SPETTACOLI, teatro. “Judith”, di George Palant: il dramma dell’Argentina della dittatura militare rivissuto in una sera da una vittima e dal suo carnefice

Al Teatro di Documenti, nello storico quartiere romano di Testaccio, Anna Ceravolo l’ha messa in scena nel quadro della stagione «AUTunno d’AUTore». A i microfoni di insidetrend.it la regista e gli attori raccontano questa tragedia attraverso le loro interpretazioni

Una storia cruda che riporta all’Argentina della dittatura militare quella messa in scena da Anna Ceravolo, nella quale, vent’anni dopo gli eventi che sconvolsero  le loro vite, i protagonisti di essi, vittima e carnefice, si incontrano di nuovo. Ma non è un incontro casuale, quello che avviene nella casa della periferia della grande città argentina, bensì qualcosa di ricercato, così come non è casuale il nome dato dall’autore alla protagonista: Judith. Infatti, ella chiama quello che fu il suo torturatore non tanto per rielaborare il passato, che è stato comune ma diverso allo stesso tempo, quanto per «richiamarlo all’ordine».

UNA TRAGEDIA CHE SI CONSUMA A RITMO DI TANGO

È da qui che si sviluppa intensa la narrazione, articolandosi grazie ai due personaggi e a un terzo, la nutrice di Judith, Melissa. Nello sforzo di astrazione essi si muovono come su di una scacchiera o, meglio: come se ballassero un tango, dove ci si avvicina e ci si allontana freneticamente, secondo una partitura serrata di movimenti dei corpi, che si contrappongono, si sfiorano e altre volte vengono violentemente  in contatto. Il tango appunto, quella musica che introduce e accompagna la tragedia di persone contorte nelle loro drammatiche esistenze.

Opposte si diceva. Sì. Le due figure dei protagonisti inizialmente sono opposte. Judith volta le spalle al suo carnefice, che entra in scena emergendo da sotto il palco, una immagine simbolica che rappresenta perfettamente la riemersione dalle caligini di un passato terribile.  L’uomo è ben vestito e porta i baffi come un tempo. I suoi passi preannunciano il suo arrivo.  Sono passi pesanti, ritmati. Si òde distintamente il rumore del cuoio delle suole delle sue scarpe che batte sul pavimento. Sono passi soltanto apparentemente non incerti, ma non a causa dell’alcole che ha bevuto per farsi forza e affrontare quell’incontro. Ma chi sono questi due tormentati personaggi?

I FANTASMI DI JUDITH

Vent’anni prima, nell’Argentina che precedette e poi subì la dittatura e, Judith era una giovane rivoluzionaria velleitaria figlia di una borghesia che aveva lasciato il Paese latinoamericano per Miami. Una idealista forse priva di concretezza che tuttavia si impegna nella lotta politica e che, inevitabilmente, al pari di migliaia di altri argentini, viene trascinata nel gorgo della repressione della giunta militare. È a questo punto che conoscerà la concretezza, quella della brutale violenza applicata dai suoi torturatori, che, a modo loro, «riporteranno all’ordine» un sistema che non rispondeva più alle regole dettate da poteri superiori.

A distanza di vent’anni dalla sua terribile esperienza Judith permane profondamente segnata da ciò che ha subito, malgrado abbia tentato di andare avanti, assieme a sua figlia, nata da una relazione illegittima. Ogniqualvolta una macchina transita nella strada davanti casa sua sobbalza e grida terrorizzata. Teme ancora, dopo tanto tempo, che una di quelle Ford Falcon senza la targa delle squadre della morte sia venuta da lei prelevarla e portarla in qualche caserma o stazione di polizia. Anche quella sera nella sua casa sarebbe venuto un militare, ma di questo ella ne era perfettamente consapevole.

ARANDA  IL TORTURATORE

Si trattava di Aranda il torturatore, l’ufficiale dell’Armada Naval oggi caduto in disgrazia. Fu lui a torturare Judith, e anche a giacere assieme a lei su un letto di una cella consumando squallidi rapporti sessuali con la sua impotente vittima.

Nella rappresentazione che ne fa il suo interprete Alessio Caruso, Aranda è perfetto: repellente, arrogante e spaventoso, fastidioso ma allo stesso tempo accattivante nel suo eloquio di uomo volgare, di terribile quadro intermedio di una onnipotente repressione militare che fu. Un uomo, al pari di molti altri compromessisi con i regimi dell’America Latina, sopravvissuto tutto sommato indenne al suo passato, un passato del quale, però, suo malgrado è inesorabilmente costretto a fare i conti.

L’ex ufficiale della polizia segreta esordisce esclamando che alla sua pistola, che estrae dalla fondina, «manca ancora un morto». È evidente il riferimento alla sua vittima che ha di nuovo di fronte a sé. Ma gli incubi di Judith non lasciano spazio alla paura, ella non ha più pietà e conduce lei la macabra danza dell’elaborazione dei ricordi, delle ferite del passato. Aranda  è costretto a seguirla, non può fare altrimenti.

IMMAGINI ALLO SPECCHIO

Egli teme che Judith testimoni contro di lui all’imminente processo intentato dalla Giustizia nei confronti dei responsabili dei crimini commessi durante il periodo della giunta militare, ma fa di tutto per dissimulare questa sua paura. Ride, fa il gradasso, rievoca con orgoglio la sua candida uniforme di gala che indossava un tempo, rinfaccia alla sua vittima i piaceri della violenza e del sesso che gli ha inferto. Judith gli oppone il proprio desiderio inappagato di vendetta, a sua volta lo «richiama all’ordine». Sul ripido sentiero della narrazione immagini allo specchio fanno rivivere quel crudele segmento delle loro esistenze. Sono i lampi di un epoca nella quale gli uomini della repressione non dovevano certo suonare ai campanelli per farsi aprire le porte, neppure quelle dell’intimo.

Alla fine in quella stanza, quella sera si giunge alla resa dei conti. I conti con i propri fantasmi. Aranda ha fatto l’amore con la figlia di Judith, ma la figlia di Judith è anche sua figlia e lui non lo sapeva. Judith vuole allontanarla da quell’uomo, per questo ha chiamato Aranda, tuttavia questa è pur sempre la sua vendetta e lascia Aranda nel suo tormento.

MITO E REALTÀ DIFFERISCONO

Non lo uccide. Non gli spara. Attende che di lui, prima o poi, se ne occupi la Giustizia. L’uomo, confuso, a passi pesanti esce dunque dalla sua vita per sempre.

L’opera di George Palant rappresentata in scena da Anna Ceravolo è una metafora dell’Argentina di questi ultimi anni, che ha visto l’intervento della Giustizia, seppur tardivo e parziale, e dove non si è verificato alcun caso esemplare di vendetta personale nei confronti delle persone che al tempo della dittatura si macchiarono di gravi delitti.

In “Judith” c’è mito, storia e umanità, tuttavia, l’epilogo è diverso rispetto al paradigma fissato da Giuditta e Oloferne, laddove, invece, il condottiero assiro viene decapitato dall’eroina di Betulia.

Judith, di George Palant

regia: Anna Ceravolo

scene e costumi: Carla Ceravolo

personaggi e interpreti:

Melissa, Viviana Polic

Judith, Cristina Maccà

Aranda, Alessio Caruso

contatti:

3288475891

teatrodidocumenti@libero.it

www.teatrodidocumenti.it

A378 – SPETTACOLI: “JUDITH”, DI GEORGE PALANT. Nella rappresentazione fattane dalla regista Anna Ceravolo, è andato in scena il dramma dell’Argentina durante la dittatura militare, rivissuto in una sera da una vittima della repressione e dal suo carnefice.
Al Teatro di Documenti, nello storico quartiere romano di Testaccio, ai microfoni di insidetrend.it la regista e gli attori hanno raccontato questa tragedia attraverso le loro interpretazioni. Sono intervenuti: ANNA CERVAOLO (regista), VIVIANA POLIC (attrice, interprete del personaggio di Melissa), CRISTINA MACCÀ (attrice, interprete del personaggio di Judith) e ALESSIO CARUSO (attore, interprete del personaggio di Aranda). Roma, 18 ottobre 2021.
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