PRIMA REPUBBLICA, Francesco Paolo Fulci. In equilibrio tra politica e servizi segreti, se ne va la feluca che affiancò Andreotti nella difficile fase post-1989

Venne assegnato in qualità di diplomatico in capitali di importanti Stati: si ricordano infatti Mosca, Parigi e Ottawa; quindi per sei anni ambasciatore presso il Consiglio Atlantico. Fu tra i discreti protagonisti di diversi periodi critici della prima Repubblica, al pari delle personalità con le quali si relazionò strettamente

Se ne è andato a novantuno anni, ormai da tempo fuori dai clamori. Francesco Paolo Fulci, diplomatico di vaglia era nato a Messina nel 1931 e aveva iniziato la sua brillante carriera al Ministero degli Affari esteri nel 1956. Infatti, egli venne assegnato in qualità di diplomatico presso capitali di importanti Stati, quali Mosca, Parigi e Ottawa. Dal 1976 al 1980 fa posto a capo della segreteria del Presidente del Senato Amintore Fanfani e, successivamente, nella prima metà degli anni Ottanta, dopo la sua permanenza in Canada, assunse l’incarico di Rappresentante permanente d’Italia presso il Consiglio Atlantico a Bruxelles.

Nell’aprile 1993, venne infine nominato Rappresentante permanente d’Italia alle Nazioni Unite, ruolo che ricoprì fino al 1999, un anno prima di venire collocato a riposo per raggiunti limiti di età.

UNA BRILLANTE CARRIERA DIPLOMATICA

Un passo indietro. Alla fine dell’inverno del 1991 Fulci venne richiamato a Roma da Bruxelles da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga, il primo allora Presidente del Consiglio dei ministri (sarebbe stato l’ultimo governo a guida Andreotti), mentre l’altro, invece, assiso al Quirinale. Essi esercitarono notevoli pressioni nei suoi confronti al fine di fargli accettare l’incarico di segretario generale del Comitato esecutivo per la Sicurezza e l’Intelligence (CESIS),  poiché – almeno così sempre affermò – egli era restio ad accettare.

Andreotti e Cossiga lo posero dunque alla guida del CESIS, la struttura di coordinamento che sovraintendeva ai servizi segreti italiani di allora, il SISMI e il SISDE, proprio in una fase molto delicata che questi apparati stavano attraversando. Un organo, il CESIS, direttamente dipendente dal Presidente del Consiglio dei ministri, che era appunto Andreotti.

IL CASO GLADIO-STAY BEHIND

In precedenza, quando ancora era presso la NATO, Fulci si era ritrovato a dover gestire il delicatissimo e scottante «caso Gladio», che era esploso proprio in quei mesi a seguito dell’inchiesta condotta dal giudice Felice Casson. Egli affermò di avere sempre ignorato l’esistenza della struttura stay behind della NATO, non avendo lui ricoperto incarichi di natura funzionale nell’Alleanza atlantica.

Tuttavia, a causa della vicenda Gladio (e forse non solo per quella) Fulci entrò in aspro contrasto con l’ammiraglio Fulvio Martini, che del SISMI era direttore e che, ufficiale che per la verità non aveva mai amato eccessivamente e che, si afferma, fosse intenzionato a riattivare alcuni nuclei dell’organizzazione paramilitare clandestina NATO per impiegarli nel contrasto della criminalità organizzata (molto al riguardo si parlò del controverso Centro Scorpione di Trapani, quello del maresciallo Vincenzo Li Causi poi assassinato in Somalia). Martini, che era inviso anche ad Andreotti, non ebbe però fortuna.

«BRUTTA ROGNA» I SERVIZI SEGRETI ITALIANI

Ma dopo, nel biennio 1992-93, una volta al CESIS venne investito di una serie di gravissimi problemi, a cominciare dallo scandalo divenuto noto come «Sisdegate» e dalle terribili stragi di mafia che nel Paese prelusero alla fine di un ciclo politico e all’inizio di quello della cosiddetta seconda Repubblica. Non appena insediatosi al CESIS ricevette minacce di morte dalla fantomatica “Falange armata” e fu oggetto di intercettazioni telefoniche, seguite da una campagna di stampa che lo bersagliò nel momento in cui stava indagando sulle appropriazioni indebite di fondi pubblici da parte di funzionari in forza al servizio segreto civile di allora.

L’aspetto relativo al rapporto tra i servizi segreti e l’antimafia vestirà estrema importanza in quella convulsa fase della storia del Paese, poiché esso – nella ricostruzione che ne fece lo stesso ambasciatore – venne delegato esclusivamente a una delle due strutture di intelligence allora esistenti, il SISMI, e non alla struttura di coordinamento che rinveniva Fulci al proprio vertice (in realtà anche il SISDE partecipò attivamente, si pensi al caso Contrada).

 LA DIVERSA LETTURA DI QUELLE VICENDE

Le minacce ricevute da Fulci potrebbero essergli derivate dal particolare contesto del periodo, caratterizzato da profondi mutamenti sulla scena politica, economica e dell’intelligence. Secondo una diversa lettura, settori dei servizi segreti temevano l’epurazione che sarebbe stata decisa da Andreotti alla soglia della transizione epocale, concomitante con la coda della Guerra fredda, la contestuale transizione in Vaticano e il passaggio alla seconda Repubblica, con tutto il suo  di privatizzazioni di aziende pubbliche.

Una fase difficilmente decifrabile nel corso della quale si verificarono una serie di eventi concomitanti: una nuova strategia della tensione mafiosa (le stragi e i tentativi di soluzioni eversive), l’inchiesta giudiziaria di «mani pulite» e il dilaniante scontro intestino ai servizi segreti. Qui, secondo questa ricostruzione alternativa, Andreotti per mano di Fulci avrebbe decapitato i servizi segreti.

NUOVO SCENARIO POLITICO

Si stava velocemente e in modo radicale stravolgendo lo scenario politico ed economico italiano e, conseguentemente, la crisi dei partiti tradizionali avrebbe potuto condurre alla vittoria elettorale gli eredi del Partito comunista. Gradualmente, ma in poco tempo, finì sotto accusa l’intera classe dirigente del Paese, con il coinvolgimento nelle indagini giudiziarie anche del sistema finanziario e industriale. Si profilò una rivoluzione del sistema e – sempre sulla base della diversa lettura di quei fatti – nelle intenzioni di quei settori di potere divenuti a rischio l’avvio di una ennesima stagione eversiva avrebbe forse evitato i cambiamenti ai vertici dello Stato.

Tuttavia, liquidare la prima Repubblica, nata dal patto antifascista della resistenza e da quello costituzionale, avrebbe implicato la «sistemazione forzata» di tutta l’eredità della Guerra fredda, un processo affatto indolore che includeva la liquidazione di parte dei servizi segreti che di quella lunga fase storica erano stati co-protagonisti.

AL FIANCO DI ANDREOTTI

È qui che si sarebbe dunque collocato il ruolo di Fulci in quel particolare momento, egli – secondo questa rilettura – avrebbe colpito la struttura degli OSSI (Operatori speciali dei Servizi di informazione) e contribuito a fare venire alla luce lo scandalo del SISDE (che in seguito avrebbe coinvolto anche Oscar Luigi Scalfaro), mentre Andreotti, liquidata brutalmente la Gladio, avrebbe nutrito sue ultime speranze con l’ambizione di divenire Presidente della Repubblica dopo Cossiga.

Delle stragi mafiose di allora si sarebbe in seguito occupata la magistratura, che molti anni dopo, convocò l’ormai anziano ambasciatore nell’aula bunker del carcere di Rebibbia per escuterlo nel corso del processo “’ndrangheta stragista”. Fu una lunga deposizione, che vide un lucidissimo Fulci rispondere alle domande del Pubblico ministero Giuseppe Lombardo.

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