SANITÀ, spesa farmaceutica e sprechi. Pillole buttate via e soldi sottratti alla ricerca

L’economista Mario Baldassarri torna a sottolineare l’utilità di passare a un sistema di fornitura dei farmaci in confezioni monodose o, comunque, ridotte nella quantità, onde evitare di sprecare risorse che potrebbero invece venire destinate alla ricerca farmaceutica

Subito dopo la formazione della squadra di ministri del nuovo esecutivo in carica e a poche ore dalla nomina dei sottosegretari, il professor Mario Baldassarri (già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale), assieme al giornalista Claudio Landi, hanno trattato il tema delle sfide che dovrà affrontare Governo Draghi, a partire dalla campagna di vaccinazione della popolazione italiana, con le su criticità.

È avvenuto, come ormai di consueto ogni lunedì, nel corso della trasmissione “Capire per conoscere”, andata in onda lo scorso 22 febbraio sulle frequenze di Radio Radicale. A farla da protagonista stavolta è stata la Sanità.

I farmaci buttati via assieme ai soldi del contribuente

«Da circa venti anni – ha affermato Baldassarri – sostengo un dato importante trascurato da tutti, quello dello spreco di farmaci acquistati dietro prescrizione del medico e pagati, in tutto o in parte, dal Servizio sanitario nazionale, che poi non vengono utilizzati e, quindi, alla loro scadenza vengono gettati via. Si tratta di qualcosa pari alla cifra di quattro miliardi di euro all’anno».

L’economista ospite della trasmissione ha sottolineato l’utilità di passare a un sistema di fornitura dei farmaci in confezioni monodose o, comunque, ridotte, proprio allo scopo di evitare questi sprechi.

«Circa venti anni fa – egli ha proseguito -, quando ero viceministro dell’Economia tentai di trovare un accordo con l’industria farmaceutica italiana (a quel tempo il presidente di Farmindustria era Dompè), proponendo il passaggio al confezionamento monodose o alla prescrizione da parte del medico di base di un numero di pillole e non di un numero di scatole, come si fa ad esempio negli Usa e in altri Paesi nel mondo».

Utilizzare quelle risorse in investimenti nella ricerca

La proposta di Baldassarri all’industria farmaceutica includeva ovviamente una possibilità di guadagno per quest’ultima, ma non derivante dallo spreco di risorse pubbliche.

«Questi quattro miliardi che gettiamo via ogni anno utilizziamoli proficuamente investendoli concretamente ed effettivamente nella ricerca farmaceutica, un settore nel quale l’Italia non è seconda a nessuno. Ebbene, se fosse andata cos’, cioè se in questi vent’anni non avessimo buttato via le medicine e dunque i soldi in occasione delle “pulizie di pasqua”, oggi avremmo utilizzato proficuamente ben quaranta miliardi di euro, con effetti immaginabili in termini di risultati, inclusa l’attrazione di imprese e cervelli dall’estero. Ma, come è noto, le cose andarono diversamente, e nel 2021 sul piano della ricerca farmaceutica il Paese è fanalino di coda dell’Europa. Dopo tutto questo tempo si tratta certamente di una constatazione amara».

La sanità pubblica: un quadro sconcertante in realtà poco conosciuto

Un paradigma del tutto attuale, quello di addivenire a “scambi” con alcuni settori industriali al fine di favorire innovazione e crescita, invece che distribuire fondi pubblici “a pioggia” in maniera sconsiderata, tuttavia, un paradigma al quale per diverse cause in Italia è difficile rifarsi.

Infatti, la spesa per farmaci poi gettati via è solo un esempio del «buco» della Sanità: quante risorse pagate dal contribuente si sono sprecate in questi anni e quante se ne sprecheranno ancora nel prossimo futuro?

Molte, troppe. E non si tratta di fare del moralismo a buon mercato, bensì di inquadrare il problema uscendo fuori dai luoghi comuni che condizionano il giudizio della gente.

Come quello che nella Sanità pubblica si sia tagliato continuamente il bilancio, un falso storico, o meglio, una mezza verità che però confonde molto le idee.

Riallocare le risorse pubbliche sottraendole alle clientele

Assieme alla previdenza sociale, la voce «Salute» (quella che una volta si chiamava Sanità) è quella che assorbe la maggiore quota del Bilancio dello Stato, miliardi di euro che vengono gestiti dalle Regioni, che sovraintendono al funzionamento (e alla nomina dei vertici) delle Aziende sanitarie locali (Asl) e per le quali la voce «Salute» costituisce tre quarti del bilancio.

Una spesa, quella sanitaria, che in realtà nei suoi valori assoluti negli ultimi decenni non è mai diminuita, poiché i tagli, infatti, «sono stati fatti al suo interno» attraverso una diversa allocazione delle risorse finanziarie stanziate, cioè compiendo tagli (questi sì) agli ospedali, ai posti letto e al personale.

Tagli ai quali è corrisposto un’esponenziale incremento della spesa per acquisti e forniture, passata nel periodo considerato da trenta a ottanta miliardi di euro, cioè una lievitazione del 179%, questo, però, a un tasso di inflazione del 120%, dunque il conto non torna neppure sotto l’aspetto della perdita del potere di acquisto.

Le forniture ne hanno quindi beneficiato a danno delle strutture sul territorio e del personale, oltreché sulla capillare rete dei medici di base. E tutto questo senza parlare della corruzione e delle clientele, fenomeni frequentemente evidenziati dai ricorrenti scandali e dai procedimenti giudiziari.

Altri temi trattati nel corso della trasmissione

Nell’esame del quadro economico nazionale, hanno ricevuto spazio anche gli aspetti relativi al blocco dei licenziamenti e all’emergenza sociale, con il corollario di problematiche quali quella della riforma degli ammortizzatori sociali, delle politiche attive per il lavoro e della formazione professionale, che il Paese attende da tempo che vengano concepite e varate.

Questo a maggior ragione se si tiene conto della fase attualmente attraversata, caratterizzata da dinamiche che imprimono al sistema capitalistico globalizzato e a quello del lavoro profonde trasformazioni, anche a causa della pandemia.

«È stato accelerato il processo di trasformazione che modifica i processi produttivi e, quindi, dell’occupazione – ha infine concluso Baldassarri -, che impone che la “gamba forte” del tavolo siano le politiche attive del lavoro. Conseguentemente, prima di parlare di proroga del blocco dei licenziamenti, che magari richiederà un ulteriore periodo di accompagnamento, va sciolto il nodo di fondo, che è appunto la politica attiva del lavoro, che non va avanti da decenni».

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