LAVORO, illeciti. Caporalato, evasione fiscale e contributiva: eppoi, «nessuno vuole più fare quei mestieri…»

In provincia di Pordenone la Guardia di Finanza smantella una rete di società estere che attraverso l’illecito sistema della «esterovestizione» impiegavano centinaia di lavoratori irregolari: in sostanza, la manodopera veniva «delocalizzata illecitamente»; le cifre: redditi sottratti a tassazione per svariati milioni di euro, contributi e ritenute non versate per oltre tre milioni di euro, sette persone indagate e un sequestro per equivalente pari a 840.000 euro

Più di quattrocento lavoratori irregolari, redditi sottratti a tassazione per svariati milioni di euro, contributi e ritenute non versate per oltre tre milioni di euro, sette persone indagate e un sequestro per equivalente per 840.000 euro, queste le cifre relative ai risultati delle indagini durate due anni e condotte dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Pordenone.

SOCIETÀ DALLE CARATTERISTICHE SOSPETTE

L’attività ha avuto origine da un’analisi di contesto nel territorio della Destra Tagliamento sulla non episodica presenza di società estere operanti nella fornitura di manodopera a favore di terze aziende (anche insistenti altrove rispetto al Pordenonese, per esempio presso i cantieri navali di Monfalcone e Venezia) che ha permesso di individuare diverse società di diritto rumeno aventi in comune tutte formali sedi estere (circostanza per la quale non ottemperavano a qualsivoglia obbligo dichiarativo, sia ai fini fiscali che previdenziali), l’operatività nel settore della somministrazione di manodopera specializzata (costituita perlopiù da cittadini rumeni, estemporaneamente dimoranti in Italia e formalmente inquadrati con contratti di diritto estero), essere oggetto di segnalazioni antiriciclaggio per operazioni sospette inerenti a ingenti transazioni in denaro contante poi utilizzato per pagamenti «fuori busta» ai lavoratori.

LA FITTIZIA ESTEROVESTIZIONE

Sulla base di tali evidenze informative la Procura della Repubblica di Pordenone delegava le Fiamme gialle all’effettuazione delle necessarie ulteriori indagini, al termine delle quali si rilevava sul piano probatorio la fittizia localizzazione all’estero delle imprese, di fatto amministrate nella città friulana, le cui attività avevano luogo esclusivamente nel territorio nazionale italiano.

Detta oggettiva situazione consentiva di rilevare la cosiddetta «esterovestizione», sistema evasivo con il quale attività di impresa condotte in Italia (Stato nel quale dovrebbero sorgere gli obblighi tributari) vengono fittiziamente allocate all’estero.

Peraltro, successive attività investigative disposte dalla Procura della Repubblica in Romania e condotte mediante strumenti rogatoriali, hanno consentito di rilevare come tali società, comunque, non dichiaravano i redditi conseguiti neanche in quel Paese.

PAGHE RUMENE… SULLA CARTA

L’attività condotta dalla Guardia di Finanza ha portato all’accertamento del fatto che le centinaia di lavoratori impiegati dalle società, distaccati presso i cantieri e gli stabilimenti di aziende italiane attive nel settore della metalmeccanica, ubicati perlopiù nel Triveneto (in particolare nelle province di Venezia, Treviso, Gorizia e Udine), erano stati assunti con contratti di diritto rumeno in apparenza con la previsione di retribuzioni lorde di poche centinaia di euro (e con conseguenti contributi previdenziali, previsti dalla normativa rumena, di pochi euro mensili), mentre in realtà gli stessi venivano retribuiti con paga oraria tra i sei e i nove euro, arrivando a percepire retribuzioni mensili tra i 1.400 e i 2.000 euro, quasi in linea con i contratti nazionali.

Emolumenti corrisposti in violazione alla normativa specifica, in contanti e «a nero», omettendo dunque di operare le obbligatorie ritenute fiscali e contributive.

LA MALA PIANTA DEL CAPORALATO

Ancora, le società estere indagate risultavano essere un mero “serbatoio di manodopera” somministrata in assenza delle prescritte autorizzazioni normativamente previste sia a tutela dei lavoratori, che degli Enti previdenziali e contributivi in relazione agli obblighi giuslavoristici.

Sono pertanto state contestate nella forma basica della violazione somministrazioni illecite di manodopera (cosiddetto «caporalato») connesse ad appalti di servizi non genuini aventi come scopo finale il trasferimento surrettizio, in capo a un soggetto diverso dall’effettivo datore di lavoro, di tutte le obbligazioni nascenti dal rapporto di lavoro subordinato, con particolare riferimento a quelle relative al versamento dei contributi, oltre che delle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente.

Le condotte illecite riscontrate sono realizzabili attraverso uno schema che presuppone l’interposizione tra il reale datore di lavoro (utilizzatore) e il lavoratore dipendente, di un terzo soggetto (somministratore). Quest’ultimo assolve solo cartolarmente alle funzioni proprie del datore di lavoro, poiché non possiede i requisiti previsti per l’esercizio legittimo dell’attività delle agenzie di somministrazione.

EFFETTO «DUMPING» SUL LOCALE MERCATO DEL LAVORO

Il descritto sistema di delocalizzazione illecita della manodopera consentiva alle imprese utilizzatrici e committenti di impiegare forza lavoro formalmente regolare a prezzi molto vantaggiosi, generando per altro un effetto dumping sul mercato, ricorrendo a siffatte società estere che, come illustrato, erano caratterizzate dall’assenza di reali strutture organizzative, oltre a non rispettare in maniera sistematica gli obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte e dei contributi.

Attualmente sono in corso ulteriori approfondimenti nei confronti delle società italiane che mediante siffatte modalità hanno utilizzato forza lavoro avvalendosi di strumentali contratti, formalizzati soltanto per apparenti «prestazioni di servizio».

Sulla scorta delle evidenze informative la Procura della Repubblica ha ottenuto dall’ufficio del Giudice per le indagini preliminari (Gip) l’emissione di un provvedimento di sequestro preventivo per un importo di 840.000 euro (cioè pari alle imposte evase), in parte già eseguito su disponibilità liquide delle sette persone al momento indagate, tutte di cittadinanza rumena.

DIFENDERE L’ECONOMIA SANA, SOPRATTUTTO  IN QUESTA FASE DIFFICILE

Al termine delle indagini penali, le Fiamme gialle hanno quindi perseguito amministrativamente le società, riprendendo a tassazione i redditi realmente prodotti che, sulla scorta della loro «formale» sede estera, non erano stati dichiarati.

L’economia sana del Paese risulta minata da attività di questo genere, dai non episodici fenomeni del sommerso d’azienda e del lavoro irregolare, che, abbassando illegalmente i costi di esercizio, ne compromettono l’equilibrio economico e finanziario.

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