LIBIA, stabilizzazione. Le prospettive in vista della prossima conferenza di pace

Il punto della situazione fatta il giorno dopo la visita ufficiale del primo ministro libico Dbeibeh, con un occhio al processo di pace e un altro alle concrete possibilità offerte alle imprese italiane dalla ricostruzione del Paese nordafricano. Le stime sui possibili investimenti e i contenziosi nel settore Oil&Gas

Se il processo di stabilizzazione è stato avviato, col cessate il fuoco che regge malgrado nel Paese permangano ampie zone non del tutto sicure, l’orizzonte della Libia è alle elezioni di fine anno.

VERSO LA SECONDA CONFERENZA DI PACE

Il prossimo 23 giugno a Berlino avrà luogo la seconda conferenza di pace in Libia, alla quale per la prima volta parteciperà anche il governo (di transizione) di Tripoli. Nel corso dei lavori le attenzioni verranno incentrate sul processo di stabilizzazione in corso, sulla preparazione delle elezioni indette per la fine del prossimo dicembre e sulla questione del ritiro delle truppe straniere e dei mercenari presenti sul territorio libico.

Tutto bene dunque? Parrebbe di sì, tuttavia quando si parla di Libia è necessario associare una forte dose di ottimismo a una estrema cautela, quindi, se a Dubai il direttore di Libya Build Maged Mahfoud afferma con entusiasmo che il successo della Libia «è legato agli imprenditori», mentre da Parigi il politologo e analista strategico Emmanuel Dupuy ribadisce l’importanza che Francia e Italia lavorino insieme per stabilizzare il Paese e contrastare il terrorismo jihadista nel Sahel, c’è chi, in ogni caso, ricorda a tutti che sulla Libia occorrerà ancora lavorare molto anche e soprattutto per giungere a rinvenire un referente certo che sia in grado di garantire un adeguato contesto nell’ambito del quale le imprese estere possano investire nella ricostruzione.

LA SICUREZZA SOTTO TUTTI I SUOI ASPETTI

La sicurezza è il problema principale, poiché se nella capitale il livello è relativamente buono in altre zone del Paese non è purtroppo così. Al riguardo, il citato Mahfoud, nel corso di un’intervista rilasciata al mensile specializzato Africa e Affari, sottolineando come in  Libia lo scenario politico sia migliorato e quindi si ravvisano i presupposti per tornarci, con riferimento al problema della sicurezza ha altresì dichiarato che: «Il governo sta lavorando su questo fronte, ci sono milizie sul campo, ma queste milizie dentro Tripoli sono oggi controllate dal governo».

Ma esiste anche un altro grande problema nel Paese nordafricano appena uscito dalla guerra civile: il sarsCov-2. «La situazione in questo momento non è buona – ha proseguito Mahfoud -, ma riteniamo che tra luglio e agosto la situazione sarà di gran lunga migliorata. In ogni caso applicheremo gli standard che usiamo già a Dubai, dove abbiamo ripreso a organizzare fiere. Perfino se ci saranno restrizioni tra Paesi, lavoreremo con il governo libico e con gli espositori internazionali, avremo dei protocolli che metteremo a punto entro settembre: raccoglieremo le persone a Roma o a Malta, noleggeremo degli aerei, porteremo i partecipanti in Libia, creeremo dei corridoi sicuri da aeroporto a aeroporto».

IL NUOVO «ASSE» ITALIA-FRANCIA

In una lunga intervista concessa all’agenzia di stampa ADN Kronos, l’analista Emmanuel Dupuy si è soffermato anche sulla situazione libica e lo ha fatto alla luce della nuova intesa tra Roma e Parigi suggellata dal recente incontro tra Macron e Draghi.

«Il nuovo asse Italia Francia – afferma Dupuy – riveste una importanza strategica nell’ottica ambiziosa di avere una nuova politica estera mediterranea dell’Unione europea (…) accompagnando economicamente e politicamente la stabilizzazione del Paese con la legittimazione del governo di unità nazionale presieduto da Dbeibeh».

Egli, affrontando il tema della politica estera e di sicurezza europea nel Mediterraneo ha parlato di una «condivisione ottimale sul piano politico e diplomatico tra Francia e Italia sulla Libia, oltreché una condivisione degli interessi economici grazie a un rispetto delle aree di competenza».

Del fatto che il consolidamento del rapporto tra Parigi e Roma «aiuterà parecchio» ne sono convinti anche negli ambienti imprenditoriali italiani.

Va ricordato che, dopo la tappa romana di ieri, stasera il primo ministro libico Dbeibeh incontrerà il presidente francese Macron, che «ossessionato dalla presenza in Libia di turchi e russi» parlerà con il capo del governo di transizione anche dell’uscita dal paese delle truppe e dei mercenari stranieri.

INVESTIMENTI E RICOSTRUZIONE: LE STIME

Se le stime elaborate nel 2012 indicavano nella cifra di 450 miliardi di dollari l’ammontare necessario di investimenti necessari alla Libia per trasformarsi in un paese moderno, dopo la guerra civile e le distruzioni di questi ultimi anni si ritiene che la somma necessaria sia lievitata a un migliaio di dollari all’anno per almeno tre anni. Questo fornisce una dimensione del potenziale anche per le imprese estere, italiane incluse ovviamente.

Sempre secondo l’opinione del direttore di Libya Build i soldi non costituirebbero il problema, poiché il Paese «ha a disposizione rimesse sufficienti all’interno e all’estero», quindi, «se il giusto governo mette giù il corretto piano d’azione e la corretta road map allora abbiamo vinto».

Gli italiani dovranno misurarsi con la concorrenza, che annovera le iperattive imprese turche, fortemente sostenute dal loro governo. Conclude al riguardo Mahfuod che, infatti, «i competitor dell’Italia non sono gli altri paesi europei: ma è la Turchia, che ha migliorato la qualità dei suoi prodotti e ha prezzi più bassi».

Malgrado ciò, qualora la Libia dovesse ripartire pacificata ci sarà lavoro per tutti, poiché si deve ricostruire un paese dalle infrastrutture distrutte oppure ormai obsolete, a quel punto sarà nelle capacità di ogni singolo imprenditore entrare in Libia e ottenere contratti, perché nessuno ha l’esclusiva.

ASPETTATIVE E QUESTIONI APERTE

Ma oltre all’imprenditoria occorre anche la finanza e con riferimento alle infrastrutture esistono dei fondi di investimento internazionali che ottengono ricavi enormi, in Italia questo manca. Manca un fondo concepito per il finanziamento di opere per lo sviluppo dei paesi del terzo mondo che ponga le imprese interessate nelle condizioni di poter operare in quei luoghi.

Permangono però alcune gravi incertezze generate dall’assenza di un rapporto di fiducia e di potere tra il governo di Tripoli e il governatore della banca centrale libica, aspetto che ultimamente si è riproposto con effetti negativi, come quando il governatore è entrato nelle scelte dell’esecutivo bloccando le dinamiche economiche con conseguente nocumento anche per le imprese estere, situazioni che rimanevano congelate anche per mesi. Lo scontro per il potere è tuttora in atto, bisognerà attendere per capire meglio chi saranno i nuovi «uomini forti» in Libia.

Questo in linea generale per quanto riguarda le infrastrutture, per ciò che invece concerne il settore energetico vanno svolte alcune considerazioni che, in ogni caso, non si scostano da quelle precedenti in merito all’incertezza.

OIL & GAS: L’OBIETTIVO DEI DUE MILIONI DI BARILI AL GIORNO

Nella serata di ieri il primo ministro libico Dbeibeh ha cenato con il Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi e con l’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi. A Tripoli si afferma che, una volta ultimata la ricostruzione delle infrastrutture energetiche, è intenzione raggiungere «assieme all’Italia» la quota di produzione di due milioni di barili di petrolio al giorno, questo in due anni. Ma rimettere in moto il lift non sarà certamente un’impresa facile, si tratta dunque di un obiettivo estremamente ambizioso.

Al momento alla NOC, la compagnia energetica libica, è tutto bloccato, tuttavia si continua a bandire e svolgere gare per assegnare appalti. Si tratterebbe di lavori interessanti, anche per l’indotto del settore, ma attualmente permangono le incertezze sui pagamenti. Le opere da realizzare sarebbero tante: dai centri di trattamento allo sviluppo di nuovi pozzi estrattivi (al momento in Libia molti pozzi rimangono inattivi perché scollegati alle pipelines).

Non sono poche le imprese contrattiste estere che devono ancora ricevere i pagamenti per i lavori effettuati in passato, inoltre pendono numerosi contenziosi per le penali applicate dalla NOC nei confronti delle imprese estere che, a causa del conflitto, non sono riuscite a portare a termine le opere nei tempi precedentemente definiti dai contratti, imprese che ora si trovano nella «black list» della NOC.

Insomma, sulla Libia c’è da lavorare, in tutti i sensi.

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