SOCIETÀ, ricorrenze. Terremoto: i bambini di Amatrice in visita al Teatro dei Dioscuri

Presso il complesso monumentale del Quirinale la mostra dei loro disegni dedicati alla cittadina colpita dal sisma

di Rosario Sprovieri – “La bambola viaggiatrice di Frannz Kafka”. I bambini di Amatrice, sguardi che squarciano il cielo. L’universo di Bosch, le favole di Kafka e le dolci stelle Chagall, …le stelle che li accompagnano e li aspettano sulla strada, fino al ritorno.

In fila, come per tornare a Scuola, ragazzi e ragazze una vaporosa nuvola bassa che s’incunea per le strade, nei vicoli ampi di Roma in una fredda mattina di fine Gennaio. Hanno il naso rosso, rosso come le fragole mature e, sciarpe colorate e, cappellini variopinti. Loro conoscono bene le folate del vento gelido dell’inverno, sanno dell’incedere delle stagioni, le riconoscono nello scuotere dei cespugli, dall’ondeggiare dei cerri d’alta quota, dalla brina cristallo che imperla il verde della valle, dalle corse imprevedibili degli scoiattoli infreddoliti, dalle tracce fresche e solitarie del lupo e dal suo vagare piano sulla trapunta sfrangiata dell’ultima neve.

Occhi sgranati e increduli spalancati su questo nostro mondo misterioso e imperscrutabile, su terre che al risveglio riappaiono enigmatiche e strane, come quelle delle scene eccentriche che hanno animato le visioni desolate di Hieronymus Bosch. Sguardi intensi raccontano i più piccoli dettagli del disagio della rinascita, del risveglio, di questa resurrezione ad una vita nuova, adesso, straordinariamente diversa. Eccoli, come i folletti del pittore fiammingo, agitano maree di pensieri e, caricano ogni scena di simboli e allegorie inimmaginabili… somigliano all’uomo che cresce da una fragola, alla perla fecondata dalla rugiada del cielo. Ai ragazzi di Amatrice, non ha mai fatto paura il freddo che abita la montagna, non ha mai trovato impreparato il petto; adesso però, tutto è falsato: l’aria gelida è entrata nell’anima ha incatenato il cuore. E noi qui…a bendare le ferite. “Albero di sangue, l’uomo sente, pensa, fiorisce e da insoliti frutti: parole. S’intrecciano sensi e pensiero, tocchiamo le idee: sono corpi e sono numeri” (1)

– Buongiorno ragazzi, benarrivati! Siete qui per i vostri quadri? E’ il saluto dell’accoglienza di Paola e Monica.

– Si signore, venerdì scorso, per l’inaugurazione non ci è stato possibile arrivare a Roma, c’era troppa neve; la neve alta, sa proprio alta quanto una parete! Signore!

– E’ di pietra questo palazzo? E’ la domanda perentoria, lacerante come una rasoiata, di un piccolo ragazzo con poche lentiggini sul viso. Poi a raffica: – Ci sono i mattoni? – Ha le colonne questa casa? – Ci sono colonne di ferro qui?

– E lì Paola: “Su ragazzi, questo è un palazzo storico, state tranquilli qui, non succede niente!

– Anche ad Amatrice ci avevano detto così, signora! Ribatte uno dei giovani allievi. La risposta in un lampo, squarcia parole e certezza, come la coltellata che sfibra la tela di Lucio Fontana, è il gesto che apre la luce al buio e il buio alla luce. Un taglio netto, una metafora visuale sull’Inconscio, su quel luogo crepuscolare dove alloggiano tutte le immagini e le emozioni della nostra vita. E poi che forza nei dialoghi dei bambini!

– Guarda, le case sul lago, lì andiamo a giocare!

– Andavamo a giocare! Sottolinea una ragazza dalle guance rosse come la melarancia, mettendo a nudo la velocitò dei suoi anni e il tempo che le sfugge frettolosamente di mano. Eccoli, davanti alle loro “opere pittoriche” a rimirare i loro piccoli capolavori, le loro pagine dei ricordi. Ogni segno, ogni di-segno è espressione della persona che lo esegue, quando un bambino ci mostra un foglio scarabocchiato, ci sta rivelando parte del suo mondo e di se stesso. Un segno, dunque non può essere preso alla leggera, parla di noi, del non detto, del taciuto dell’ansia che ci portiamo dentro, del tormento che non riusciamo a superare. Il segno, se sappiamo dedicargli la giusta attenzione, è l’inizio di un cammino, è una strada utile per iniziare a esorcizzare “la paura” e per tentare di uscire da ogni tragedia.

– Com’era bello il mio Paese!

– Quella era la mia Piazza.

– Li dietro c’era la mia casa!

Molte volte è proficuo affiancare alla lettura dei segni tracciati, un esercito di operatori di pace, composto da drappelli di tanti pazienti “racconta fiabe”, uomini e donne disponibili ad accostarsi con garbo, agli autori dei segni tracciati su un foglio, ai “ragazzi sradicati e sorpresi” dall’inclemenza inimmaginabile del destino, dalla tempesta delle onde della madre terra. Necessita un manipolo di “folletti” sapienti, pronti a narrare storie, fiabe, favole, filastrocche. I ragazzi trovano nelle fiabe, tanti esempi su come superare paure e difficoltà e anche il modo e la forza per allontanarle per sempre.

I disegni affidati ai genitori, alle maestre, ai grandi maestri pittori, a un drappello di bravi attori, rappresentano ottimi strumenti per aiutare i ragazzi a esorcizzare ansia e inquietudine. La narrazione è un vero e proprio investimento di fiducia, …al principio di ogni storia narrata, c’è il valico: l’arco di pietra antica al ciglio della via, sotto il quale ha inizio il nuovo sentiero verso il futuro.

Narrare è un impegno oneroso, indispensabile. Consapevoli come siamo che, i ragazzi vivono la realtà, anche e soprattutto attraverso i segni reali del mondo degli adulti, loro: la realtà la leggono – sempre – anche attraverso i nostri occhi.

Carissimi ragazzi, io voglio iniziare a raccontare un mondo di storie; storie, come quella della sorprendente “bambola viaggiatrice”, delle sue perle di lacrime e, del dolore vero, come quello della piccola Elsi, per la scomparsa della sua amata bambola Brigida. Brigida era tutto il suo mondo, ragazzi! Voglio provare a inventare, come Franz Kafka, infiniti luoghi meta d’infiniti viaggi e, descrivere tanti posti della terra, posti come quelli che la bambolotta di stoffa giramondo, riesce a visitare; e poi, vorrò diventare postino, si postino, per recapitare le lettere di tutte le bambole perdute.

Le recapiterò personalmente a ogni ragazza, a ogni ragazzo e, a ognuno racconterò degli universi “di soli e di lune, di giorni intrecciati, pieni di pace di amore con mille carezze che scaldano il cuore”.

Ci vorrebbero così tante lettere, da affidare ai postini di tutte le bambole del mondo, per recapitarle adesso, a tutti voi bambini che un giorno farete risorgere Amatrice; per rassicurare e rasserenare il vostro futuro di uomini e donne, per questo vi svelo un grande segreto – “Le bambole – sapete – non si sono perdute! Non si perdono mai …Sono partite, partite per tanti viaggi, viaggi in tutti i paesi del il mondo… proprio come la bambola di Franz Kafka:

– “Ti chiami? Elsi”! …

– “Certo Elsi!” – “Allora era proprio la tua bambola perché la lettera è per te!”

– “Perché Brigida è partita senza di me?”

“Ecco, è questo il tempo di raccontare, di raccontare proprio quello che succede è che è già successo a Brigida. Quando nell’età in cui le bambole devono emanciparsi … voglio dire, che per tutti noi arriva il momento di lasciare la casa dei genitori, i posti a noi più cari, per viaggiare, per conoscere la vita, il mondo e, magari un futuro meraviglioso …”

Per uno scrittore non si tratta solo di saper osservare, ma anche di essere in grado di svelare i segni nascosti in tutto ciò che si osserva, … avere quello sguardo intenso dello scrittore di Praga che, scandaglia la psiche e, con la scrittura né immortala l’invisibile in segno. Vorrei che mille e mille lettere fossero consegnate ogni giorno, per poi ogni giorno, raccontare di nuovi universi e di nuove avventure, sino ad un ultima lettera, proprio come succede per Elsi e alla sua bambola Brigida. Insieme a voi sino a quella mattina lontana: … – “è venuto a consegnare una lettera a qualcuno?”

– “Si, a te”.

– “A me?”.

– “Una lettera e questo pacchetto”.

– “Cosa c’è dentro?”

– “Non lo so è arrivato stamattina”

– “Da parte di chi?”

– “Di Brigida”

– “Credevo non mi avesse più scritto” (dopo tante lettere)

– “E invece hai visto?”

– “Cosa faccio?”

– “Aprilo?” …E’ Bellissima!”

– “Lo è davvero.”

– Poi lui consegnò la lettera. L’ultima lettera il saluto di Brigida:

– “Elsi, ti voglio molto bene, grazie per avermi dato la vita, e la libertà

di viverla. Sii felice.”

– e, questa bambola bellissima, me l’ha regalata?”

– “Sembra di si!”.

– “c’è un’altra cosa” – disse lui.

– “Cosa”

– “Un post scriptum. Dice: Si chiama Dora”

– Dora?” …In pochi secondi tutto sarebbe finito, in pochi secondi Elsi se ne sarebbe andata via per sempre, per accogliere Dora nella sua vita. In pochi secondi lui sarebbe stato solo. Pochi secondi. A volte il tempo è generoso, (2) regala solo piccole cose, piccole cose che fanno la vita.

Bisognerebbe spenderlo bene, il tempo, soprattutto continuando a riaprire ogni sipario e accendere le luci in ogni teatro, al di là di ogni muro, al di là di ogni egoismo, al di là di ogni paura, per rinnovare il racconto degli uomini e, arricchire di storie incredibili lo spazio breve della nostra vita fugace.

(1) Octavio Paz

(2) Jordi Sierra Kafka e la bambola viaggiatrice

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