USA, polarizzazione sociale e politica. Sovranisti, suprematisti e milizie: i veterani reclutati dai gruppi estremisti sono un problema anche per il Pentagono

Un problema certamente non nuovo che, tuttavia, nell’attuale contesto può assumere dimensioni e caratteristiche destabilizzanti. Le risposte al livello federale sui piani della prevenzione e della formazione dei militari, già durante il periodo del loro servizio attivo nelle forze armate

Quello delle milizie armate suprematiste non è un problema nuovo per gli Stati Uniti d’America, poiché se ne parla da decenni. Un tema diffusamente discusso in America sul quale fin dagli anni Ottanta sono stati scritti numerosi saggi analitici, di taglio più o meno allarmistico, tuttavia, in non pochi casi estremamente dettagliati. Oggi  il problema si ripropone con maggiore gravità e nelle sue più diverse sfaccettature, inclusa quella, per certi aspetti archetipale, del reducismo militare, fenomeno dai tratti profondamente problematici sul piano individuale e sociale, spesso preludio di derive violente sfociate in tragedie quali omicidi, attentati e stragi.

I FATTI DI CAPITOL HILL

I risultati di una recente rilevazione effettuata negli Stati Uniti indicano che il ridotto ma crescente fenomeno dell’estremismo sovranista e suprematista radicato tra i veterani delle forze armate ha trovato una conferma nelle cifre relative alla partecipazione di questa particolare categoria di persone all’assalto a Capitol Hill il giorno dell’approvazione da parte del parlamento americano dell’elezione del presidente Joe Biden, successore di Donald Trump alla Casa Bianca.

Ebbene, il 15% delle persone finora accusate dell’attacco compiuto a Washington dopo un comizio di Trump e cessato solo dopo l’intervento della Guardia nazionale, sono risultati essere ex militari. Un dato allarmante che va letto anche alla luce dell’incremento del 350% dei crimini commessi nell’ultimo decennio da veterani in qualche modo legati all’estremismo.

ESCALATION DEI CRIMINI COMMESSI DA VETERANI

«Ma non si tratta soltanto di un problema di numeri – ha asserito venerdì scorso William Braniff, direttore del National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism, durante un convegno che ha avuto luogo alla Brookings Institution -, perché questo è un problema che riguarda la stessa democrazia americana, un problema per il quale dobbiamo porre in atto un ecosistema preventivo adesso, cioè prima che i numeri divengano ancora più preoccupanti».

Sempre il National Consortium for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism, in una nota informativa realizzata in collaborazione con l’Università del Maryland ha evidenziato come dal 1990 ai primi nove mesi del 2021 almeno 424 veterani statunitensi hanno compiuto azioni criminali con motivazioni ​​di natura politica, economica, sociale o religiosa. Tra di essi risultano inclusi  anche i 99 veterani accusati di crimini relativi alla violazione di Capitol Hill perpetrata il 6 gennaio del 2021.

PRE-PREVENIRE IL FENOMENO: FOCUS SULLA NARRAZIONE

La risposta all’allarmante fenomeno viene ricercata in vari ambiti, tra i quali quello accademico. «Anticipare il problema non è una questione di prevenzione, bensì è una questione di pre-prevenzione», ha al riguardo sottolineato Cynthia Miller-Idriss, responsabile del Polarization and Extremism Research & Innovation Lab dell’American University.

«Ci concentriamo sulle strategie retoriche e sulle narrazioni delle tattiche persuasive ai quali i gruppi estremisti e i propagandisti ricorrono allo scopo di reclutare persone – ha ella aggiunto -, poi progettiamo in laboratorio interventi che testiamo per vedere se sono in grado di interrompere quei processi nella loro fase iniziale».

A questo punto, ad avviso degli esperti americani, non si tratta più neppure di de-radicalizzazione o indurre al disimpegno, ma di impedire a queste persone di venire persuase dalla retorica estremiste.

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