UCRAINA, aggressione militare russa. Contro Putin il mondo libero deve usare l’arma delle sanzioni economiche e finanziarie

In questo senso i giganteschi capitali fatti uscire dalla Russia da oligarchi e altri personaggi potrebbero costituire il tallone d'Achille del Cremlino. Il tema è stato oggetto dell’analisi di Paul Krugman, autorevole «opinion columnist» del quotidiano “New York Times”

Secondo Paul Krugman, autorevole opinion columnist del quotidiano “New York Times”, in assenza di una possibilità di intervento militare diretto in sostegno all’Ucraina invasa dai russi, agli Usa e ai suoi alleati rimangono le armi delle sanzioni finanziarie ed economiche, tuttavia, anche in questo caso sarà necessario avere la volontà e l’intelligenza di utilizzarle in maniera efficace.

UN’AGGRESSIONE SU LARGA SCALA PIANIFICATA PER TEMPO

Si tratta di un argomento del quale i media hanno molto discusso in questi ultimi giorni, mettendo spesso in discussione la reale forza di soluzioni quale l’esclusione di Mosca dal sistema SWIFT o le conseguenze sulle economie europee dell’imposizione, in varia misura, di un embargo commerciale alla Federazione russa quale conseguenza della sanguinosa guerra di aggressione che ha scatenato. È divenuto oltremodo noto all’opinione pubblica di come questa guerra su larga scala sia stata pianificata e preparata per tempo da Vladimir Putin e dal suo entourage, che hanno avuto il tempo necessario, grazie anche alla bonanza dei prezzi delle materie prime energetiche sui mercati negli ultimi mesi, di accumulare un’ingente quantitativo di valuta estera in vista del previsto isolamento finanziario del quale erano perfettamente consapevoli che sarebbe inevitabilmente seguito all’attacco militare.

IL «TESORETTO» DELL’ALGIDO VLADIMIR

La cifra stimata, a seconda delle fonti, ammonterebbe tra i cinque e i settecento miliardi di dollari, una riserva che porrebbe il gruppo di potere del Cremlino di sopravvivere fino a due-tre anni nella difficile situazione derivante dell’embargo e delle spese a copertura dagli impegni militari. Sulla concreta futura disponibilità di questo denaro vengono sollevati alcuni dubbi, poiché esso non si troverebbe tutto in Russia, ma all’estero, sia in paradisi fiscali che in banche situate in paesi dell’Occidente. Dalla durata del conflitto in Ucraina dipenderanno diverse variabili, non soltanto riferibili alla tenuta del fronte interno russo di fronte agli eventuali disagi sofferti dalla popolazione, ma anche alla determinazione e alla coesione europea nella risposta al regime di Vladimir Putin.

VOLETE BURRO O CANNONI?

Infatti, gli interrogativi vertono tanto sulla resistenza di un gruppo di potere (quello consolidatosi attorno a Putin) di fronte a fenomeni quali la carenza di beni e la vertiginosa svalutazione del rublo, quanto, ad esempio, su quella di alcuni paesi europei a un blocco prolungato delle forniture del gas russo, dal quale dipendono in larga parte per il soddisfacimento del loro fabbisogno energetico. Osserva al riguardo Krugman che, almeno nel breve periodo, Putin non sembra eccessivamente vulnerabile, seppure alla fine la Russia pagherà un prezzo pesante per questa sanguinosa avventura ucraina. A Mosca dovranno scordarsi degli accordi sui gasdotti e anche buona parte degli investimenti diretti esteri. «Dopotutto – prosegue l’opinion columnist del NYT –, chi vorrà assumere impegni a lungo termine con un paese la cui leadership autocratica ha mostrato un disprezzo così sconsiderato per lo stato di diritto? Ma, ci vorranno anni prima che le conseguenze dell’aggressione all’Ucraina divengano tangibili».

SEGUIRE I SOLDI

Ora, i limitati spazi di manovra contro Putin sul piano dell’embargo commerciale, opzione che in ogni caso non va assolutamente esclusa, inducono a concentrare le attenzioni sulla leva finanziaria, incapacitando il massimo possibile Mosca nel suo sforzo di raccolta e movimentazione di denaro al di fuori dei suoi confini. Ma questo lo si potrà fare agendo in via prioritaria sulle banche e anche attraverso l’esclusione dei russi dal sistema SWIFT, ma con molta accortezza, poiché una mossa del genere potrebbe in ultima analisi rivelarsi come un’arma a doppio taglio. Nel primo caso il presidente Usa Joe Biden si è già espresso, nel secondo andranno ponderati gli effetti dell’esclusione anche sulle forniture di gas russo all’Europa.

Tuttavia, nel suo articolo Krugman sottolinea come le democrazie dispongano di un’ulteriore potente arma finanziaria contro il Cremlino, ma dovranno essere disposte a usarla davvero. Essa è quella puntata contro i giganteschi capitali che gli oligarchi russi vicini a Putin a partire dagli anni Novanta hanno depositato fuori dal loro paese, unitamente ai beni mobili e immobili a loro riconducibili.

IL TALLONE D’ACHILLE DEL CREMLINO

Alcuni analisti stimano questi capitali portati all’estero dalle élite russe in quote pari a percentuali di molto oltre la metà del prodotto interno lordo della Federazione Russa, cioè somme da capogiro. Dunque, è un un’enorme vulnerabilità della cerchia di Putin che l’Occidente può essere in grado di sfruttare a proprio vantaggio, il «tallone d’Achille del Cremlino», come appunto afferma Krugman. Seguire i soldi e colpire il gruppo di potere aggredendo questa ricchezza personale, inducendo giocoforza costoro a prendere le distanze dall’attuale capo della Russia.

In questo modo le pressioni finanziarie verrebbero esercitate direttamente sui componenti di vertice del regime, ma per procedere efficacemente su questa strada – evidenzia l’opinionista del NYT – sarà necessario superare gli ostacoli posti da quel non indifferente coté di persone influenti, sia nel mondo degli affari che in quello della politica, che risultano profondamente legate da rapporti di interesse con i cleptocrati russi.

RACCOGLIERE LA SFIDA

Inoltre, un altro problema si porrà con tutte quelle componenti del sistema, di natura più o meno criminale, che per i plutocrati vicini a Putin (oltreché per tutto il resto dei fruitori dei paradisi fiscali) l’enorme massa di denaro hanno riciclato e assicurato nelle compiacenti casse offshore.

«Ciò significa – conclude infine Krugman ponendosi un ultimo interrogativo – che intraprendere un’azione efficace contro la più grande vulnerabilità evidenziata da Vladimir Putin richiederà di affrontare e superare la corruzione dell’Occidente. Il mondo democratico sarà in grado di raccogliere questa sfida?» di questo ce ne potremo rendere conto soltanto nei prossimi mesi.

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