ANNIVERSARI, Napoleone Bonaparte. Duecento anni fa il Grande corso moriva a Sant’Elena

Quando la morte lo raggiunse aveva cinquantadue anni e si trovava nuovamente all’esilio in un’isola nel mezzo dell’oceano Atlantico. I vincitori avevano deciso di confinarlo lì, per sempre, immediatamente dopo la sua sconfitta a Waterloo

Cancro. Più precisamente: lesioni cancerose allo stomaco. Queste le cause del decesso riportate dai medici britannici nel documento ufficiale firmato dopo l’autopsia sul cadavere di Napoleone. Era il 6 maggio del 1821 e il condottiero corso se ne era andato via il giorno prima, stavolta definitivamente.

Egli, già nelle settimane che avevano preceduto la campagna militare del 1815 – l’ultima della sua esistenza -, era apparso pallido in volto: il colorito verdastro, unito al gonfiore del viso, non aveva lascito presagire nulla di buono riguardo alla sua salute.

Chi, del suo seguito, ebbe occasione di osservarlo mentre riposava, riferì in seguito di essersi trovato di fronte alla maschera mortuaria dell’uomo irrefrenabile e pieno di vita che aveva avuto modo di conoscere in precedenza.

Morte nella desolazione di Sant’Elena

In effetti, così Napoleone era stato fino a poco tempo prima; però, dalla sconfitta del 1814 – dramma che fu il preludio dell’esilio all’isola d’Elba – non era più la stessa persona. Quando la morte lo raggiunse aveva cinquantadue anni e si trovava nuovamente all’esilio in un’isola nel mezzo dell’oceano Atlantico. I vincitori avevano deciso di confinarlo lì, per sempre, immediatamente dopo la sua sconfitta a Waterloo.

In quegli stessi giorni, in vari luoghi del mondo, qualcuno fantasticava ancora su irrealizzabili progetti di una sua evasione. Ubbie, nella desolazione di Sant’Elena gli era rimasto vicino soltanto un piccolo seguito col quale condividere la sua amarezza, magari nell’ultimo debole sforzo di riversare le responsabilità del disastro del Belgio sui suoi marescialli, in modo particolare su Grouchy.

Epatite o avvelenamento?

Contrariamente ai suoi colleghi britannici, la prima cosa che pensò il suo medico personale – il dottor Francesco Antommarchi, patologo e professore all’Università di Pisa – fu l’epatite. Un’intossicazione dunque, come tante altre, seppure, a distanza di oltre un secolo, qualcuno avrebbe addirittura ventilato l’ipotesi che egli potesse essere stato avvelenato.

Accadde negli anni Sessanta, a seguito di un’analisi effettuata per mezzo dell’attivazione dei neutroni che portò al rinvenimento di tracce di arsenico nei capelli del Bonaparte, dovute con ogni probabilità all’assorbimento da parte dei tessuti delle vernici  e di altre sostanze chimiche presenti sulla bara, un fenomeno frequente in questi casi.

Quando Napoleone morì, dalla sua ultima battaglia erano trascorsi solo sei anni, ma il suo nome era comunque già entrato nella leggenda.

Un protagonista

Non è possibile narrare Waterloo senza avere prima tratteggiato, seppure soltanto per grandi linee, il profilo del suo maggiore protagonista. Napoleone Bonaparte, l’uomo che avevano ricostruito la Francia rivoluzionaria trasformandola da Paese in rovina in potenza organizzata e progredita, quello stesso Paese che però aveva trascinato in uno stato di guerra praticamente  ininterrotto per la durata di dieci anni.

Una premessa obbligata, utile anche per esaminare il suo tempo, una breve e intensa era di sconvolgimenti consumatasi in neppure tre decenni, una arco di tempo tutto sommato ridotto, ma sufficiente a lasciare una profonda impronta nella storia.

Napoleone aveva visto i natali il 15 agosto del 1769 ad Ajaccio, in Corsica, frutto dell’unione di Carlo Buonaparte (il cognome verrà in seguito mutato in Bonaparte) e Letizia Ramolino.

Studente attento e particolarmente portato per le discipline esatte

Pare che la sua famiglia discendesse da un antico casato toscano; il padre Carlo, avvocato, era stato un fiero sostenitore dell’indipendenza dell’isola e aveva combattuto contro i francesi nei gruppi armati organizzati da Pasquale Paoli, ma dopo la riunione della Corsica alla Francia avvenuta nel 1768, si era riconciliato con le autorità ottenendo la carica di assessore reale nella sua città.

La madre viene ricordata come  una donna affascinante d’aspetto e decisa nel carattere, a tal punto animata da spirito patriottico e coraggiosa da seguire i partigiani còrsi sui monti durante la guerriglia antifrancese.

Napoleone era il secondogenito di tredici figli, dei quali solo otto sopravvissero. Nel 1778, Carlo Buonaparte riuscì ad assicurare ai suoi due figli maggiori – il primogenito Giuseppe e Napoleone – un posto nel collegio di Autun, l’anno seguente Napoleone poté quindi accedere all’accademia militare di Brienne, dove sarebbe rimasto cinque anni, rivelandosi – malgrado le iniziali difficoltà linguistiche  e l’estraneità di quell’ambiente – uno studente attento e meritevole, particolarmente portato per le discipline esatte.

Sottotenente ad Auxonne, rafforzato da Plutarco

Nell’ottobre del 1784 venne ammesso alla scuola militare di Parigi, dove, dopo averne seguito i corsi di studio della durata di un anno, conseguì la nomina al grado di sottotenente e venne assegnato a un reggimento di artiglieria stanziato ad Auxonne, una località non distante da Digione.

Negli anni successivi visse poveramente, riuscendo comunque a completare la propria preparazione militare, in particolare quella relativa alle tecniche di artiglieria. Una fase della sua vita nella quale divorò i libri di autori antichi e moderni, restando affascinato in special modo dalle magistrali narrazioni degli eventi bellici fatte da Giulio Cesare, mentre, al contempo, Plutarco gli suggeriva una morale di vita forte.

Dopo il 1789 aderì all’esercito rivoluzionario e, nel 1791, a Valence, si iscrisse al Club dei Giacobini. Le sue origini còrse, però, fecero sì che mantenesse un atteggiamento distaccato di fronte agli eventi, evitando di farsi coinvolgere in quel clima così infervorato.

Un giacobino divenuto generale a ventiquattro anni

Per un breve periodo della sua esistenza fu un giacobino, anche se poi non ebbe difficoltà a collaborare con i moderati. nel 1793, nominato capitano proprio su raccomandazione dei suoi amici giacobini, venne inviato in missione a Tolone, un’importante piazzaforte che era stata occupata dai soldati inglesi e dalle forze controrivoluzionarie.

Nel corso dell’assedio della città portuale e delle operazioni che portarono alla sua conseguente conquista, Napoleone rivelò uno spiccato intuito militare, evidenziandosi inoltre come ufficiale molto energico e attivo. Subito dopo Tolone, alla giovane età di ventiquattro anni, ricevette la nomina al grado di generale di brigata, con l’incarico di addetto all’artiglieria. Fu l’inizio della sua ascesa, anche se le alterne vicende che lo interessarono nei mesi che seguirono non furono certamente incoraggianti. Infatti, trovandosi nel 1794 a Marsiglia, fece ricostruire una fortezza distrutta dai controrivoluzionari, un’iniziativa che però insospettì alcuni membri della Convenzione, che da Parigi gli fecero pervenire un monito di censura.

Esecutore della repressione per conto di Barras

E non sarebbe finita lì, dato che il 6 agosto di quello stesso anno avrebbe scontato con l’arresto la sua amicizia col fratello minore di Robespierre, l’incorruttibile artesiano. Rilasciato due settimane dopo per diretta intercessione del conte Lazar Carnot – all’epoca ministro della Guerra – Napoleone venne messo in disparte, trovandosi così privo di prospettive per l’avvenire a punto che, nel 1795, il suo nome venne persino cancellato dall’elenco dei generali francesi.

Un momento terribile per quel giovane e ambizioso ufficiale. Privato della paga, arrivò addirittura a pensare di espatriare per offrire i suoi servigi al sultano di Turchia, ma poi, grazie all’interposizione dei buoni uffici della moglie di un altro «convenzionale», alla fine venne riammesso in servizio.

Nel settembre del 1795, avute le prove che i realisti stavano preparando moti insurrezionali approfittando del  malcontento popolare generato dal carovita, Paul Barras, importante esponente della Convenzione al quale era stato affidato l’incarico della difesa interna della Francia, si ricordò di Napoleone – che aveva conosciuto durante l’assedio di Tolone – e lo chiamò nella capitale per incaricarlo delle attività di repressione, e lui assolse pienamente al suo compito.

Cannoni contro il popolo a Parigi

All’esplosione della rivolta – avvenuta nel mese di ottobre, proprio nel bel mezzo di una delicata fase politica che preluse alla costituzione del Direttorio – il generale di origini còrse non esitò a impiegare l’artiglieria nelle strade di Parigi per riportare la situazione all’ordine, e ci riuscì in una sola giornata.

Il successivo incarico cui venne designato fu il comando dell’Armata d’Italia. Poco prima di partire per la campagna militare a sud delle Alpi, si unì in matrimonio con Giuseppina Behaurnais, la bella vedova di un generale dell’esercito ghigliottinato durante il Terrore che poi era divenuta amante  dello stesso Barras. Di sei anni più vecchia di Napoleone, era comunque una donna molto intelligente e, soprattutto, perfettamente introdotta negli ambienti altolocati di Parigi.

La campagna d’Italia si risolse in un capolavoro di condotta militare, offrendo a Bonaparte anche l’imperdibile opportunità di fornire una dimostrazione delle proprie innate capacità.

L’inizio della gloria e del potere

Egli ebbe modo di manifestare la proverbiale forza che era in grado di esprimere nei momenti di grande difficoltà, una caratteristica che lo avrebbe sempre contraddistinto, fino ai tristi giorni del 1814, quando dopo la sconfitta di Lipsia dovette immergersi come un forsennato nella frenetica (ma vana) riorganizzazione militare francese.

Nel 1796, in Italia, si mise alla testa di 30.000 soldati indisciplinati, affamati ed equipaggiati  in maniera sommaria, che nonostante tutto , attraverso geniali piani di battaglia, in poco tempo riuscirono a battere sul campo piemontesi e austriaci. Nel corso dei combattimenti di maggior rilievo (Montenotte, Millesimo, Dego, Arcole, Rivoli), con modernità di pensiero applicò per la prima volta nella pratica la strategia di impiego in massa delle truppe.

Agì all’opposto dei suoi nemici austriaci, che invece – seguendo pedissequamente le regole apprese nelle accademie – mossero le loro unità in modo separato. Ai francesi bastò un anno per assumere il controllo dell’Italia settentrionale, un territorio dove, su impulso dello stesso Napoleone, vennero assunte importanti iniziative sul piano politico, che condussero alla costituzione delle repubbliche Ligure, Cispadana e Cisalpina, ufficialmente entità democratiche, ma nella realtà piccoli Stati satelliti di Parigi.

Col Trattato di Campoformido, che Napoleone concluse senza informare dei suoi preliminari il Direttorio, l’Austria era stata umiliata e aveva perso parte dei suoi possedimenti e, soprattutto, l’influenza politica.

 

Tratto da “Waterloo: la disfatta di Napoleone”, di Gianluca Scagnetti, saggio edito per i tipi di Newton Compton Editori, febbraio 2014

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