MUSICA, cantautrici. Vi Skin, una delle vocalità italiane migliori e il suo nuovo singolo: Sei

«Ho sempre tenuto in penombra l’amore di coppia nella mia musica – afferma l’artista -, perché credo sia facile parlarne e che di testi sulla bellezza dell'innamoramento, così come sulle relazioni impossibili, ce ne siano ormai troppi, spesso, forse, per consolare un pubblico di cuori infranti, o per cercare di raccontarlo a coloro che lo vedono come una tana fuori dal proprio mondo. Stavolta però, ho deciso di mettere la voce al servizio del mio significato di amore, cantando della più bella e combattuta storia che abbia mai vissuto, mostrando come un “addio” possa divenire presenza e ricerca costante dell’amore stesso, che va colto in ogni stralcio di quotidiano, perché riecheggia in ogni cosa, e di ogni cosa, ne è l'essenza»

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Riconosciuta dalla critica quale una delle vocalità più emozionanti e suggestive del panorama pop-cantautoriale italiano, annoverata tra le più promettenti cantautrici, Vi Skin torna a magnetizzare il proprio pubblico con “Sei”, il suo nuovo singolo.

«SEI»: DECLINAZIONE E CONGIUNZIONE DELL’ESSERE

Sei, come declinazione e al contempo congiunzione dell’essere, ma anche come emblema della dicotomia bene-male, più allendiana, mistica ed esoterica, ove l’amore rappresenta tutto e il suo contrario, ove chi ama non si annulla nell’altro, ma per il bene dell’altro, per la sua libertà di crescita ed evoluzione, è disposto a farsi da parte – «ben venga se perdere me ti fa ritrovare te» -, incastonando quegli «sguardi persi, forse troppo persi» nello scrigno dei ricordi. Un brano, intimo, sentito, sofferto, in cui la brillante autrice e interprete ciociara si mette a nudo lasciando emergere i riflessi del cuore, trasformando liriche struggenti e malinconici tocchi sul bianco e nero dei tasti del suo pianoforte in una carezza che inonda, travolge e rapisce i sensi sin dal primo ascolto.

IL RITRATTO EVOCATIVO DI UN’ASSENZA FISICA

Il ritratto evocativo di un’assenza fisica in grado di risuonare più presente che mai – «ti ritrovo nei miei testi, almeno lì so che resti» – in battiti così assordanti da annichilire il cuore – «non sento più il cuore, me lo presti?» -, dove pathos e dolore si fondono nella consapevolezza di non poter amare a metà – «non posso permettermi occhi incolore, baci insapore, profumi inodore, mi appassiscono il cuore» -, ma al tempo stesso, di non voler lasciar andare la sostanza stessa di quel tormento senza il quale ogni cosa perde di significato – «queste lacrime sanno di te, non voglio piangere, non voglio che scivoli via da me» -, prosegue la lirica del brano.

UNA «NON CANZONE D’AMORE» CHE ATTRAVERSA L’ANIMA

Una non canzone d’amore che attraversa l’anima, poiché è capace di manifestare sensazioni, emozioni e sentimenti senza cercare di descriverli, di raccontarli; un flusso di coscienza su ciò che, per antonomasia, coscienza non ne ha, perché l’Amore, come scrisse Albert Einstein, «è la quintessenza della vita» e valica ogni ragione, assioma, etichetta, parlando all’universo intero senza alcun ausilio di logica, espressione, parola, perché l’Amore, quello vero, supera i concetti di estetica e aspetto, per racchiudere il nucleo, il cuore del suo cuore, in silenzi che dicono tutto: «Non mi è mai importato dell’involucro che hai, non dice chi sei …sei essenza dei silenzi miei».

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