TELECOMUNICAZIONI, Ericsson. I guai del «dossier Iraq» derivanti dall’indagine della SEC

Per mezzo di un comunicato stampa ufficiale, anche a seguito delle vicissitudini sul piano borsistico-finanziario degli ultimi tempi, il gruppo svedese delle telecomunicazioni ha inteso confermare la propria volontà di collaborare con le autorità statunitensi in ordine alla vicenda relativa al cosiddetto «dossier Iraq», dopo che la SEC aveva avviato una indagine sulle attività precedentemente poste in essere dalla società svedese nel Paese mediorientale

Per mezzo di un comunicato stampa ufficiale, anche a seguito delle vicissitudini sul piano borsistico-finanziario degli ultimi tempi, il gruppo svedese delle telecomunicazioni ha inteso confermare la propria volontà di collaborare con le autorità statunitensi in ordine alla vicenda relativa al cosiddetto «dossier Iraq», dopo che la SEC aveva avviato una indagine sulle attività precedentemente poste in essere dalla società svedese nel Paese mediorientale.

L’INDAGINE DELLA SEC

La Securities and Exchange Commission (SEC), cioè l’ente federale statunitense preposto alla vigilanza della borsa valori americana, aveva in precedenza notificato alla società svedese di aver avviato un’indagine in ordine alle questioni descritte nel rapporto sull’Iraq redatto nel 2019 della stessa Ericsson. In un comunicato stampa diffuso dalla sede centrale del gruppo leader nella fornitura di tecnologie e servizi per la comunicazione si afferma che: «I tempi per determinare o prevedere l’esito delle indagini sono al momento prematuri, tuttavia, Ericsson sta collaborando pienamente con la SEC». Una posizione dunque del tutto  in linea con quella espressa recentemente dal vertice del gruppo per bocca di Borje Ekholm, che aveva sottolineato come Ericsson fosse «totalmente impegnata a collaborare con la Giustizia americana».

COLLABORAZIONE CON UN OCCHIO ALLE TRIMESTRALI DI CASSA

Da questa non chiara vicenda Ericsson è stata successivamente messa alla prova sul piano finanziario, dove se ne sono prodotti gli effetti, in primo luogo alla borsa valori di Stoccolma, che nel primo trimestre del 2022 ha registrato notevoli cessioni del titolo azionario della società del settore telecomunicazioni proprio nella prospettiva di ulteriori oblazioni alla Giustizia statunitense derivanti dalla vicenda di corruzione in Iraq, con il titolo che è arrivato a perdere oltre l’8 per cento. Il «caso Iraq» era esploso nello scorso mese di febbraio a seguito della pubblicazione di un’inchiesta giornalistica realizzata dal consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (IciJ), che aveva costretto il colosso svedese a rendere pubbliche le conclusioni di una propria inchiesta interna riguardante possibili casi di corruzione verificatisi nel corso delle attività svolte nel Paese arabo tra il 2011 e il 2019.

TANGENTI ALL’ISIS

Da essa erano emersi sospetti relativi alla possibile effettuazione di pagamenti a intermediari allo scopo di consentire il trasporto su strada nelle zone dell’Iraq controllate da Islamic State (ISIS), denaro che si ritiene possa essere finito nelle casse dell’organizzazione jihadista. Al riguardo Ericsson aveva comunque riconosciuto «un comportamento inaccettabile», assicurando di aver assunto misure nei confronti dei rischio di corruzione, ma tutto ciò non aveva però impedito alle piazze finanziarie mondiali di reagire, cagionando al gruppo svedese perdite per circa un quarto del suo valore. Nel dicembre del 2019 grazie a un accordo transattivo Ericsson aveva già versato un miliardo di dollari alla Giustizia statunitense per estinguere i procedimenti da quest’ultima avviati per casi di corruzione riscontrati in altri cinque paesi: Gibuti, Cina, Vietnam, Indonesia e Kuwait.

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