KAZAKISTAN, crisi e disordini. Precipita la situazione nel paese centroasiatico: proclamato lo stato di emergenza e coprifuoco nelle principali città; una chiave di lettura degli eventi

Sono diverse le possibili cause alla base della gravissima situazione creatasi, non tutte riconducibili alle materie prime energetiche e ai loro prezzi sensibilmente incrementati. I disordini di Almaty sono una spina nel fianco di Vladimir Putin

Precipita la situazione in Kazakistan gravi disordini in varie città; questa mattina il presidente Kassym Jomart Tokaev ha ufficializzato l’accettazione le dimissioni del gabinetto guidato dal primo ministro Askar Mamin; le unità di esercito, polizia e guardia nazionale presidiano le strade e, se non verrà revocato il prossimo 19 gennaio, nel paese centrasiatico vigono ora lo stato di emergenza e il coprifuoco. In precedenza si erano verificati violenti tumulti di piazza, con incidenti tra le migliaia di manifestanti in protesta e gli apparati repressivi dello Stato. Difficili le comunicazioni con l’esterno a causa del blocco totale di Internet, che ha seguito i disservizi registrati ieri nel settore della telefonia mobile.

IN CRISI PROFONDA IL «REGNO» DI NAZARBAYEV

Una crisi senza precedenti investe la gigantesca ex Repubblica sovietica, dalla fine del comunismo guidata senza soluzione di continuità dal clan Nazarbayev, storico e affidabile alleato del Cremlino. Cosa sta succedendo veramente in questo paese freddo e stepposo dove sotto uno strato di crosta terrestre giacciono enormi risorse petrolifere? Uno Stato nel quale, almeno apparentemente, aveva preso avvio un processo di riforme in parte sotterraneamente contrastato da coloro i quali all’interno del sistema burocratico e affaristico se ne ritenevano danneggiati.

È davvero soltanto questa la causa dei tumulti? Qualche aparatčik 4.0 ha soffiato sul fuoco della protesta originata dall’aumento dei prezzi energetici nella città di Zhanaozen, in seguito rapidamente estesasi alle principali città del paese, ex capitale inclusa?

PUGNO DURO CONTRO I MANIFESTANTI

«Useremo il pugno duro contro i manifestanti», questa la risposta del presidente kazako alla spirale di violenza che ha inghiottito il paese portando alla morte di numerose persone, tra i quali non pochi agenti della polizia, una rivolta popolare (che in alcuni casi ha ricevuto anche il sostegno degli stessi reparti delle forze dell’ordine) emblematizzata dall’assalto e il successivo incendio del municipio di Almaty, moderna capitale finanziaria del Kazakistan.

Mentre in Europa i prezzi (già elevati) del gas naturale schizzano in alto, da Mosca traspare tutta la preoccupazione del caso, e il Cremlino fa presente come sia «importante che nessuno interferisca nelle vicende interne kazake. Ed è proprio la tesi ufficiale diffusa dalla capitale Nur-Sultan dal governo dimissionario, che accusa alcune «potenze straniere» di «manovrare gli estremisti che provocano disordini nel paese allo scopo di minarne la stabilità e frantumare l’unità del popolo».

GERONTOCRAZIA E NUOVI DIRIGENTI

Mosca monitora attentamente gli sviluppi della situazione del suo alleato. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha dichiarato che il Kazakistan «non ha chiesto assistenza alla Russia in relazione alle massicce proteste in corso».

L’aumento dei prezzi del gas liquido, che in Kazakistan è il principale carburante per i veicoli, ha conseguentemente influenzato il prezzo dei generi alimentari, già interessati da sensibili rincari dall’inizio della pandemia di coronavirus. A poco sono valse le misure assunte dal governo al fine di calmierare i prezzi e ora i manifestanti scesi in piazza scandiscono slogan quali «fuori il vecchio!» (il riferimento è al predecessore di Tokayev, il potente Nursultan Nazarbayev) e «il governo si dimetta».

Tokayev ha assunto la carica di presidente nel 2019, succedendo appunto a Nazarbayev, che  governava il paese dal 1989. Quest’ultimo ha tuttavia mantenuto il controllo sui settori fondamentali dello Stato nelle sue nuove vesti costituzionali di presidente del Consiglio di sicurezza e Leader della nazione.

UNA POSSIBILE CHIAVE DI LETTURA DEGLI EVENTI

Cui prodest? La crisi kazaka si innesta in un contesto caratterizzato dalla stanchezza della popolazione per le condizioni generali di vita nel paese, che ha subito di recente una ulteriore stretta autoritaria. Tuttavia, come sempre accade in casi come questi, gli interessi alla base di una destabilizzazione o, in altra ipotesi, di una revisione del sistema di potere locale, potrebbe giovare a diversi portatori di interessi interni ed esterni al Kazakistan, dove «energia» può voler dire «continuità nel potere e nelle alleanze», dunque sviluppo o meno di dinamiche di respiro regionale e globale.

Il Kazakistan possiede moltissimo petrolio (che vende soprattutto alle compagnie americane) ma produce poco gas naturale e, quello che riesce a pompare da sotto il Caspio in massima lo esporta in Russia e nella Repubblica Popolare cinese. I russi, poi, lo intubano e lo fanno confluire verso il Mar Nero per poi commercializzarlo.

SPINA NEL FIANCO DI PUTIN

Va inoltre rilevato che il paese centroasiatico attualmente sconvolto dalla rivolta possiede una vecchia e inefficiente rete di distribuzione interna, risalente ai tempi dell’Unione sovietica, problema ulteriore che si aggiunge a quello della carenza di questa materia prima energetica.

Ma c’è anche un altro importante aspetto che potrebbe avere inciso sugli sviluppi della situazione kazaka, quello relativo alle esportazioni di gas naturale russo alla Cina Popolare, dunque al reticolo di condotte in essere e in progetto, il cui tracciato è destinato ad attraversare anche il territorio del Kazakistan in vista dell’incremento delle forniture energetiche di Mosca a Pechino. Infatti, oltre al noto progetto cinese della Nuova Via della seta, dal Kazakistan dovranno passare anche i tubi che consentiranno ai russi il supplemento di esportazioni di gas siberiano ai cinesi. È qualcosa che, alla luce delle difficoltà che bloccano il gasdotto North Stream 2 nel Baltico, assume un significato importante. Non potendo vendere gasa all’Europa, Mosca ha pensato bene di cederlo alla Cina, dunque per gli «avversari sistemici» di entrambe queste potenze, una destabilizzazione del Kazakistan potrebbe fare comodo. Almeno in questa fase.

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