MEDIO ORIENTE, conflitti. Israele e Hamas: raggiunta una tregua; da mezzanotte entra in vigore il cessate il fuoco

La de-escalation era nelle aspettative della Casa Bianca e per ottenerla aveva ottenuto la collaborazione del Marocco nel difficile negoziato per il raggiungimento di un cessate il fuoco. L'amministrazione Biden si era dunque rivolta a Rabat affinché interponesse i suoi buoni uffici per fermare la guerra. Il bilancio delle vittime

Il bilancio di questi undici giorni di azioni belliche è di 12 morti israeliani (inclusi alcuni cittadini arabi dello Stato di Israele) e 230 palestinesi della Striscia; nel complesso i sedici gruppi armati palestinesi attivi a Gaza hanno lanciato 4.400 razzi contro il territorio dello Stato ebraico, colpendo le aree popolate da civili. La tregua era stata fortemente cercata da Washington, da dove il presidente Joe Biden aveva più volte contattato Netanyahu. L’ultima volta nella giornata di ieri.

La conversazione intercorsa tra il presidente degli Stati Uniti d’America con il primo ministro dello Stato ebraico, la quarta nel corso degli ultimi sette giorni, rifletteva chiaramente la crescente preoccupazione della Casa Bianca per il conflitto in atto tra israeliani e palestinesi di Hamas e Jihad islamica. Negli auspici di Biden c’era infatti una «significativa de-escalation» nelle ostilità che durano ormai da undici giorni.

LA DE-ESCALATION ERA NEGLI AUSPICI DI BIDEN

Secondo la lettura del colloquio fatta dalla Casa Bianca, i due leader avrebbero avuto una discussione dettagliata sulla situazione nella striscia di Gaza, sui progressi conseguiti dalle forze armate israeliane nel degradare le capacità militari di Hamas e di altre organizzazioni armate palestinesi, nonché sugli sforzi diplomatici profusi dai governi della regione del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena) e, ovviamente, degli stessi Stati Uniti.

Una significativa de-escalation che si sarebbe dovuta configurare come propedeutica a un successivo cessate il fuoco. Tuttavia, Washington non aveva fatto alcun riferimento riguardo agli eventuali passi in questa direzione che dovrebbe compiere Israele, anche alla luce delle ultime dichiarazioni rese da Benjamin Netanyahu, che nelle ore precedenti aveva confermato la volontà di procedere negli attacchi alle strutture dei gruppi armati islamisti palestinesi fino a quando queste non fossero state poste nelle condizioni di recare una effettiva minaccia ai cittadini israeliani.

LA MEDIAZIONE DEI PAESI TERZI

Ieri, attraverso fonti diplomatiche, era stata poi diffusa la notizia che gli Usa avrebbero chiesto al Marocco di contribuire agli sforzi per il raggiungimento di un cessate il fuoco tra i gruppi armati palestinesi e le Forze di difesa israeliane (IDF o Tsahal).

Il sito web di informazione franco-marocchino “LeDesk” aveva già rivelato lo scorso  15 maggio riguardo agli «avvenuti contatti tra l’amministrazione Biden e il Regno del Marocco per cercare di frenare l’escalation nella regione», questo mentre nella giornata di martedì il segretario di Stato americano Blinken e il suo omologo marocchino, il ministro degli esteri Nasser Bourita, avevano avuto un colloquio telefonico sul tema.

«Ho parlato con il ministro degli esteri marocchino Bourita riguardo all’importanza di ripristinare la calma in Israele, in Cisgiordania e Gaza al fine di evitare ulteriori perdite di vite umane – ha twittato in seguito Blinken -, poiché Rabat è un partner strategico e dunque lavoreremo assieme per porre fine a questo conflitto».

IL POSSIBILE RUOLO DEL MAROCCO NEL NEGOZIATO

Dalla nota diffusa dal Dipartimento di Stato Usa si era appreso anche che Blinken e Bourita avevano manifestato una «preoccupazione comune» a causa dell’escalation di violenza in Israele, Cisgiordania e nelle striscia di Gaza, che stava causando la morte di civili israeliani e palestinesi, inclusi i bambini.

La ricerca americana di un sostegno nel Marocco si spiegava anche con il fatto che il Paese nordafricano aveva svolto un ruolo centrale nel processo di pace in Medio Oriente, sia al tempo dei negoziati tra Egitto e Israele (che hanno avuto luogo dal 1977 al 1979 e hanno portato alla firma del Trattato di Camp David), che ni successivi Accordi di Oslo stipulati nel 1993 tra Israele e l’Autorità nazionale palestinese.

Rabat era infatti in grado di esercitare la propria influenza nel quadro della questione palestinese sia in qualità di Stato presidente del Comitato di Gerusalemme, che in virtù delle speciali relazioni che la legano a Israele, anche in  ragione della nutrita comunità di ebrei di origine marocchina (mizrahìm), che all’interno dello Stato ebraico costituisce il 5% della popolazione complessiva.

FINALMENTE IL CESSATE IL FUOCO

In occasione della ripresa dei rapporti diplomatici tra Israele e Marocco, il Regno nordafricano aveva ribadito che i fondamenti della propria posizione in merito alla questione palestinese erano l’impegno al raggiungimento di una soluzione basata su due Stati (palestinese e israeliano) e il principio del negoziato diretto tra Palestinesi e Israeliani quale unico strumento idoneo al conseguimento del risultato di una pace duratura.

Ora si è pervenuti a un cessate il fuoco, che pone fine a un breve ma intenso conflitto che ha fatto troppi morti, seppure di meno se confrontati al numero di quelli rimasti uccisi nella guerra precedente tra le Forze di difesa israeliane e i palestinesi di Hamas.

UN BILANCIO SEMPRE NEGATIVO

Un conflitto che per gli islamisti al potere a Gaza costituisce soltanto una «vittoria di Pirro», poiché se nell’immediato la filiazione palestinese dei Fratelli musulmani potrà capitalizzare un relativo successo di immagine soprattutto nel mondo arabo-musulmano, oltre ad aver congelato di fatto gli Accordi di Abramo e avere, ma soltanto temporaneamente, eluso il problema del proprio consenso politico alle elezioni palestinesi che il gruppo dirigente del Fatah al governo a Ramallah aveva rinviato per paura di perderle, anche per l’apparire sulla scena di nuovi soggetti candidati alla guida di un popolo stanco da molto tempo della guerra e delle autocrazie.

Tutti questi risultati li ha però conseguiti a caro prezzo, che è stato sì pagato anche dalla propria organizzazione politico-militare con la perdita di elementi di spicco eliminati dagli israeliani, ma l’onere maggiore (nei termini dei lutti e dell’ulteriore peggioramento delle già derelitte condizioni esistenziali) è ricaduto sulla popolazione civile palestinese, rimasta come sempre la vera vittima delle scelte delle sue leadership.

Quanto agli israeliani, essi adesso dovranno fare i conti con l’ennesima mutazione della minaccia alla loro sicurezza e con gli sviluppi del quadro internazionale e regionale, risolvendo inoltre finalmente – ma in una situazione politica interna già precedentemente polarizzata e resa oltremodo deteriorata da quest’ultimo conflitto – il problema del loro governo.

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