STRATEGIA, dinamiche globali. Come leggere la presenza cinese al vertice SCO di Samarcanda

In Uzbekistan il presidente russo ha affermato che verrà posta «fine al conflitto in Ucraina il prima possibile», tuttavia questo non dovrebbe comunque alimentare eccessive aspettative riguardo alla sua smania di pace. Nell’incontro che ha avuto con il segretario generale del Partito comunista cinese, nonché presidente della Commissione militare centrale, Xi Jinping, Putin ha concentrato i propri interessi sugli aspetti relativi a quella grande parte del mondo che non è Occidente

Xi Jinping si è recato in visita dapprima in Kazakistan (14 settembre), quindi in Uzbekistan, a Samarcanda, dove il 15 e il 16 settembre ha preso parte al vertice della Shanghai Cooperation Organization (SCO). Si è trattato del suo primo viaggio fuori dalla Cina dall’inizio della pandemia di Covid-19, cioè dal gennaio del 2020. Come era nelle previsioni, il suo atteso incontro con il presidente della Federazione russa Vladimir Putin, che ha avuto luogo a margine del vertice il giorno 15, ha approfondito la cooperazione tra Pechino e Mosca per quanto concerne la governance globale, senza tuttavia mutare la posizione cinese riguardo alle sanzioni statunitensi.

IMPLICAZIONI DEL VIAGGIO DI XI JINPING

La partecipazione di Xi al vertice di Samarcanda comporta diverse implicazioni, prima tra tutte la sempre più evidente priorità conferita da Pechino al mondo non occidentale. Xi, apparentemente sicuro della solidità della sua leadership interna nell’immediata vigilia del XX Congresso del Partito comunista, con il viaggio in Kazakistan e Uzbekistan e gli incontri con i capi di Stato di buona parte delle super e medie potenze del mondo, ha inteso confermare dopo due anni e mezzo di assenza dalle scene internazionali il suo ruolo nel sistema. Ma, si osserva, la sua decisione di recarsi all’estero rimarcando questa sua fondamentale, non rifletterebbe soltanto l’avvio di una fase di parziale allentamento delle restrizioni sugli spostamenti internazionali per i cinesi, quanto l’indice della crescente sensazione che la sua assenza dai consessi di respiro globale stesse erodendo l’influenza diplomatica del suo Paese.

BILANCIARE L’ATTIVISMO AMERICANO

Infatti, è qualcosa che avviene a fronte dell’intenso attivismo degli Stati Uniti d’America, che stanno giocando la carta della coesione nella regione dell’Indo-pacifico allo scopo di aggregare (o di non perdere per la strada) alleati e paesi aventi potenzialmente comuni interessi nel quadro economico che Washington vorrebbe disegnare. In questo senso il G7 ha annunciato investimenti pari a seicento miliardi di dollari a finanziamento di opere infrastrutturali allo scopo di contrastare la Belt and Road Initiative cinese. Le priorità di Xi riflettono dunque il mutamento di indirizzo della diplomazia di Pechino, divenuta meno arida in Asia centrale e sempre più attenta alle relazioni con il mondo non occidentale in politica estera. Le difficoltà economiche derivate ai paesi in via di sviluppo dall’invasione militare russa dell’Ucraina e dalle conseguenti sanzioni imposte dall’Occidente non hanno fatto altro che fornire un sostegno allo sviluppo di questo programma da parte cinese. Una strada che Xi, una volta confermato a capo della Repubblica Popolare dal XX Congresso del Partito a ottobre, potrebbe continuare a percorrere a passi vigorosi, rimarcando ulteriormente la posizione assertiva della Cina nei confronti dell’Occidente.

IL RUOLO DELLA SHANGHAI COOPERATION ORGANIZATION

A questo punto la SCO risulta essere una organizzazione modellata sulla visione di Xi relativa al nuovo paradigma di relazioni internazionali, del tutto tollerante nei confronti dell’autoritarismo e della negazione dei valori liberali. Questa assise fino a oggi è stata spesso considerata con sufficienza e un velo di disprezzo alla stregua di un contenitore utile ai colloqui tra Stati informati dai medesimi principi e, di risulta, nelle condizioni di concepire forme di cooperazione significativa. La sua tradizionale enfasi è stata posta sulla contrasto del terrorismo, di recente è stata infatti luogo del confronto delle potenze regionali allarmate dal ritorno dei talebani al potere in Afghanistan, con tutte le conseguenze che questo ha comportato e potrà comportare. Un soggetto di peso più che notevole, ma autoreferenziale, che si coordina senza riferirsi alle posizioni occidentali su democrazia, diritti umani ed economia di mercato. Lo SCO quale embrione di una organizzazione che nei piani di Pechino dovrebbe assumere la guida delle altre istituzioni multilaterali.

NUOVI EQUILIBRI DI POTENZA IN ASIA CENTRALE

Ma, nella regione si giocano anche altre e parallele partite. Dopo l’invasione dell’Ucraina alcuni paesi dell’Asia centrale cercheranno di approfittare dell’occasione per sganciarsi almeno parzialmente da Mosca, sfruttando proprio l’attuale dinamismo di Xi. Come il Kazakistan, messo in difficoltà dalle sanzioni occidentali,  il cui rispetto comprometterebbe il Caspian Pipeline Consortuim (CPC), oleodotto che attraverso il territorio della Federazione russa convoglia l’80% del greggio prodotto nel paese in Europa. Ecco quindi che si comprende meglio il valore simbolico della visita di Xi Jinping a Nur Sultan, poiché il suo incontro con il presidente Kassym-Jomart Tokayev (che ha avuto luogo prima di quello con Putin) assume una valenza sul piano della rappresentazione dei nuovi equilibri di potenza che si vanno assestando nella regione: il Kazakistan rende evidente a Mosca di avere anche altri amici potenti. Inoltre, per il presidente cinese recarsi prima in Kazakistan favorisce la percezione che il suo viaggio in Asia centrale non avesse l’esclusivo scopo dell’incontro con Putin.

NON OLTREPASSARE LA «LINEA ROSSA» AMERICANA

Se va in ogni caso rilevato che né i kazaki e né gli uzbeki desiderano incrinare irreparabilmente le proprie relazioni con Mosca, è anche vero, però, che Cina e Russia hanno bisogno di approfondire i loro reciproci legami, ma questo per i cinesi presuppone che non venga oltrepassata la linea rossa tracciata dagli Stati Uniti. Xi vede la Russia nelle forme di un partner, magari un junior partner, nella creazione di un mondo caratterizzato da una marcata multipolarità e da una decrescente influenza su di esso esercitata da Washington, che fa di tutto per ostacolare l’ascesa della Cina Popolare verso l’affermazione come prima superpotenza. Sia Pechino che Mosca aspirano a un ordine internazionale che sostenga i loro sistemi autoritari, permetta la concentrazione sullo sviluppo economico e la sicurezza del regime comunista, qualcosa che non concepisca ingerenze negli affari interni, nella politica estera e che non si opponga alle rivendicazioni territoriali (della repubblica Popolare e dei suoi alleati). Un intendimento confermato nel colloquio telefonico intercorso tra Xi e Putin lo scorso giugno, quando il presidente cinese ha chiesto una maggiore cooperazione sul piano strategico e un più stretto coordinamento nell’ambito delle istituzioni multilaterali, inclusa ovviamente la SCO.

L’INTERVENTO CINESE ALL’EASTERN ECONOMIC FORUM

Dall’incontro tra Xi e Putin potrebbe implementarsi la cooperazione in materia commerciale, energetica, nell’agricoltura, infrastrutture, scienza, tecnologia, istruzione, salute e cultura. Li Zhanshu, terza personalità in ordine di importanza dell’attuale nomenklatura comunista cinese, ha recentemente sottolineato l’importanza di queste materie quale priorità ai fini di una più profonda cooperazione. Egli si è espresso in questi termini nel corso di un suo intervento all’Eastern Economic Forum (EEF) di Vladivostok il 7 settembre scorso, evento che è stata altresì occasione di incontro con Putin. «Rafforzare gli scambi ufficiali, contrastare le interferenze straniere, contrastare le sanzioni e contrastare la giurisdizione internazionale», questi i concetti esplicitati alla platea di funzionari russi convenuti per ascoltarlo.

LE PAROLE DI LI ZHANSHU

Mosca vorrebbe un maggiore sostegno da Pechino nella sua disastrosa guerra di occupazione in Ucraina, ma è improbabile che ne riceverà di più di quello che finora ha ottenuto. Alla luce di questi desiderata appaiono disperati (seppure possano avere una relativa efficacia in termini propagandistici interni) i resoconti delle agenzie di stampa russe che hanno attribuito a Li Zhanshu una posizione favorevole al conflitto, citando e commentando ai fini di una “interpretazione autentica” le parole del leader cinese, passaggi tipo: «Capiamo pienamente la necessità di tutte le misure prese dalla Russia… e stiamo fornendo la nostra assistenza». Li ha riferito a Putin che Pechino gli avrebbe fornito «un fermo sostegno su questioni che ineriscono agli interessi principali e alle principali preoccupazioni reciproche», ma questo non significa che la politica della Repubblica Popolare stia cambiando nel senso che il Cremlino vorrebbe, semmai il numero tre del Partito comunista cinese ha giocato con il suo pubblico.

ALLEATI, MA FINO A UN CERTO PUNTO…

La solidarietà a parole riveste la sua importanza, tuttavia permane assai probabile che pechino non si invischierà nella guerra ucraina di Putin, fornendo a quest’ultimo significativi aiuti militari, evitando in questo modo di violare le sanzioni statunitensi e i controlli sulle esportazioni. La Cina Popolare non vuole (e assolutamente non può) sacrificare la propria economia per sostenere le avventure di Mosca. Però è in grado di fare qualcos’altro, come approfittare della situazione per importare volumi crescenti di materie prime energetiche dalla Russia, beneficiando degli sconti sui prezzi ai quali gli esportatori di Mosca sono costretti a causa del boicottaggio occidentale. Non solo, i cinesi adesso dispongono anche di maggiori margini di manovra nell’azione sul piano monetario. Essi non sono rimasti inerti, infatti, nella particolare temperie favorita dalla negazione all’accesso al sistema Swift ai russi, hanno incoraggiato un maggiore utilizzo dello yuan nelle transazioni bilaterali. In conclusione, le relazioni più strette tra Repubblica Popolare cinese e Federazione russa renderanno più aspro e critico il confronto strategico in atto tra Pechino e Washington, accentuando parallelamente l’allineamento dell’Unione europea sulle posizioni  americane sulla Cina, esercitando in questo modo una maggiore pressione sulla crescita economica di quest’ultima.

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