nabka degli Ebrei che, però, Neuhaus non cita», cioè che, «mentre 700.000 palestinesi persero le loro case durante la guerra del 1948-49, un milione di ebrei vennero espulsi dai Paesi arabi dove vivevano soltanto perché ebrei». Il diplomatico israeliano ha infine fatto presente come Neuhaus selezioni gli argomenti sull’esistenza dell’identità nazionale palestinese, «citando affermazioni che si accordano con le sue visioni politiche, ignorando però l’abbondanza di prove che le contraddicono», a iniziare da alcuni racconti di Mark Twain.

PERICOLOSO REVISIONISMO OPPURE INUSUALE E SOLITARIA OPINIONE?

Egli aggiunge che «ad avviso di numerosi studiosi della materia, il nazionalismo palestinese, che si distingue dal nazionalismo arabo, prese forma soltanto all’inizio del XX secolo, quando un quarto degli arabi residenti in Palestina a quel tempo erano comunque migranti». Schutz lamenta che il gesuita autore dell’articolo «non ha pronunziato una singola parola di critica riguardo alla ostinata resistenza palestinese al piano di partizione, aspetto, questo, che a motivato i suoi sostenitori a scatenare una guerra sanguinosa che ha portato alla Nabka palestinese e a quella ebrea». La conclusione dell’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede è quindi quella che «poiché l’autore è un sacerdote cattolico, questo indica un pericoloso revisionismo, che costituisce un distacco dal processo iniziato con la Nostra Aetate», auspicando che si sia trattato di «un’inusuale e solitaria opinione».

Condividi: