CINA. Pechino persegue il controllo dell’Eurasia e minaccia Taiwan e Australia. Il ritardo dell’Occidente nel contenimento

Richiesto di un giudizio a proposito dell’Unione Sovietica durante la guerra fredda, Winston Churchill la definì: «un enigma avvolto in un mistero». Un giudizio passato alla storia che risulta difficile adattare alla Cina, i cui leader da quasi un decennio, hanno chiarito più volte il loro obiettivo: sostituirsi agli Stati Uniti come potenza leader del mondo e sostituire l’ordine mondiale liberale con uno basato sul loro sistema autocratico. Un obiettivo chiaro che la Cina si prepara a raggiungere estendendo la propria influenza geo-politica su quanta più Eurasia e Africa possibile.

Un obiettivo che la Cina sta perseguendo ricorrendo alla politica della carota e del bastone. Da una parte ricorrendo alla Belt and Road Initiative e realizzando grandi investimenti nel continente africano, dall’altra tornando a provocare Taiwan, considerata dal 1949 “provincia ribelle” perché parte della madre patria sottratta alla sovranità cinese dai superstiti della fazione nazionalista capeggiata da Chiang Kai-shek, lo sconfitto da Mao Zedong nella guerra civile.

LA MINACCIA A TAIWAN E ALL’AUSTRALIA

Recentemente il Global Times, il quotidiano cinese che fa capo al Partito Comunista, ha avvisato l’Australia che il suo esercito sarà il primo ad essere colpito nel caso di un conflitto su Taiwan. «L’esercito australiano è troppo debole per essere un degno avversario della Cina, e se osa interferire in un conflitto militare, ad esempio nello Stretto di Taiwan, le sue forze saranno tra le prime ad essere colpite», si legge nell’articolo.
L’articolo rende ancora più esplicita la minaccia cinese: «L’Australia non creda di potersi nascondere dalla Cina in caso di provocazioni. Il paese si trova nel raggio d’azione del missile balistico a raggio intermedio DF-26 dotato di testata convenzionale». Si tratta di un missile intercontinentale a raggio intermedio da 3.000 a 5.500 chilometri in grado di colpire l’Australia.

RILEGGERE I FONDAMENTALI DELLA GEOPOLITICA

Quella lanciata dalla Cina è una sfida epocale per la quale le leadership occidentali hanno bisogno di riappropriarsi dei fondamentali della geopolitica classica. A cominciare dagli scritti di sir Halford Mackinder che già ai primi del Novecento considerava i continenti eurasiatico e africano come il luogo geografico chiave per la ineguagliabile presenza di risorse umane e naturali.
Mackinder avvertiva che per realizzare questo disegno, era necessaria una marina così potente da emulare quella dell’antica Roma, la sola capace di esercitare il potere marittimo sul Mar Mediterraneo. Se a quell’equazione oggi aggiungiamo le nuove dimensioni di aria, spazio e sviluppo informatico, possiamo comprendere la gravità della sfida che la Cina ha già lanciato al resto del mondo preparandosi al controllo strategico di quei continenti.

LE MIRE CINESI SUL CONTINENTE EUROASIATICO

La stabilità dell’immenso continente Eurasiatico dipende essenzialmente dal dominio che vi esercitano le grandi potenze sui mari che lo circondano. Nel secondo dopoguerra la sua sicurezza è stato il risultato dell’equilibrio di potere sul continente eurasiatico espressa dagli Stati Uniti. Dopo aver sostituito la Gran Bretagna nel rango di prima potenza marittima mondiale, gli Stati Uniti sono stati di fatto i detentori dell’equilibrio di potere eurasiatico che ha sostenuto l’ordine mondiale liberale che la Cina sta cercando di sostituire.
La Cina e i suoi vertici militari mostrano una migliore comprensione della geopolitica classica e se ne stanno servendo per estendere la propria influenza. I bracci di questa azione sono due: la Belt and Road Initiative, volta ad allargare molto al di là dei propri confini l’influenza economica e politica cinese e la parallela crescente potenza navale che in prospettiva consentirà di esercitare un adeguato controllo dei mari della Cina orientale e meridionale, dell’Oceano Indiano e dell’Artico.

L’OCCIDENTE DEVE IMPEDIRE UNA SALDATURA CON LA RUSSIA

La ritrovata alleanza di interessi della Cina con la Russia sta riproducendo lo stesso incubo geopolitico del blocco sino-sovietico dei primi anni ‘50. Rispetto a quel precedente, che rendeva insonne il mondo libero, la minaccia odierna è decisamente più rilevante perché il potere economico della Cina è maggiore di quello esercitato dall’Unione Sovietica del dopoguerra e non c’è nessun contrasto ideologico che possa causare una spaccatura come negli anni ‘50, quando il rapporto tra il comunismo cinese e quello sovietico era da separati in casa.
In diversi teatri geo-politici, oggi Cina e Russia perseguono quasi le stesse politiche. Entrambe si sono avvicinate all’Iran e la Cina ha cominciato a corteggiare i sauditi per aumentare la propria influenza in Medio Oriente.

BIDEN ALLA RICERCA DI UNA STRATEGIA

Al recente summit che si è svolto in Alaska tra i funzionari della sicurezza di Biden e le loro controparti cinesi, gli statunitensi hanno rimproverato alla Cina le continue violazioni dei diritti umani, ma i cinesi hanno prontamente ribaltato la situazione citando la discussione tutta interna al Partito Democratico sul “razzismo sistemico americano”.
Il presidente Biden è alla ricerca di una politica coerente per fronteggiare la Cina e incidere sul nuovo quadro geo-politico. Biden si è detto preoccupato per le provocazioni militari cinesi a Taiwan, ma ha anche imposto sanzioni alla Russia e ed ha definito il presidente russo Vladimir Putin un “assassino”, rinunciando così a mettere un cuneo politico tra le due gigantesche potenze euroasiatiche. Ma non è il solo Biden ad aver sbagliato.

L’OCCIDENTE DAVANTI ALLA PROFEZIA DI LENIN

A fallire sono state gran parte delle amministrazioni statunitensi. Almeno dai tempi di George Bush jr., le politiche di Washington hanno prodotto il risultato di alimentare la crescita economica e militare della Cina. Un atteggiamento di “leggerezza” in nome del mercato, che sembra confermare la previsione di Lenin, secondo la quale i capitalisti avrebbero venduto ai comunisti la corda con cui quest’ultimi li avrebbero impiccati. Unica eccezione l’amministrazione Trump, che sembrava aver compreso la natura della sfida geopolitica della Cina ed aveva orientato la politica degli Stati Uniti in direzione del contenimento anche agendo in complicità con la Russia.
Quello cinese è uno Stato autoritario e di sorveglianza repressiva che impone “crediti sociali” ai suoi cittadini, ha elevato un firewall informativo che censura tutto ciò che ritiene pericoloso per il governo, sopprime la libertà a Hong Kong, perseguita gli uiguri e minaccia continuamente di annettere con la forza la provincia ribelle di Taiwan. Siamo sicuri che è ciò che il mondo si merita?

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