AMBIENTE, territorio. Piano morfologico per la laguna di Venezia: La laguna della discordia

È stato approvato a fine 2021, il nuovo Piano Morfologico per la Laguna di Venezia (PMLV), strumento per il contrasto del degrado lagunare e per il suo risanamento ambientale. Accolto con freddezza dalle categorie produttive e insoddisfazione da varie associazioni ambientaliste, rimane ancora al palo in attesa che il Ministero fornisca le linee per la gestione sedimenti di dragaggio. L’autore spiega, evidenziandone potenzialità e criticità, le misure proposte da questo piano così articolato e difficile per una delle zone del mondo più ricca e complessa, dal punto di vista naturalistico-ambientale, socio-economico e storico-culturale.

di Alessio Bonetto, pubblicato il 1 marzo 2022 da “l’Astrolabio”, newsletter degli Amici della Terra, http://astrolabio.amicidellaterra.it/node/2594 È stato approvato a fine dicembre 2021, non senza polemiche, il nuovo Piano Morfologico per la Laguna di Venezia (PMLV), finalizzato al contrasto del degrado lagunare. Dopo la disastrosa acqua alta del 4 novembre 1966, si pose il tema della salvaguardia della Laguna e della città di Venezia, regolati dalle “Leggi Speciali” (L. n. 171/1973, L. n. 798/1984, L. n. 139/1992).

IL PIANO DEL 1993

Nel 1993 si approvò il Piano per il recupero morfologico, elaborato dal Magistrato per le Acque di Venezia (MAVE, espressione del Ministero delle Infrastrutture) per il contrasto al degrado dell’ambiente lagunare, riassumibile nei fenomeni di perdita di morfologie, appiattimento ed approfondimento dei bassi fondali, interramento dei canali, impoverimento di flora e fauna. Negli anni successivi, l’acquisizione di nuove conoscenze, gli effetti degli interventi realizzati e le richieste da vari soggetti istituzionali emerse nell’ambito dell’iter approvativo, portò il MAVE ad avviare lo studio per l’aggiornamento del piano morfologico, ampliando le attività al ripristino dei processi idrodinamici, morfologici e ecosistemici per l’aumento della resilienza dell’ambiente lagunare, favorendo i processi di rinaturalizzazione.

CONTRASTARE L’EROSIONE

L’obiettivo principale dell’aggiornamento è contrastare e minimizzare l’erosione delle forme lagunari intertidali, individuando il complesso degli interventi di ripristino e conservazione. Nel 2011 ebbe avvio la procedura di VAS del PLMV e, nel marzo 2018, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – MATTM (oggi MITE) con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Territorio – MIBACT,  obbligarono ad una revisione complessiva, per considerare anche le osservazioni ed i pareri dei soggetti competenti in materia ambientale, del pubblico interessato, nonché di quanto espresso dai Ministeri medesimi.

Emerse in tale fase, la cruciale questione della “gestione dei sedimenti”: l’attuazione degli interventi previsti nel piano era (ed è) fortemente condizionata dai criteri per il riutilizzo dei sedimenti di dragaggio indicati nel protocollo recante “Criteri di sicurezza ambientale per la escavazione, il trasporto e il reimpiego dei fanghi estratti dai canali di Venezia”, prosaicamente “Protocollo Fanghi”, sottoscritto l’8 aprile del 1993 da MATTM, Comuni di Venezia e Chioggia, Provincia di Venezia, Regione del Veneto e l’allora MAVE (Oggi Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche per il Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia).

«PROTOCOLLO FANGHI» E RIUTILIZZO DEI SEDIMENTI

Il Protocollo definiva specifici limiti al riutilizzo dei sedimenti, in funzione della composizione chimica, per interventi di recupero e ricostruzione morfologica e le possibili destinazioni, in Laguna e fuori laguna, delle terre di dragaggio, classificate in quattro classi (A, B, C ed oltre C). Detto protocollo risulta ormai ovviamente piuttosto rigido e vetusto, non comprendendo quanto emerso in seguito in merito a tecniche di analisi chimica e caratterizzazione, per questo ne è necessaria una revisione, che di fatto ha accompagnato l’iter del PMLV. A seguito della Conferenza dei Servizi del 7 aprile 2016, ove tutti gli enti partecipanti hanno manifestato la necessità di una revisione, si è costituito un tavolo tecnico per elaborare come adattare/estendere le linee guida attuative previste dal D.M. 173 del 15 luglio 2016 “Regolamento recante modalità e criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare dei materiali di escavo di fondali marini” alla Laguna di Venezia.

LE NUOVE LINEE GUIDA DEL 2020

A inizio 2020 si è avuta la stesura delle “Nuove Linee guida gestione sedimenti in Laguna di Venezia” che, dunque, è documento propedeutico alla definizione del Piano Morfologico, in sostituzione del Protocollo d’intesa del 1993. Il documento è in allegato al PLMV, ma non ha ancora avuto formale approvazione, lasciando tuttora il PLMV monco.

La Laguna di Venezia si estende tra le foci dei fiumi Piave a nord e Brenta a sud, è la più grande d’Italia, con una superficie di 550 km2, di cui il 67% coperti d’acqua, il 25% da barene (elementi morfologici dati da depositi di sedimenti su cui cresce vegetazione alofila – di ambiente salmastro – sommersa o semi sommersa durante le maree) e l’8% da isole. Le valli da pesca arginate (porzioni di laguna semi confinate dedicate all’itticoltura) occupano il 15% della superficie totale della Laguna. E’ soggetta ad una marea con periodicità principale semidiurna ed escursione superiore a 1m, tra le più alte del Mediterraneo, ed è accentuata da venti di bora e di scirocco, da gradienti di pressione atmosferica lungo il bacino del Mare Adriatico e dalle sue oscillazioni libere a ciò dovute. Il bacino lagunare, delimitato dalla conterminazione (confine lagunare tracciato dalla Repubblica di Venezia a fine ‘700) e dai cordoni litoranei, è compreso nei comuni di Chioggia, Codevigo, Campagna Lupia, Mira, Venezia.

GENESI DELLA LAGUNA VENETA

La genesi della Laguna veneta è stimata a circa seimila anni fa alla fine della glaciazione Wurmiana (circa 10.000 anni fa), la linea di costa adriatica si spostò verso nord-ovest di oltre 300 chilometri, per l’effetto dell’innalzamento del livello marino post glaciale e dell’attività deposizionale dei grandi fiumi di quella che sarebbe divenuta la Pianura Padana.

A seguito della diversione fuori Laguna dei fiumi Piave, Sile, Brenta e Adige, avvenuta tra 1300 e 1600 ad opera della Repubblica di Venezia per ridurre il fenomeno dell’interramento della Laguna e, successivamente, nel corso del ‘900 con lo scavo dei canali industriali (in particolare il Malamocco-Marghera, altrimenti detto «dei Petroli») e portuali e l’allargamento delle bocche di porto, è iniziato un progressivo degrado della Laguna per la costante perdita di sedimenti e conseguente sua erosione e approfondimento. Il tutto acuito dai fenomeni di subsidenza locale (naturale e indotta dai prelievi di acque sotterranee per usi industriali negli anni Settanta del secolo scorso) e dai successivi fenomeni di innalzamento del livello del medio mare (eustatismo) come conseguenza dei processi climatici globali.

INQUINAMENTO DI PORTO MARGHERA

Si aggiungano poi i problemi di inquinamento legato alla contaminazione derivata dalle attività industriali di Porto Marghera per buona parte del XX secolo e l’urbanizzazione spinta, basti pensare alla presenza di un aeroporto a ridosso del margine di Laguna.

Nel Piano, la Laguna è intesa come limitata dalla conterminazione, ma non si può scinderla dagli ambienti contigui, cioè il mare antistante e la terraferma che la circonda (la “gronda”). Il bacino scolante, ovvero la parte di terraferma che raccoglie le acque dolci che defluiscono direttamente in Laguna, si estende per oltre 2.038 chilometri quadrati. Si contano 36 punti di immissione d’acqua dolce con deflusso naturale o meccanico gestito da idrovore.

La portata media annua di acqua dolce che fluisce dai tributari ammonta a circa 30 m³/s, la portata massima di acqua salata complessiva, alle tre bocche, è pari a circa 19.000 m³/s. Relativamente alla questione apporti solidi, le stime rilevano che più di 600.000 m³/anno di sedimento è messo in circolazione da processi di erosione (e depositato nella rete dei canali o espulso attraverso le bocche: flussi di sedimento persi ai fini del mantenimento delle morfologie) e quasi 1,4×106m³/anno sono quelli necessari alle condizioni attuali per compensare un tasso di innalzamento relativo del mare osservato di circa 2,5 mm/anno.

SCENARI PESSIMISTICI

Questo sperando di non cadere negli scenari IPCC più pessimisti, tipo 15 mm/anno alla fine del secolo, secondo lo scenario mediano RCP8.5, ove si arriverebbe a un fabbisogno ciclopico di 8,0*106 m³ /anno di apporti solidi.

Entrando nel merito, la pianificazione del PLMV riguarda un arco temporale di 30 anni, con revisioni ogni sei anni, gli interventi sono di natura sia gestionale che strutturale, questi ultimi si dividono tra prioritari e subordinati. I soggetti responsabili dei vari interventi sono diversi, specie nei subordinati, in ragione delle diverse competenze (Autorità Portuale di Venezia, Regione Veneto, Demanio, etc.). A maggior ragione, quindi, vi è necessità di un soggetto istituzionale con potestà vera di gestione sulla Laguna e sulla gronda: in tal senso, la neonata Agenzia per la Laguna, anche se di fatto in realtà ancora in travagliata gestazione – visto che non si riesce ad individuarne presidente e struttura – appare già pletorica e farraginosa.

MACROALGHE E FITOPLANCTON

Una misura di primaria rilevanza è la ricostituzione di ampie praterie di fanerogame, che hanno il pregio di contrastare i fenomeni erosivi dei fondali, riducendo, quindi, anche gli effetti dell’intorbidimento conseguente. Viene posta anche la questione dell’approvvigionamento di sedimenti, rilevando, però, che le acque dei corsi d’acqua di pianura sono ricche di nutrienti che in Laguna provocano infiorescenze di macroalghe e fitoplancton con conseguente instaurazione di condizioni ipossiche (riduzione dell’ossigenazione dei fondali) e degrado ecosistemico-ambientale. Si rendono pertanto necessari interventi di ripristino di aree a canneto, che svolgano azione fitodepurativa (è auspicabile ve ne siano anche nel territorio di gronda, anche come strumento di sicurezza idraulica) e nel contempo di contenimento dell’erosione mareale.

La ricostituzione di una fascia oligo-mesoalina, ossia di transizione tra acque dolci e salmastre, consente anche la riduzione della salinità e il recupero di ecosistemi e associazioni faunistiche.

PROGETTO LIFE REFRESH

In questo contesto si innestano gli interventi come il progetto LIFE REFRESH, che riguarda la reimmissione delle acque del fiume Sile in Laguna. Va detto che la flora oligo-mesoalina favorisce il consolidamento delle morfologie di velma e barena. Tale intervento è di particolare interesse poiché avviene in Laguna Nord, dove ad oggi la situazione è ancora buona e il bilancio di sedimenti rimovimentati e ridepositati, seppur deficitario, è ancora gestibile, pur con un trend in peggioramento, che rende appunto necessario una contromisura onde evitare che anche qui il processo di degrado assuma caratteri irreversibili.

Circa le analisi di contesto del PLMV, si riscontra che sui temi dello scavo dei canali portuali e della riqualificazione dell’area industriale di Porto Marghera ci siano delle evidenti contraddizioni, sia rispetto ai dati disponibili che alle conclusioni che il piano trae. Non si può ipotizzare contemporaneamente una riduzione dell’attività industriale ed un recupero delle aree contaminate: in assenza di reinsediamenti produttivi è illusorio pensare che si possano reperire le risorse necessarie al risanamento, così pensare al contenimento di fenomeni erosivi non ci pare proprio congruente con una prospettiva di espansione delle attività portuali entro la Laguna (va da sé che questo inevitabilmente comporti incremento del moto ondoso e delle attività di scavo canali e movimentazione sedimenti). Tali elementi dovranno necessariamente trovare riconsiderazione al primo step di revisione del piano.

INTERVENTI GEOMORFOLOGICI

Scorrendo gli interventi del PLMV, ci soffermiamo su quelli a carattere geo-morfologico, a noi più congeniali. Fissiamo anche qui dei numeri in avvio, complessivamente la Laguna perde verso ogni anno sedimento pari a 241.000 m³ per erosione delle morfologie, attraverso gli interventi previsti si conta di abbassare di 55.000 m³ questo valore. 614.000 m³ sono invece erosi complessivamente dalle strutture (parte si disperde in mare e parte si accumula nei canali lagunari regolarizzando la morfologia).

L’obbiettivo è portare a 375.000 m³/anno il volume di quanto movimentato, riducendo così quanto si accumula entro i canali navigabili, particolarmente il canale dei Petroli, così da evitarne il frequente dragaggio. È proprio sul tale canale che si concentrano alcuni degli interventi più rilevanti che vanno a consolidarne il tracciato, nonostante da anni sia indicato come il principale elemento di squilibrio lagunare. Si prevede la realizzazione di velme (strutture similari alle barene, ma perennemente sommerse) e barene (a quota +0,30 +0,40 sul l.m.m.) di protezione, consolidate con burghe (dei “salsicciotti” di materiale inerte contenuti in strutture a rete) e geogriglie per la dissipazione dell’energia del moto ondoso; interventi similari si prevedono per i canali Fisolo e Alberoni.

LAGUNA NORD

Si prevede poi in Laguna nord e centrale una nuova “conterminazione”, con una serie di specchi di “acque calme”, tramite burghe e materassi in georete, con probabile progressivo interramento dei tratti più a ridosso del margine di gronda in particolare nella zona centrale. Strutture di “soffolta”, strutturalmente simili alle burghe, ma sommerse, sono previste per la protezione dei bassi fondali in zona aeroporto.

Questi gli interventi prioritari. Tra i subordinati vi sono, soprattutto in Laguna Nord, vari tratti di difese costituiti da sovralzi erodibili finalizzati a rendere disponibile sedimento per i meccanismi di sfaldamento e rimodellamento delle morfologie lagunari.  Si conta anche di migliorare lo scambio idrico nelle zone oggi a ridotta circolazione, attraverso riprofilature e riconnessioni di canali e ghebi (piccoli canali tra le barene). Previste difese e rifacimenti delle sponde delle isole minori. Tali interventi, coniugati alle conterminazioni dei canali, si stima porteranno ad una riduzione dell’80% dei fenomeni di risedimentazione entro i canali stessi, abbattendo quindi sensibilmente le necessità di loro dragaggio e relative problematiche connesse.

LAGUNA CENTRALE

Tra gli interventi meno convenzionali, troviamo il sollevamento del fondale attraverso iniezioni di fluido negli acquiferi profondi, per contrastare subsidenza ed eustatismo. L’attività prevede una prima fase sperimentale: il punto di iniezione è individuato in Laguna centrale, presso Val del Bon, e l’iniezione, di circa 11 mila m3, dovrebbe avvenire ad una profondità compresa tra i 600 e gli 850 metri per una durata di 10 anni. I modelli previsionali stimano un sollevamento di circa 20cm al centro del cono di iniezione decrescenti a 5cm lungo il perimetro, per un raggio di quasi 5km. Metà del sollevamento si dovrebbe verificare nel primo biennio.

Circa il tema della reimmissione di corsi d’acqua in Laguna, il piano ha qualche tortuosità. Tale intervento ha il principale scopo di riportare apporti di sedimenti ed acque dolci, di cui si è evidenziata sicuramente la necessità. Affinché ciò sia possibile è, però, necessario che le acque reimmesse siano conformi alla Direttiva Acque, per non compromettere lo stato del corpo idrico recettore (non occorre dire che oggi la situazione della Laguna sia quanto meno delicata sul tema).

LE ACQUE DEL FIUME BRENTA

 Si è già rilevato che in tema di nutrienti vi sia una criticità in tal senso. Ragionando sul Brenta, alle cui acque si guarda per varie ragioni con particolare attenzione, come ricorda il Piano stesso vi sono criticità su As e Metalli Pesanti e Cu e Zn nei sedimenti (risultano in classe B e talora C, va ricordato che, secondo il protocollo fanghi del 1993, i fanghi in classe B si possono usare per ripristini della morfologia lagunare purché confinati dalle acque, mentre la classe C non è usabile). Quindi, si propone la reimmissione di acque dal Brenta mentre da un lato se ne dichiara l’inadeguatezza perorando un monitoraggio ed un miglioramento (demandato ad altri) i cui tempi mal si conciliano con le esigenze del PLMV.

Il Piano Morfologico prevede, come detto, anche misure di carattere “gestionale”, quali la riduzione degli emungimenti sotterranei ancora attivi, una più stringente regolazione della pesca, una riduzione della venericultura. Necessaria poi una regolamentazione ancora più puntuale del traffico acqueo, con conseguente riduzione dello stesso (come lo si concilia con progetti di espansione portuale?).

GLI EFFETTI DEL MO.SE

Si ritiene poi che il MO.SE (il complesso sistema di dighe mobili alle bocche di porto, anti acqua alta) possa avere un effetto positivo nel contenimento delle perdite di sedimento verso il mare durante gli eventi metereologici più gravosi, affermazione non condivisa da vari esperti di idrodinamica. Sono poi elementi necessari il completamento della messa in sicurezza e risanamento del sito di interesse nazionale di Porto Marghera e l’ottimizzazione della gestione degli scarichi in Laguna.

Si rileva, infine, che, diversamente per esempio dai Piani delle Acque redatti dai consorzi di Bonifica, che abbiamo avuto modo di leggere per il bacino scolante, si glissa sul tema costi, demandandolo ai singoli progetti esecutivi. Si ritiene che, però, una stima di massima con, almeno, l’indicazione delle fonti di finanziamento, sarebbe stata assai opportuna ed avrebbe rafforzato l’autorevolezza del Piano e la sua capacità di innestarsi in una questione che non è solo tecnica-ambientale, ma anche socioeconomica. (foto: mosevenezia.eu)

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