UCRAINA, conflitto. Kiev e Taipei: paesi lontani e crisi prossime

La crisi ucraina ha mostrato che sia Washington che i suoi alleati europei si battono per uno scopo comune pur non essendo all'altezza nei termini dei risultati. I leader europei vogliono tracciare la propria rotta, ma la loro tanto decantata «autonomia strategica» sembra sempre più una indecisione strategica, in cui i guadagni economici e politici a breve termine hanno la precedenza sugli interessi strategici a lungo termine, con al contempo l’opinione pubblica statunitense stanca di combattere le battaglie del mondo

a cura di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano attualmente membro del Direttorio della NATO Defense College Foundation – Non avrei mai pensato a una invasione generale dell’Ucraina da parte della Russia, così come non avrei mai creduto che il Valdimir Putin riuscisse a ingannare tutti, cioè a nascondere fino all’ultimo momento possibile le sue reali intenzioni.

DUE CONSIDERAZIONI SUI FATTI

Prima di tutto al di là dell’esplicita condanna all’azione militare russa, due considerazioni. La prima è che ancora una volta l’Europa (unita?)  ha dimostrato la sua debolezza e la sua incapacità sia in politica estera che in materia di Difesa comune. La seconda è che proprio per questa debolezza congenita nutro forti dubbi sull’efficacia e la reale imposizione di sanzioni (e, si spera,  verranno decise), anche perché in parte si ritorceranno contro chi le impone.

Ad esempio, per ora non si parla di sanzioni sulla commercializzazione del gas russo, questo per la ragione che l’Europa ne ha grande bisogno, Italia inclusa a causa delle pregresse folli e ideologiche politiche energetiche.

DRAGHI AL VERTICE NATO

Il nostro paese vuole fare la sua parte, tanto è vero che ieri  sera al vertice NATO il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha dichiarato: «Abbiamo condannato con la massima fermezza l’attacco di una brutalità ingiustificata della Russia all’Ucraina. Il comportamento russo è la più grave minaccia alla sicurezza euro-atlantica da decenni e soprattutto alla nostra democrazia e libertà. La nostra unità è e sarà sempre la risposta più forte. Manteniamo una posizione coesa e decisa. L’Italia è uno dei più importanti contributori di truppe alle operazioni NATO. Siamo pronti a fare la nostra parte, come sempre, per mettere a disposizione le forze necessarie. La reazione deve essere determinata per evitare qualsiasi ambiguità».

EPILOGO A KIEV ANNUNCIATO DA LUKASHENKO

In queste ore le notizie da Kiev si rincorrono ma parrebbe chiaro l’epilogo degli scontri e anche il presidente bielorusso Lukashenko ha chiesto di porre fine al conflitto in attraverso negoziati prima che sia troppo tardi. «Domani ci sarà la guerra e dopodomani sarà un massacro. Perciò, se hanno cervello, quei pazzi, prendano una decisione e sediamoci al tavolo – ha dichiarato l’autocrate al potere a Misk. “Può succedere che nessuno avrà bisogno di negoziati domani».

La Turchia (paese membro della NATO) non collabora alla politica sanzionatoria, infatti la  Russia non ha ricevuto alcuna notifica ufficiale da Ankara sulla chiusura alle sue navi da guerra degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli, attraverso cui si accede al Mediterraneo dal Mar Nero. Questo nonostante che il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky avesse annunciato la chiusura degli stretti a seguito di una telefonata avuta con Erdoğan.

CHIUDERE LO STRETTO DEL BOSFORO?

Nei giorni scorsi Ankara aveva comunque escluso questa ipotesi come se la questione ucraino-russa non la riguardasse.

Dunque non bisogna mettere mai in secondo piano l’evidenza che la diplomazia ha fallito e che, a maggior ragione, sarà ora difficile trovare una soluzione apparentemente senza né vinti né vincitori, soprattutto che non costituisca un precedente per analoghe rivendicazioni, quale ad esempio quella della Cina Popolare nei confronti della Repubblica di Cina – Taiwan. Mercoledì scorso il ministero degli esteri cinese ha emesso il seguente comunicato ufficiale: «Taiwan non è l’Ucraina, ed è sempre stata una parte inalienabile della Repubblica Popolare cinese». Come pronta e logica risposta la presidentessa di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha chiesto all’Isola di rafforzare la vigilanza sulle attività militari in relazione alla crisi in Europa.

COINCIDENZA DI OPERAZIONI MILITARI

Dopo che il primo ministro britannico Boris Johnson aveva segnalato il rischio per Taiwan e le conseguenze dannose a livello mondiale, se le nazioni occidentali non avessero mantenuto le loro promesse di sostenere l’indipendenza dell’Ucraina.

La Cina Popolare, che rivendica la Repubblica di Cina – Taiwan come proprio territorio, ha intensificato l’attività militare nei pressi di Formosa sebbene Taiwan non abbia segnalato ulteriori recenti manovre insolite da parte delle forze cinesi, a esclusione del provocatorio sorvolo da parte di nove aerei militari sino-popolari in coincidenza con la prime operazioni dell’Armata russa in territorio ucraino. Forse anche Pechino ha rispettato la «sua» tregua olimpica.

TAIWAN NON È L’UCRAINA

Il portavoce del ministero degli esteri di Pechino, Hua, ha negato qualsiasi legame tra le questioni dell’Ucraina e quelle di Taiwan, ricorrendo alla falsa retorica che «Taiwan non è l’Ucraina ed è sempre stata una parte inalienabile della Cina, questo è un fatto legale e storico indiscutibile». Egli ha poi aggiunto: «La questione di Taiwan è un residuo della guerra civile, ma l’integrità della Cina non avrebbe mai dovuto essere compromessa e non è mai stata compromessa».

Nessun paese, tuttavia, è una grande minaccia per l’ordine mondiale liberale come la Cina Popolare. Per molti aspetti la Russia è una potenza in declino, priva di dinamismo economico e l’attacco all’Ucraina potrebbe rappresentare per Putin l’ottenere ciò che vuole mentre ancora può. La storia è diversa con la Cina Popolare, una potenza con una crescente potenza economica, diplomatica e militare.

MOSCA OGGI IN PRIMA PAGINA, MA LA PROTAGONISTA È PECHINO

La Russia è oggi in prima pagina, ma la Cina potrebbe essere il futuro della politica autocratica. Il fervore nazionalista del presidente Xi Jinping, l’impegno per la restaurazione del potere del comunismo cinese e un approccio più aggressivo rispetto ai suoi predecessori quando si tratta di controversie territoriali e marittime, le relazioni con gli Stati Uniti d’America e i suoi alleati, nonché il sistema internazionale in generale, hanno già fatto diventare Pechino la forza destabilizzante in Asia. Taiwan è debole su questa linea del fronte. Proprio come Putin non poteva tollerare la sovranità ucraina, il Partito comunista cinese non accetterà mai la separazione di Taiwan, che Pechino considera una parte centrale della Cina Popolare e occupata da un governo illegittimo.

IL CONTROLLO SU FORMOSA

Ottenere il controllo su Taiwan o, come preferisce definirla il partito comunista, «riunificazione», è un obiettivo primario della politica estera cinese. In un ordine mondiale in cui gli stati autoritari sono più assertivi e gli alleati democratici sono in ritardo, le possibilità di una guerra di aggressione a Taiwan aumentano.

Xi ha già provato a intimidire il governo di Taipei inviando aerei da caccia per “molestare” l’isola, mentre la completa repressione sino-comunista del movimento per la democrazia a Hong Kong mina ogni speranza che Taiwan possa conservare  una parvenza della sua attuale libertà se fosse incorporata nel grande paese comunista. Ciò non significa che un attacco cinese a Taiwan sia imminente. È impossibile prevedere con certezza cosa penserà Xi per Taiwan all’indomani della guerra del suo nuovo alleato strategico (Putin) in Ucraina.

IL VANTAGGIO DI XI JINPING

A differenza dell’uomo forte del Cremlino quando trattava dell’Ucraina, Xi non sta accumulando una forza d’invasione sullo stretto che separa Formosa dalla Cina continentale. Inoltre, per il leader comunista l’ascesa della Repubblica Popolare è inevitabile e il tempo è dalla sua parte. Egli non ha dunque bisogno di seguire Putin sulla via della guerra, almeno per ora. Ma l’aggressione militare all’Ucraina è un segno di ciò che potrebbe accadere, con le potenze autoritarie che si potrebbero convincere ritenendo giunto il momento di respingere gli americani e rimodellare il mondo approfittando della debolezza mostrata dall’amministrazione Biden.

Alla fine del mese di febbraio del 2022 non è affatto chiaro se gli alleati democratici abbiano o meno la volontà, le risorse o l’unità necessaria per combattere un’altra battaglia con l’autocrazia.

MORIRE PER TAIPEI

La crisi ucraina ha mostrato che sia Washington che i suoi alleati europei si battono per uno scopo comune pur non essendo all’altezza nei termini dei risultati. I leader europei vogliono tracciare la propria rotta, ma la loro tanto decantata «autonomia strategica» sembra sempre più una indecisione strategica, in cui i guadagni economici e politici a breve termine hanno la precedenza sugli interessi strategici a lungo termine, con al contempo l’opinione pubblica statunitense stanca di combattere le battaglie del mondo.

Se tali tendenze perdureranno, il giorno in cui Pechino decidesse di invadere Taiwan non sarebbe lontanissimo. I leader comunisti cinesi ritengono il declino americano come inevitabile, al pari della loro stessa ascesa. La crisi ucraina potrebbe aggiungere ulteriore forza a questa funesta teoria e, un giorno, a Pechino potrebbero maturare la definitiva certezza che gli Usa e i loro partner non combatteranno per i loro ideali o per il loro ordine mondiale.

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