ECONOMIA, banche. Monte Paschi di Siena, una brutta storia con uno strascico di fastidiose incognite

Entro dicembre lo Stato dovrà disfarsi della disastrata banca toscana, ma sul mercato non risultano essere pervenute offerte di acquisto, tranne quella di Unicredit, istituto presieduto da Pier Carlo Padoan, che nel 2017 nelle vesti di ministro dell’Economia la «rinazionalizzò» a spese dei contribuenti. Quella che si va prospettando parrebbe avere tutti i tratti di una strada obbligata, con il suo corollario di ulteriori oneri a carico dello Stato e futuri esuberi di lavoratori. Oggi il ministro Daniele Franco verrà audito in Parlamento. Sulla spinosa questione abbiamo raccolto il parere del professor Mario Baldassarri

La vicenda, almeno nei suoi tratti essenziali, è ormai nota: c’è una banca un tempo florida e oggi con la pancia piena di crediti inesigibili che viene posta sul mercato ma che però, nelle condizioni in cui si trova, nessuno vuole acquistare. È il risultato di una gestione politica di un istituto bancario divenuta un paradigma del deriva di un paese, l’Italia, che ha visto la propria depauperazione anche a causa di sistemi più o meno locali (come quello senese) allocare risorse in maniera clientelare o, comunque non profittevole, fino a provocare situazioni di collasso economico.

Nel buco aperto da MpS a partire dal 2008 lo Stato ha bruciato 23,5 miliardi di euro tra ricapitalizzazioni e costi vari.

UNA «ANTIPATICA COINCIDENZA» DI NATURA POLITICA

In questi giorni si assiste a una sorta di coincidenza di natura politica: Enrico Letta, segretario del Partito Democratico – cioè la formazione erede di quel Partito Democratico della Sinistra (Pds) che a Siena governo ininterrottamente per anni controllando anche la fondazione che in pratica gestiva il Monte dei Paschi di Siena – si candiderà alle prossime elezioni nel collegio della città toscana, quello stesso collegio “blindato” che in precedenza elesse al Parlamento della Repubblica Pier Carlo Padoan, già ministro dell’Economia e attualmente presidente di Unicredit. Siena, che vede la sua storica banca, la più antica del mondo, messa assai male, uno stato di salute confermato purtroppo dagli inesorabili stress test.

IL DUOPOLIO BANCARIO ITALIANO

Ma, dove origina questo ennesimo disastro italiano che riporta alla mente buchi neri sempiterni quali quello dell’Alitalia?

Secondo il professor Mario Baldassarri, già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale (Cser), intervenuto come di consueto alla trasmissione “Capire per conoscere”, andata in onda su Radio Radicale lunedì 2 agosto, «è necessario capire cosa vogliamo fare ora del Monte dei Paschi rimettendola sul mercato».

Venti anni fa in Italia ha avuto inizio un processo di concentrazioni bancarie, che  nella sua prima fase avrebbe dovuto portare alla creazione di tre grandi poli: Intesa San Paolo, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena. Tuttavia, di fatto oggi esistono soltanto due solidi gruppi bancari, Intesa San Paolo e Unicredit, oltre alle banche di credito cooperativo (bcc) aggregatesi nel loro istituto centrale, mentre la storica banca senese è rimasta al palo.

IL «CASO SIENA»

«A mio parere – commenta Baldassarri – MpS non è riuscita a fare lo stesso perché all’epoca le sono stati fatti ingoiare due grossi rospi velenosi e indigeribili: dapprima la Banca 121 di Bari, che ha incorporato, poi l’Antonveneta. Due banche che hanno riempito la pancia dell’istituto senese di crediti deteriorati (o non performing loans, Npl), che gli hanno procurato forti perdite, portandolo praticamente all’azzeramento del capitale».

Nell’agosto del 2017, il ministro dell’Economia allora in carica nel Governo presieduto da Paolo Gentiloni Silveri, cioè Pier Carlo Padoan, nella sostanza “rinazionalizzò” MpS coprendo finanziariamente i costi dell’operazione, pari a 5,4 miliardi di euro, con denaro dei contribuenti.

«L’Unione europea ci dette il permesso di farlo – ricorda sempre Baldassarri -, definendo elegantemente l’operazione “burden sharing”, cioè “condivisione degli oneri”, ma, di fatto, si trattò di uno “State burden”, perché, se vennero penalizzati i piccoli obbligazionisti, l’onere maggiore lo assunse lo Stato».

I NODI VENGONO INESORABILMENTE AL PETTINE

L’impegno assunto all’epoca fu quello di rimettere MpS sul mercato entro il dicembre del 2021,  un termine temporale che a quei tempi poteva sembrare anche lontano, ma che adesso invece è alle porte, «aspetto che fa comprendere come, spesso, i tempi della politica non coincidano con quelli dell’economia».

Dunque, entro il prossimo dicembre lo Stato italiano dovrà uscire da MpS e trovare un compratore sul mercato, però, il problema è che nelle condizioni attuali nelle quali versa la banca senese sarà molto difficile che accada, poiché la banca è praticamente invendibile. Sono eccessivi i crediti deteriorati da essa detenuta, come ha evidenziato Baldassarri nel corso della trasmissione, «anche per un grande aggregato bancario italiano o europeo».

L’ONNIPRESENTE PADOAN

«Inoltre – ha sottolineato il presidente del Cser -, in questa fase siamo in presenza di un aspetto francamente non elegante ed esso ha a che fare con la trattativa diretta aperta dal Ministero dell’Economia e Unicredit. Sia chiaro: non ritengo ci sia nulla di male nel fatto che Unicredit assorba MpS, tuttavia va ricordato che il ministro dell’Economia che nel 2017 nazionalizzò MpS oggi, nelle vesti di presidente di Unicredit, si trova nella posizione di colui che potrebbe acquistare la banca. A questo punto il tema vero è: che cosa si prenderà? E quanto pagherà MpS?».

Già, perché se tutti, o almeno buona parte, dei crediti deteriorati in pancia a MpS verranno eliminati a spese dello Stato si tratterebbe di un regalo non da poco.

«In più – rimarca ancora Baldassarri -, bisogna fare attenzione, perché il risultato finale sarebbe quello della creazione di un duopolio bancario nel Paese, costituito da Intesa San Paolo da un lato e da Unicredit dall’altro, più l’aggregazione della più piccola realtà rappresentata dalle Bcc».

PAGHERÀ NUOVAMENTE LO STATO?

«Forse – suggerisce Baldassarri – questa  trattativa diretta andava fatta precedere da un sondaggio di più ampio spettro che investisse l’intero panorama bancario europeo. Esiste un esempio importante di questo in Italia, la Banca Nazionale del Lavoro, che in passato venne acquisita da BNP Paribas e che oggi funziona perfettamente pur essendo un’affiliata di una banca francese. Ora, da noi Intesa San Paolo ha fatto intendere di non essere interessata a MpS, Unicredit al contrario sì. A questo punto bisognerà fare molta attenzione alle condizioni mediante le quali questa cessione eventualmente avverrà, perché 5,4 miliardi sono stati già pagati dallo Stato nel 2017, ma adesso se lo Stato si assumerà l’onere degli Npl scorporandoli da MpS saranno ancora i contribuenti a pagare per i dissesti di altri, consegnando nelle mani di Unicredit una rete bancaria importante, soprattutto nel centro-nord del Paese, però depurata da tutte le sue tossicità».

UN GROSSO REGALO A UNICREDIT

Quella che si va prospettando parrebbe avere tutti i tratti di una strada obbligata. Al riguardo, mercoledì 4 agosto presso la Commissione parlamentare Finanze avrà luogo l’audizione del ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, egli illustrerà gli intendimenti maturati in seno all’esecutivo presieduto da Mario Draghi. «mancano solo quattro mesi alla scadenza – ha concluso Baldassarri -, è chiaro che all’ultimo momento non è facile pensare ad alternative. Quello che io auspicherei e che, se si chiude questa trattativa con Unicredit quale unica possibilità esistente, almeno si faccia chiarezza sui costi e sugli oneri, cioè su cosa prenderà Unicredit e su cosa rimarrà a carico dello Stato, in totale trasparenza sul tipo di operazione. È chiaro che lo Stato dovrà metterci altri soldi, ma bisognerà sapere se si tratterà dell’ultima volta, con MpS incorporata a spese del contribuente in una struttura privata più solida, oppure se dovremmo aspettarci un secondo caso Alitalia».

ASSENZA DI ALTERNATIVE

In questo senso il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sgomberato il campo da dubbi, affermando chiaramente che al momento sul mercato per MpS non sono pervenute offerte di acquisto.

A359 – ECONOMIA, BANCHE: MONTE DEI PASCHI DI SIENA, una brutta storia con uno strascico di fastidiose incognite. Entro il dicembre del 2021 lo Stato dovrà disfarsi della disastrata banca toscana, ma sul mercato non risultano essere pervenute offerte di acquisto, tranne quella di Unicredit, istituto presieduto da Pier Carlo Padoan, che nel 2017 nelle vesti di ministro dell’Economia la «rinazionalizzò» a spese dei contribuenti.
Quella che si va prospettando parrebbe avere tutti i tratti di una strada obbligata, con il suo corollario di ulteriori oneri a carico dello Stato e futuri esuberi di lavoratori. Oggi il ministro Daniele Franco verrà audito in Parlamento. Sulla spinosa questione abbiamo raccolto il parere del professor MARIO BALDASSARRI.
Tuttavia, alle condizioni nelle quali versa attualmente la banca senese sarà molto difficile trovare un acquirente, poiché essa è praticamente invendibile a causa degli eccessivi crediti deteriorati che detiene, troppi anche per un grande aggregato bancario italiano o europeo.
Si è fatta avanti solo Unicredit, ma a questo punto, se sarà davvero una strada obbligata, bisognerà che il Governo Draghi faccia chiarezza su cosa cederà al gruppo bancario privato e a quale prezzo, cioè di quanto si dovranno ancora fare carico i contribuenti italiani per la scorporazione dei non performing loan.
Di questo e delle prospettive di crescita economica del Paese Baldassarri ne ha discusso a “Capire per conoscere” con il direttore di Radio Radicale ALESSIO FALCONIO nel corso della trasmissione andata in onda lunedì 2 agosto 2021.
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