SOCIETÀ, donne. Questioni di genere: appellativi al femminile, la polemica si autoalimenta sempre di più

Evitare il sessismo, certamente, tuttavia senza infiammare i cuori col fuoco sacro dell’ideologia. Di seguito alcune considerazioni serie (ma non drammatiche) sul controverso argomento raccolte da un cronista di altri tempi alle tre della notte su impulso di un’amica puntigliosa…

È politicamente scorretto usare il genere maschile per definire alcune professioni o qualifiche svolte o ricoperte da donne? È per loro una diminuzione di dignità o di ruolo? Appellare «ministra» la titolare di un dicastero è corretto, seppure inelegante e assolutamente poco musicale per una lingua bella come l’italiano? Se a rispondere fosse Stefania Craxi, femmina e femminista combattiva e tenace, direbbe «no», poiché per una carica istituzionale «si deve usare il maschile».

Tuttavia, col tempo tutto cambia e, per il momento, teniamo in debita considerazione le opinioni contrarie e convinte di una donna (felicemente lesbica) come Maria Laura Annibali e di un accademico della Crusca, il linguista Rosario Coluccia, che per dirimere la controversia ha tirato in ballo nientemeno che la misteriosa «schwa»

PARITÀ DI GENERE ED EMANCIPAZIONE FEMMINILE

Nel corso di “Omaggio ad Adele Faccio: politica e cultura per la parità di genere e l’emancipazione femminile”, evento organizzato dall’associazione culturale L’Alternativa che ha avuto luogo l’8 febbraio 2022 (https://www.radioradicale.it/scheda/659841/politica-e-cultura-per-la-parita-di-genere-e-lemancipazione-femminile), Maria Laura Annibali (documentarista e sceneggiatrice, nonché attuale presidente del Di Gay Project) nel suo intervento ha avuto modo di rendere pubblico il  suo rammarico riguardo a tale questione. «A che punto è il femminismo? – si è interrogata in maniera suggestiva dandosi anche una risposta – Attraversa una fase molto critica, in particolare in Italia».

PASSI AVANTI O INDIETRO?

Ella ha quindi proseguito asserendo che (almeno in Occidente, n.d.r.) «c’è chi asserisce che dopo quella del cristianesimo il femminismo sia stata la più grande rivoluzione conosciuta al mondo (…), «ma, allora, naturalmente come non lamentarsi tra di noi, e anche fuori dal nostro ambito, per quei passi indietro che, purtroppo, stiamo facendo…»

«Questo – sempre secondo la Annibali – anche in relazione a un’altra questione che mi sta molto a cuore, che mi riporta indietro all’altr’anno: quando la direttrice dell’orchestra di San Remo dissentì sui social network affermando con orgoglio di essere “il direttore” dell’orchestra, di fronte a divere compagne che volevano declinare la loro attività al femminile, addirittura loro chiariscono che vogliono il maschile».

UNA QUESTIONE DIRIMENTE

Insomma, si deve dire (o, meglio, sarebbe più conveniente dire…) «la poeta» o «la poetessa», «l’avvocata» oppure «l’avvocatessa», «la direttrice» ovvero «la direttora» (termine che il correttore automatico del mio computer mi sottolinea con una riga rossa, ma evidentemente il calcolatore elettronico è maschio e maschilista)?

Sempre ad avviso della Annibali «se permaniamo ancora a questo livello, cioè se c’è ancora tra noi donne si esprimono certe forme di dissenso, beh, allora ritengo che, anche alla luce dei grandi passi in avanti compiuti negli anni Settanta e Ottanta, forse addirittura più grandi del Movimento femminista, oggi qualche problema lo abbiamo».

PRO LINGUA NOSTRA

Per orientarsi meglio ora è possibile fare riferimento anche ad una altro movimento di opinione, contrario a quello cui si riferisce la Annibali, si tratta di coloro che hanno promosso e sottoscritto la petizione lanciata su Change.org e definita Lo schwa? No, grazie. Pro lingua nostra, che in pochi giorni ha raccolto quasi ottomila firme, tra cui quelle di intellettuali di vaglia e linguisti.

Essi ritengono che si sia di fronte «a una pericolosa deriva spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano a suon di schwa. I promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l’uso della “e” “rovesciata” non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche».

LA DURA REAZIONE DEGLI ANTI-SCHWA

Ci sono andati giù duro, ma prendiamo atto con maggiore attenzione delle loro argomentazioni. Essi affermano che la “schwa” è un simbolo grafico, «una specie di “e” rovesciata che non esiste nella tastiera del computer (infatti per digitarlo è necessario ricorrere all’apposita utilità “simboli”), ma che secondo i suoi sostenitori dovrebbe essere usato ogni volta che ci si riferisce a un’entità indeterminata di esseri umani, siano donne o uomini, in sostituzione della norma linguistica corrente che invece prevedrebbe la desinenza maschile».

Nel suo articolo pubblicato su “beemagazine” (https://beemagazine.it/schwa-un-linguista-ci-spiega-cosa-ce-dietro-la-misteriosa-parola/), il professor Coluccia spiega che: «Ad esempio, non dovremmo più scrivere “tutti credono che il sole riscalda la terra”, perché quell’opinione può essere attribuita sia alle donne che agli uomini, e quindi non va bene utilizzare il pronome indefinito “tutti”, con desinenza maschile».

COESISTENZE NEL MEDESIMO SPAZIO… AD ESEMPIO IN UNA FRASE

«Così – egli prosegue -, se si sta parlando di ragazze e ragazzi che studiano, non dovremmo più scrivere “un certo numero di studenti ha difficoltà con la matematica”, perché in tal modo la forma maschile prevale indebitamente su quella femminile. Quindi dovremmo mettere la “e” rovesciata al posto della “normale” “i”,  in fine delle parole “tutti” e “studenti”».

Le cose si complicano ulteriormente nei casi in cui è necessario accordare al plurale sostantivi di genere diverso, maschile e femminile, coesistenti nella medesima frase. «Infatti, la coesistenza di genere maschile e femminile, strutturale nella lingua italiana, comporta soluzioni specifiche nella concordanza del plurale. In frasi in cui i nomi sono tutti maschili o tutti femminili, l’aggettivo mantiene il loro genere e si declina al plurale. “Indosso un abito e un gilet ben stirati” (perché abito e gilet sono maschili); “Porto sempre con me una cartella e una rubrica nere” (perché cartella e rubrica sono femminili). Se i nomi sono di genere diverso, l’aggettivo si declina al maschile plurale: “Ho fatto amicizia con un ragazzo e una ragazza spagnoli».

QUANTE BAMBINE E QUANTI BAMBINI SERVONO PER FARE UN PLURALE?

Se tre bambini e due bambine giocano in cortile potremo dunque correttamente dire: «Cinque bambini giocano in cortile». La frase non cambia se nel cortile giocano quattro bambine e un bambino, cioè la scelta della forma maschile “bambini” non dipende dalla maggioranza numerica. È il cosiddetto maschile sovraesteso, normale nell’italiano. «Qualcuno obietta – sottolinea l’accademico della Crusca – che la scelta di preferire il maschile al plurale nel caso di coesistenza di maschile e femminile è discriminatoria, l’uso del maschile è prevaricante». Ma, esistono soluzioni per evitare la (supposta) sopraffazione?

UNA QUESTIONE MERAMENTE IDEOLOGICA

Conclude Coluccia che «chiunque comprende che chi sostiene con vigore l’uso della “e” rovesciata non ne fa una semplice questione grafica, poiché dietro la spinta per questo segnetto ci sono ragioni ideologiche che potremmo includere sotto l’etichetta del “politicamente corretto”, che si propone di non discriminare (neanche sotto il profilo della lingua) le donne rispetto agli uomini». Una esigenza giusta, non vi è dubbio, ma i promotori della petizione affermano che «lo schwa e altri simboli che si vorrebbe introdurre a modificare l’uso linguistico italiano corrente non sono motivati da reali richieste di cambiamento, sono invece il frutto di un perbenismo superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività».

A questo punto si apre un’altra discussione, quella sui connessi significati e usi politici di questo modo di scrivere e parlare, che però tratteremo in altra sede, non perché non siano interessanti, ma poiché il cronista di altri tempi che ha esteso questo articolo su impulso della sua amica puntigliosa è troppo vecchio e stanco e a quest’ora della notte vorrebbe andarsene a dormire.

Condividi: