MEDIO ORIENTE, guerra ombra tra Israele e Iran. Cresce la pressione su Teheran mentre a Gerusalemme è acceso il dibattito sul tipo di risposta da dare dopo l’attacco alla petroliera Mercier Street

Secondo il professor Uzi Rabi del Moshe Dayan Center di Tel Aviv, l'azione del 29 luglio avrebbe dimostrato il miglioramento della capacità iraniane in mare, nonché l’intenzione di Teheran di elevare il livello dello scontro, mentre per Ely Karmon, analista e docente presso l'Istituto per l'antiterrorismo di Herzliya, la risposta dello Stato ebraico in questo caso dovrebbe focalizzarsi sui piani diplomatico e politico, ma non su quello militare, che avrebbe l’effetto esclusivo di elevare inutilmente il livello dello scontro distraendo la comunità internazionale dai progressi di Teheran nel suo programma nucleare

sintesi dell’articolo di Yaakov Lappin pubblicato da “Jewish News Syndacate” il 2 agosto 2021, https://www.jns.org/pressure-grows-on-iran-as-israel-mulls-response-to-tanker-attack/ La pressione sull’Iran è stata incrementata a seguito dell’attacco mortale compiuto mediante il ricorso a dei droni alla petroliera in navigazione nelle acque del Golfo di Oman il 29 luglio scorso, questo mentre in Israele gli analisti discutono su quale dovrebbe essere la risposta ottimale dello Stato ebraico.

Durante una riunione di gabinetto avvenuta domenica, il primo ministro Naftali Bennet ha affermato che l’attacco è un promemoria dell’aggressività iraniana, aggiungendo che stavolta l’attacco è avvenuto in alto mare e che, attraverso la Mercier Street, l’intenzione di Teheran era quella di colpire un obiettivo israeliano.

RECENTI ANALOGHI CASI DI ATTACCO

Se gli iraniani negano le proprie responsabilità in ordine all’accaduto, le autorità israeliane hanno invece certezza che siano stati loro e affermano di essere in possesso di prove fornite dall’Intelligence al riguardo. Sempre da Gerusalemme, a Teheran si fa pervenire il messaggio che «è stato commesso un grave errore ad attaccare la petroliera» e che, in ogni caso, Israele «saprà come reagire» a modo suo.

A Gerusalemme si sottolinea come esistano dei ben precisi precedenti al riguardo. All’inizio di luglio, ad esempio, una nave mercantile già di proprietà della compagnia di Ofer era stata presa di mira dagli iraniani nell’Oceano Indiano nel quadro di quella guerra ombra di lunga durata che rinviene tra gli obiettivi anche le attività commerciali israeliane.

Anche Israele in passato avrebbe attaccato in maniera non letale navi, mercantili e petroliere che trasportavano illegalmente idrocarburi alla Siria di Bashar al-Assad quale parte di uno schema di finanziamento di Hezbollah, in una triangolazione che ha visto Damasco trasferire in seguito denaro all’organizzazione armata sciita libanese. La risposta della Repubblica Islamica era stata la serie di attacchi alle unità mercantili.

SI ELEVA IL LIVELLO DELLO SCONTRO

In questo senso, l’azione contro la Mercier Street verrebbe considerata una rappresaglia per un recente attacco israeliano contro l’aeroporto siriano di Al-Dabaa ad Al-Qusayr, una struttura considerata collegata al programma missilistico iraniano.

Il professor Uzi Rabi, direttore del Moshe Dayan Center for Middle Eastern and African Studies presso l’Università di Tel Aviv, domenica scorsa ha affermato che l’attacco avrebbe dimostrato «il miglioramento della capacità iraniane in mare, nonché l’intenzione di Teheran di elevare il livello dello scontro nel suo confronto con Israele».

Egli ha descritto una fase più impegnativa nel conflitto, aggiungendo che al di là dei livelli tattici e di intelligence, «l’Iran sembra essere molto più sicuro di sé e certo che i recenti eventi stiano giocando a suo favore», concludendo che: «Al di là della condanna diplomatica, Israele dovrà riflettere attentamente sulla proporzionalità e la profondità di una sua risposta».

È INIZIATA UNA FASE DELICATA

Un altro analista israeliano, il professor Ely Karmon, senior research scholar presso l’International Institute for Counter-Terrorism (ICT) di Herzliya, sostiene che in questo caso la risposta di Israele dovrebbe focalizzarsi sui piani diplomatico e politico e non su quello militare.

«Questo non è un evento che riguarda lo Stato ebraico – ha dichiarato a JNS riferendosi all’attacco alla Mercier Street -, poiché la società che la gestisce è britannica, mentre l’armatore è giapponese, infine, le vittime non sono israeliane».

Karmon ha poi parlato delle divisioni tra gli esperti della materia, relative alla più vasta guerra ombra sul mare, divenuta un ulteriore fronte per «l’establishment della Difesa israeliana», fatta di una serie di azioni preventive finalizzate all’interruzione del traffico di armi iraniane nella regione e il contenimento dell’avversario.

PRESSIONI SULL’IRAN

«Sono tra quelli che pensano che non sia chiaro quanto successo – ha aggiunto Karmon -, la guerra ombra sul mare è stata paragonata alla campagna tra le guerre in Siria o ad altre operazioni che non sono state pubblicizzate, conseguentemente ritengo che la cosa più importante da fare in questo caso sia uno sforzo diplomatico e politico. L’Iran deve venire pressato e in questo senso l’azione sul piano diplomatico sta finalmente dando i suoi frutti».

Israele ha chiesto che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunisca per discutere dell’attacco. Lunedì sera il segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che Washington è in stretto coordinamento con Gran Bretagna, Israele e Romania e ha quindi aggiunto che ci sarebbe stata una risposta congiunta. Precedentemente, nella giornata di lunedì, il Foreign Office britannico aveva convocato l’ambasciatore della Repubblica Islamica a Londra per riferire sull’attacco.

UNA RISPOSTA MILITARE SAREBBE CONTROPRODUCENTE

«C’è un fronte che si è formato che deve essere incoraggiato», ha sottolineato l’analista dell’ICT di Herzliya, affermando però di essere convinto che al momento non è assolutamente necessaria una risposta militare israeliana, che avrebbe l’effetto esclusivo di elevare inutilmente il livello dello scontro.

Karmon ha proseguito sottolineando come per Israele sia invece vitale concentrarsi su questioni di maggiore respiro, evitando al contempo di farsi trascinare in un conflitto che distolga le attenzioni internazionali dai progressi conseguiti da Teheran nel suo programma nucleare, oltreché delle dinamiche politiche libanesi, che potrebbero presto portare a un’affermazione di Hezbollah.

«I progressi nel nucleare sono in linea con l’obiettivo postosi da Teheran, quello di divenire uno stato dotato della bomba, questo mentre gli Stati Uniti si dimostrano incerti su come rispondere dopo l’elezione del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi. Gli iraniani non vogliono davvero giungere a un nuovo accordo sul nucleare e si stanno allontanando da esso, anche se a Washington corrono dietro a loro. Stiamo entrando in una fase storica delicata, indipendentemente dall’attacco della nave, una fase molto pericolosa che vede sullo sfondo la questione libanese».

L’INCOGNITA LIBANESE

«Hezbollah sta tentando di conquistare il Libano – ha concluso Karmon – e il fatto che il miliardario sunnita Najib Mikati sia stato incaricato di formare il prossimo governo a Beirut non è certo  consolazione, dal momento che nel passato ha partecipato a coalizioni di governo assieme a Hezbollah. Quindi il governo israeliano deve prestare molta attenzione all’interfaccia tra i negoziati sul nucleare, la politica statunitense e la questione libanese, tutti fattori in grado di interagire tra loro. La storia della nave dovrebbe essere usata per una campagna diplomatica, non per minacciare militarmente L’Iran. Ovviamente Israele deve prendere in considerazione le opzioni di attacco all’Iran, ma non a causa dell’attacco alla nave mercantile, bensì in ragione del suo programma nucleare».

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