ECONOMIA, Robert Mundell. Riflessioni sull’opera e il lascito dell’economista considerato tra i «padri» della moneta unica europea

Il contributo scientifico del premio Nobel canadese per l’Economia ripercorso attraverso gli addentellati del suo pensiero e della sua opera con la situazione attuale e le prospettive future. Baldassarri: «Oggi il problema non è scegliere tra inflazione e disoccupazione, ma tra crescita e occupazione, tenuto conto che attualmente l’inflazione viene calmierata alla radice dalla competitività dei prodotti asiatici»

Robert Mundell, ricordato dal professor Mario Baldassarri, che ne era amico avendolo conosciuto in gioventù al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, era un economista canadese che, in seguito, aveva avuto modo di operare nella Chicago di Milton Friedman, lavorando molto al Fondo monetario internazionale.

Il presidente del Centro studi economia reale, già viceministro dell’Economia, è intervenuto come di consueto alla trasmissione “Capire per conoscere”, condotta si Radio Radicale dal giornalista Claudio Landi.

«E proprio con Friedman a Chicago entrò in conflitto sulla questione dei cambi fissi e dei cambi flessibili che lo portò, ma soltanto per un breve periodo, a tornare in Canada all’Università di Waterloo, poi, a partire dal 1974 ha insegnato alla Columbia University di New York».

Egli non ha mai dimenticato le sue radici canadesi e la sua campagna, tanto che dai primi anni Settanta scelse di vivere in Italia, a Santa Colomba, frazione del Comune di Monteriggioni in provincia di Siena, dove ristrutturò un casale in rovina nella campagna toscana, lui che era un profondo conoscitore dell’arte e della musica italiana.

Il contributo scientifico del «padre» dell’euro

«Mundell è il padre dell’euro – ha sottolineato Baldassarri -, perché già nella prima metà degli anni aveva visto molto lungo, preconizzando un mondo completamente globalizzato, dedicandosi conseguentemente al problema delle aree ottimali in termini di moneta unica, proprio i quanto riteneva che in presenza di particolari condizioni, quali una buona mobilità del lavoro, una politica fiscale possibilmente comune, un tesoro e un debito pubblico comuni e l’unione bancaria e dei flussi finanziari, ebbene, quell’area sarebbe dovuta passare alla moneta unica. Un conclusione alla quale era stato indotto dalle sue convinzioni in materia di cambi fissi».

Ed evidentemente non c’è cambio fisso migliore di quello dato da una moneta comune. «In quel periodo, fornì il suo grande contributo scientifico in materia di aree ottimali di convergenza monetaria, cioè la nota teoria delle zone monetarie ottimali, unitamente all’altro pilastro del suo pensiero, il cosiddetto modello Mundell-Fleming».

Il modello di Mundell-Fleming

Esso constava in un modello proposto ai fini dell’analisi macroeconomica di economie aperte in presenza di politiche di controllo della domanda in regime di cambi fissi e di cambi fluttuanti.

«A quell’epoca, i primi anni Sessanta – ha proseguito Baldassarri -, gli Stati Uniti d’America erano una grande economia chiusa nella quale gli scambi internazionali incidevano poco nel prodotto interno lordo, di conseguenza tutte le analisi erano focalizzate sul quel particolare contesto di riferimento allo scopo di perseguire due obiettivi: l’equilibrio del bilancio pubblico e quello della bilancia dei pagamenti. Attraverso il modello Mundell-Fleming venne evidenziata l’efficacia dell’impiego contestuale di due strumenti, quello della politica monetaria e quello della politica di bilancio».

Politica monetaria e politica di bilancio

Il primo mirante a equilibrare la bilancia dei pagamenti, poiché, a fronte di un processo di globalizzazione sempre più spinto essa sarebbe stata gradualmente influenzata in maniera maggiore dai movimenti di capitale piuttosto che, più semplicemente, dagli scambi commerciali, questo mentre la politica di bilancio (politica fiscale) finalizzata al raggiungimento e al mantenimento di una situazione di equilibrio interno.

«Ora, però, quel vincolo al bilancio pubblico che non esponesse nei termini del deficit e del debito, quindi che fosse in una condizione di equilibrio di bilancio, ne risultava in maniera endogena il tasso di crescita e di occupazione. Dunque, il suo schema era due obiettivi due cannoni, però il problema della crescita dell’economia e, quindi, dei livelli di occupazione era tutto sbilanciato sulle politiche strutturali dell’offerta. Proprio di questo discutemmo negli anni Ottanta, quando, partendo da un mio precedente lavoro sull’economia della crescita elaborato assieme all’economista Robert Solo, sviluppai un modello su tre obiettivi e tre cannoni».

Livello e composizione della spesa pubblica

La politica monetaria controlla l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, la politica di bilancio deve avere un suo proprio equilibrio, tuttavia occorre anche un terzo strumento che ponga nelle condizioni di perseguire anche un terzo obiettivo di crescita e di occupazione «certamente attraverso le politiche dell’offerta, ma, nel mio caso andando a guardare anche il livello e la composizione della spesa pubblica, perché a parità di deficit e di debito il livello e la composizione della spesa pubblica, oltreché della tassazione, incide sulla possibilità di incrementare la crescita».

Secondo Baldassarri il «terzo cannone» era dunque il livello e la composizione della spesa pubblica e delle tasse indipendentemente dal deficit e dal debito, «perché se il deficit e il debito sono pari a zero, livello e composizione della spesa pubblica determinano diversi percorsi di crescita dell’economia in termini potenziali».

In quello stesso periodo Ezio Tarantelli stava sviluppando il suo concetto basato sull’abbassamento della cosiddetta «curva di Phillips» (relazione empirica tra variazione dei salari e disoccupazione proposta nel 1958), lavorando sulla politica dei redditi, l’inflazione e la scala mobile.

La «politica dei redditi»

«Tarantelli voleva schiacciare verso il basso la curva di Phillips e allo scopo propose la “politica dei redditi”. La programmazione dei salari, che non fossero alimentati in termini nominali dall’inflazione, che poi alla fine avrebbe eroso lo stesso potere d’acquisto dei salari, avrebbe consentito di avere meno inflazione e meno disoccupazione», concetto sul quale poi si sarebbe costruito l’architrave della politica di concertazione sociale, «quello che nei primi anni Novanta si verificò a seguito dell’accordo Ciampi. Ma, dal punto di vista della teoria economica, il problema era quello di come passare dallo schema Mundell-Fleming a un altro schema che consentisse di poter guidare la crescita potenziale e raggiungere il livello della piena occupazione».

«Quando vedemmo la caduta del muro di Berlino, Mundell ed io riflettemmo sul futuro dell’Europa, poiché fuori di essa era già in atto un processo di globalizzazione. Fu allora che organizzammo una delle tante importanti conferenze internazionali, delle quali lui era il motore principale, dato anche il suo network di conoscenze internazionali, ma nelle quali la comune radice del MIT ci univa. Nel gennaio del 1991 ne organizzammo una all’Università La Sapienza di Roma intitolata “Building the new Europe”, che durò tre giorni e alla quale parteciparono più di cinquanta economisti provenienti da tutto il mondo, durante la quale si posero i temi dell’allargamento dell’Europa verso Est e dell’approfondimento delle tematiche relative alle politiche monetarie e di bilancio».

Il lascito di Robert Mundell e i piccoli passi in avanti dell’Europa

In quell’occasione, riprendendo i lavori precedenti di Mundell e aggiornandoli al contesto di allora, si posero le premesse dell’avvio del processo che avrebbe condotto alla moneta unica.

«Purtroppo poi ci rendemmo conto che l’allargamento verso Est venne, sì, fatto, così come la moneta unica e la Banca centrale europea, però mancava la politica di bilancio comune, quella della mobilità del mercato del lavoro e soprattutto di unione bancaria, dunque l’Europa restava “zoppa”. Ecco, questo fu il processo di avvicinamento a quello che Robert Mundell scrisse sessant’anni fa e che divenne di attualità a partire dalla caduta del muro di Berlino».

La riflessione, a tratti paradossale, che in conclusione di trasmissione Baldassarri ha fatto sulla rapidità del processo di unione dell’Europa è sull’accelerazione impressa dalla pandemia di Covid-19 in atto, cioè quel piccolo passo in avanti compiuto dall’Europa in quella direzione dovuto al Recovery Fund, «una decisione comune assunta in materia di politica economica e resa possibile da fondi messi a disposizione che, in parte, fanno nascere anche un “debito federale” europeo. Tuttavia, quel Recovery Fund a oggi rappresenta un’una tantum, poiché il bilancio ordinario dell’Unione europea resta ancora all’1% del Pil complessivo dei Paesi membri, a fronte di un 25% degli Usa».

A316 – ECONOMIA, RICORDO DI ROBERT MUNDELL. Riflessioni sull’opera e il lascito dell’economista considerato tra i «padri» della moneta unica europea sulla base della memoria che ne conserva il professor MARIO BALDASSARRI, suo collega e amico fin dai tempi del Massachusetts Institute of Technology (MIT).

Il contributo scientifico del premio Nobel canadese per l’Economia ripercorso attraverso gli addentellati del suo pensiero e della sua opera con la situazione attuale e le prospettive future.

Baldassarri: «Oggi il problema non è scegliere tra inflazione e disoccupazione, ma tra crescita e occupazione, tenuto conto che attualmente l’inflazione viene calmierata alla radice dalla competitività dei prodotti asiatici».

Di questo, dello schema Mundell-Fleming, della politica dei redditi perseguita da Ezio Tarantelli e di molto altro si è discusso nel corso della trasmissione Capire per conoscere, andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale il 12 aprile 2021, alla quale hanno partecipato l’economista Mario Baldassarri e il giornalista CLAUDIO LANDI.

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