MEDIO ORIENTE, Palestina. Gaza, raid israeliano dopo il lancio di razzi contro l’area di Tel Aviv lanciati dal territorio controllato da Hamas

L’organizzazione islamista al potere nella Striscia ha minacciato lo Stato ebraico per il tramite dell’Egitto ammonendo che una risposta sproporzionata delle Forze di Difesa israeliane porterebbe a un'escalation. Contestualmente, Hamas si è giustificata asserendo che i razzi sono partiti per errore, a causa di un malfunzionamento tecnico. Ma ad alimentare la tensione contribuisce la vicenda del militante cisgiordano della Jihad islamica Hisham Abu Hawash, in detenzione amministrativa in Israele, l’uomo è in sciopero della fame per protesta da oltre quattro mesi

Che succede nella Striscia di Gaza? I razzi palestinesi adesso partono da soli per «malfunzionamenti di natura tecnica», come afferma ufficialmente Hamas «a causa del maltempo», oppure qualcuno  sta cercando di approfittare della situazione allo scopo di alimentare la tensione?

RAZZI CONTRO L’AREA URBANIZZATA DI TEL AVIV

La reazione di Gerusalemme ai razzi lanciati da Gaza e diretti contro l’area di Tel Aviv, quella maggiormente antropizzata del territorio israeliano, non si è fatta attendere. Infatti, fonti delle Forze di Difesa dello Stato ebraico hanno reso noto  che i velivoli con la stella di Davide questa mattina hanno attaccato obiettivi nella Striscia controllata militarmente da Hamas. Il raid aereo ha fatto seguito al lancio dei due razzi dall’enclave palestinese, ordigni che non hanno colpito il territorio di Israele perché sono caduti nel Mar Mediterraneo al  largo della costa.

Le medesime fonti hanno poi aggiunto che i velivoli «hanno attaccato diversi obiettivi dei terroristi», tra i quali un sito di produzione di missili dell’organizzazione islamista palestinese, mentre alcune sue postazioni militari sono state invece martellate dall’artiglieria dell’esercito.

UN «MALFUNZIONAMENTO» DI NATURA TECNICA

Il portavoce di Tsahal ha quindi sottolineato che «la portata e il tipo di obiettivi attaccati sono risposta ai razzi lanciati contro Israele da Gaza all’inizio di sabato», rimarcando inoltre che «Hamas è responsabile di ciò che accade nella Striscia di Gaza e quindi deve sopportare le conseguenze degli atti terroristici partiti da lì».

Dal canto suo, sempre nella giornata di ieri, un portavoce dell’organizzazione islamista palestinese aveva dichiarato che a causare la partenza dei razzi «era stato il maltempo, poiché – queste le sue parole – un malfunzionamento ha innescato i lanci degli ordigni» caduti in seguito al largo di Tel Aviv. Una giustificazione maldestra, almeno apparentemente, anche alla luce del fatto che finora nessun gruppo armato palestinese ha rivendicato la responsabilità dell’azione. Hamas, spesso in casi del genere chiude un occhio sui lanci effettuati dalle altre organizzazioni attive nella Striscia oppure, addirittura li coordina, tuttavia stavolta ha avvertito la necessità di mettere le mani avanti, si per giustificarsi che per ammonire Israele.

LE REGOLE DEL GIOCO

Una giornata concitata quella di ieri a Gaza, poiché, mentre dai media palestinesi trapelava la notizia (fatta filtrare dal vertice di Hamas) che alcuni siti militari della milizia nella Striscia erano stati evacuati, l’organizzazione islamista al potere minacciava lo Stato ebraico per il tramite dell’Egitto (frequente mediatore tra le parti in conflitto), ammonendolo che una risposta sproporzionata delle Forze di Difesa israeliane avrebbe portato a un’escalation.

È evidente che nella Striscia ci si attendeva l’imminente reazione israeliana, ma in questo scontro infinito le regole del gioco non scritte sono tuttavia oltremodo chiare per tutti gli attori del turbolento scenario. Le conoscono benissimo sia le varie fazioni palestinesi che i militari dello Stato ebraico schierati a difesa di quella frontiera presidiata metro dopo metro: se non si provocano vittime tra gli israeliani la risposta delle forze armate di Gerusalemme non sarà eccessivamente pesante.

SITUAZIONE NON DEL TUTTO SOTTO CONTROLLO

Ma nella Striscia di Gaza le cellule armate in grado di lanciare razzi contro Israele sono diverse. Non ci sono soltanto quelle riconducibili ad Hamas, perché sono attive anche quelle della Jihad islamica (filoiraniana) e, a volte, anche quelle del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Da ciò ne consegue anche l’ipotesi che i due razzi possano essere “sfuggiti” al controllo di Hamas, ma non a causa del maltempo imperversante sulla Palestina, piuttosto perché qualcun altro potrebbe volere approfittare della situazione per alimentare la tensione, magari approfittando della protesta di Hisham Abu Hawash, militante della Jihad islamica attualmente in regime di “detenzione amministrativa” in un carcere israeliano, che è in sciopero della fame per protesta da oltre quattro mesi.

IL CASO ABU HAWASH

E proprio la Jihad islamica, come per latro anche Hamas, avevano minacciato il ricorso ad azioni di maggiore portata qualora Abu Hawash fosse morto in conseguenza della sua protesta. In effetti, le condizioni del detenuto negli ultimi giorni si sono andate rapidamente deteriorando, al punto che, alla fine del mese scorso, la Croce Rossa internazionale ha avvertito come questo digiuno prolungato possa porre il detenuto «in condizioni critiche potenzialmente in grado di condurlo al decesso».

Hisham Abu Hawash è un palestinese originario di Dura, villaggio situato nei pressi di Hebron (al-Khalil in lingua araba), che è in sciopero della fame da più di quattro mesi per protestare contro la propria detenzione in Israele, che perdura dall’ottobre del 2020. Secondo i suoi avvocati, egli è trattenuto in carcere in regime di cosiddetta “detenzione amministrativa”, in assenza di specifiche accuse di natura criminale.

DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Il servizio di sicurezza interno dello Stato ebraico, lo Shin Bet, non ha per ora replicato alle richieste di un commento sul caso, ma è noto che le autorità di Gerusalemme ricorrono regolarmente alla detenzione amministrativa nei confronti di coloro i quali vengono ritenuti in qualche modo implicati in attività terroristiche.

Le fazioni palestinesi minacciano regolarmente azioni violente in risposta alle condizioni nelle quali versano i detenuti in sciopero della fame, tuttavia, la maggior parte di queste minacce in seguito non si concretizza, poiché nella maggior parte dei casi le autorità israeliane o non rinnovano il periodo di detenzione amministrativa, oppure i reclusi interrompono il loro sciopero della fame.

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