Mario Draghi ha compiuto oggi la sua prima visita ufficiale all’estero nelle sue vesti di Presidente del Consiglio dei ministri. Egli si è recato in Libia, tormentato paese della sponda meridionale del Mar Mediterraneo che con l’Italia, nel bene e nel male, ha avuto da sempre una stretta relazione.
Oggi a Tripoli c’è un nuovo primo ministro, quell’Abdel Hamid Mohamed Dbeibah, che dovrà traghettare il suo paese alle prossime elezioni politiche dopo l’accordo raggiunto tra le varie componenti dell’universo libico, alcune delle quali in guerra da anni tra loro. Un accordo difficile per il quale non tutti nutrivano speranze, che tuttavia è stato raggiunto anche grazie alla tenacia dei negoziatori.
Oggi si può dunque iniziare a parlare di pace, seppure con molta cautela e malgrado la persistente presenza di numerosi «padrini» che per mezzo dei loro rispettivi proxi hanno combattuto una lunga e devastante guerra per procura sul suolo libico, un teatro bellico infiammato dalla deposizione del dittatore Muhammar Gheddafi e poi conteso da vari «portatori di interessi».
Una guerra che, replicando il più vasto scontro in atto nella regione, ha replicato in quella fetta di Nord Africa gli schemi già applicati altrove, con una differenza però: che l’embargo alle forniture di armamenti dall’esterno ha evitato che la distruzione assumesse le dimensioni di quelle siriane e yemenite.
Draghi a Tripoli
Per Roma, adesso, alla luce della formazione del nuovo Governo di unità nazionale libico, si rende dunque possibile la ripresa della collaborazione con Tripoli in funzione del rilancio delle relazioni di natura commerciale e sanitaria, con un focus particolare concentrato sugli aspetti relativi al fenomeno migratorio e a quelli della sicurezza.
«Penso che la questione più importante sia la riattivazione dell’accordo firmato nel 2008 (quello stipulato con Gheddafi, n.d.r.) per la Libia in tutti i suoi aspetti – ha sottolineato il premier libico Dbeibah –, per rafforzare lo scambio economico e commerciale tra i due Paesi si auspica di poter riaprire lo spazio aereo libico, riattivare l’accordo delle dogane oltre a facilitare le procedure dei visti a favore dei libici, aumentando il numero di quelli rilasciati, specialmente a studenti, uomini d’affari, malati, oltre a facilitare le procedure della comunità libica in Italia anche per quanto riguarda banche e residenza. Questo può essere un segnale di buone intenzioni verso di noi».
Approfittare del momento favorevole alla pacificazione
Allo specifico riguardo va rilevato che a Tripoli auspicano una rapida riunione della commissione economica congiunta. L’imperativo è quello di approfittare dell’opportunità offerta dal particolare momento storico favorevole a una pacificazione, anche alla luce della evidente impossibilità delle parti di prevalere militarmente sul campo di battaglia e, dunque, di imporre una propria risoluzione del conflitto.
Infatti, secondo Mario Draghi questo è un momento unico per la Libia, poiché «si è in presenza di un governo di unità nazionale legittimato dal Parlamento che sta procedendo alla riconciliazione nazionale».
Tuttavia, la condizione essenziale al raggiungimento degli obiettivi (tra i quali, oltre ovviamente alla pace, figura anche il ritorno ai livelli di interscambio economico e culturale tra i due Paesi che si registrava sei anni fa) è quella che il cessate il fuoco venga rispettato rigorosamente.
Il bilancio italiano della visita del Presidente del Consiglio
«È stato un incontro straordinariamente soddisfacente – ha dichiarato il Presidente del Consiglio italiano -, abbiamo parlato della cooperazione in campo infrastrutturale, energetico, sanitario e culturale. L’Italia aumenterà le borse di studio per gli studenti libici e l’attività dell’Istituto di Cultura italiano. Si vuole fare di questa partnership una guida per il futuro nel rispetto della piena sovranità libica».
Draghi è poi passato ad affrontare il tema “caldo” dell’immigrazione, spingendosi a complimentarsi con i libici per i «salvataggi in mare», una dichiarazione che gli ha tuttavia attratto non poche critiche, data la reale situazione nel Paese nordafricano, nel quale si registrano quotidianamente casi di violenza, tortura e uccisioni di migranti in attesa di imbarco per l’Europa.
«Sull’immigrazione c’è soddisfazione per quel che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia – ha al riguardo affermato Draghi -, ma il problema non è solo geopolitico, perché è anche umanitario. Da questo punto di vista l’Italia è uno dei pochi Paesi, forse l’unico, che continua a mantenere attivi i corridoi sanitari. Il problema dell’immigrazione per la Libia non nasce solo sulle coste libiche, esso si sviluppa sui confini meridionali della Libia e c’è un dialogo per aiutare il governo di Tripoli anche in quella sede. Terrorismo, crimine organizzato e traffico di esseri umani sono questioni comuni tra di noi che dobbiamo risolvere insieme, lavorare insieme per trovare meccanismi pacifici».
L’analisi di Mario Giro
Secondo Mario Giro – esponente di rilievo della Comunità di Sant’Egidio, già viceministro degli Affari esteri con delega alla Cooperazione internazionale e, attualmente, docente di Relazioni internazionali presso l’Università per stranieri di Perugia -, questo accordo faticosamente raggiunto è «qualcosa su cui nessuno credeva, quindi è una prova che l’Onu in realtà serve a qualcosa, perché quello libico è un successo importante. Ci si accorge dell’importanza dell’Onu quando l’Onu non c’è. Quindi è stato un grande successo dell’inviata speciale ad interim, l’americana Williams, che ha fatto tutto. Un passaggio di poteri che è avvenuto senza scossoni, grazia alla, seppur fragile, voglia di indipendenza dei libici. Fragile, perché sarà difficile eliminare la presenza e gli interessi dei “padrini” che in questi anni sono stati fatti entrare, ma decisiva».
Inoltre, afferma Giro, «il fatto che Draghi, coraggiosamente, decida di andare in occasione del suo primo viaggio internazionale proprio a Tripoli, cioè sicuramente non uno dei posti più facili esistenti al mondo, è perché l’Italia in questi ultimi anni ha avuto, e mi dispiace dirlo, avuto un sacco di problemi. La verità è che in questi ultimi tre anni non siamo riusciti a metterci d’accordo con i francesi e abbiamo perso posizioni, costretti anche a spostare il nostro ospedale militare di Misurata su pressioni turche. Non è stato un momento facile per gli italiani in Libia, ma ora c’è la possibilità di riprendersi, e per farlo bisognerà andare al cuore del problema politico: la volontà di indipendenza dei libici. E qui gli italiani hanno il vantaggio di non aver influito sulla guerra civile».
Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista con Mario Giro registrata la mattina del 6 aprile 2021 (A314)