VATICANO, Medio Oriente. Il viaggio del Papa in Iraq: Bergoglio incontrerà l’ayatollah al-Sistani

La tappa a Najaf del pontefice è significativa i fini del dialogo interreligioso. Ma chi è davvero questo alto e influente esponente del clero sciita che predica la separazione tra la religione e la politica? Ne riferisce compiutamente Andrea Gagliarducci in un suo articolo diffuso oggi dall’agenzia giornalistica cattolica ACI Stampa

C’è anche una tappa a Najaf, nel programma del viaggio di Papa Francesco in Iraq. Non menzionata nel programma iniziale del viaggio, Najaf è la roccaforte dell’Islam sciita. Ed è il luogo dove vive l’ayatollah Muhammad al-Sistani, diventato nel corso degli anni non solo una autorità religiosa, ma anche una autorità di riferimento cui chiedere di tutto. Da lui si va se si vuole comprendere come rispondere al terrorismo. Da lui si va se si deve legittimare il governo.

L’incontro di Papa Francesco con l’ayatollah al-Sistani è stato fortemente voluto dal cardinale Raffael Sako, Patriarca di Babilonia dei caldei, che spera anche il Papa firmi una dichiarazione della Fraternità umana anche con la massima autorità sciita, come lo aveva fatto con il Grande Imam di al Azhar ad Abu Dhabi, che invece è punto di riferimento per i musulmani sunniti.

Guerre intestine all’Islam

Così Sako auspica di quietare in qualche modo gli animi divisi dell’Islam, poiché l’Isis e il suo piano di espansione, ora fallito, sono in realtà il prodotto di una guerra tutta intestina, come ha più volte ha spiegato padre Khalil Samir Khalin, esperto delle dinamiche regionali mediorientali.

Per quale ragione al-Sistani risulta cruciale? Perché è interprete da tempo una interpretazione quietista dell’Islam, nella quale religione e politica non sono unite, ma divise. Egli è iraniano di origini, ma non ha mai appoggiato lo Stato teocratico di Teheran. Per riassumere, mentre l’ayatollah Ruollah Khomeini, che diede vita alla Repubblica Islamica dell’Iran, riteneva che «solo una buona società può creare buoni credenti», al-Sistani afferma che «solo i buoni cittadini possono creare una buona società».

Nato nel 1930, si è trasferito a Najaf negli anni Cinquanta del secolo scorso e lì, nel 1992, è succeduto all’ayatollah Mohammad Abu al-Qassim al-Khoeei alla guida della leadership del clero sciita locale.

La sua voce è diventata sempre più influente, fino a quando è comparso sulla scena internazionale, nel 2003, dopo la deposizione del dittatore Saddam. Allora si appellò ai cittadini chiedendo di non rimanere divisi in conflitti etnici e settari.

Najaf, la Santa

Nell’agosto del 2004 la regione di Najaf fu teatro di combattimenti che opposero le forze statunitensi alle milizie del Mahdi, guidate dal leader sciita Muqtada al-Sadr, lo stesso religioso oggi fautore della restituzione delle case illegalmente espropriate ai cristiani iracheni.  Quel tempo fu al-Sistani a mediare una tregua tra le parti in guerra.

L’ayatollah si espresse in termini moderati anche quando, tra il 2006 e il 2007, l’Iraq conobbe un periodo di violenze che portarono ad attacchi contro due santuari a Samarra; egli chiese alle parti di astenersi dalla violenza e di condannare gli atti di violenza che stavano dividendo il Paese.

Più recentemente si è distinto per aver chiesto mediante uno dei suoi rappresentanti pubblici, Ahmed al-Safi, l’abolizione delle pensioni e dei privilegi per gli alti ranghi dello Stato, poiché con le risorse risparmiate si potrebbe aiutare la popolazione povera. Per comprendere la portata di questo atto si deve considerare che la pensione di un membro del parlamento di Baghdad ammonta  6.500 dollari ed è a vita, percepita unitamente a una serie di privilegi che includono la protezione e l’alloggio.

La simpatia di molti

Si tratta di attività che hanno attirato all’anziano ayatollah la simpatia di molti. Tanto che i manifestanti che nel 2020 sono scesi in piazza in varie città dell’Iraq per chiedere un cambiamento nel sistema politico-istituzionale e, soprattutto, per condannare il crescente fenomeno della corruzione, hanno rivolto diversi appelli ad al-Sistani, considerato l’unico in grado di comprendere le loro richieste. Questo ha attirato ancora una volta sull’ayatollah l’attenzione internazionale, in quanto tutti erano consapevoli che quello che avrebbe detto sarebbe stato ascoltato.

Ci si trova, così, di fronte alla paradossale situazione che un personaggio che ha sempre predicato di non volere l’interferenza religiosa in temi politici è, da religioso, divenuto una sorta di deus ex machina iracheno, capace di risolvere le situazioni più complicate.

D’altronde – sempre secondo Gagliarducci -, la stessa liberazione da Islamic State è in parte dovuta al suo intervento, poiché nel 2017, quando la liberazione dal Daesh era quasi totale, egli rivolse un appello a tutti i cittadini iracheni l fine di superare le divisioni, prendere le armi e difendere il Paese. Si formò così lo Hashd – al Sha’bi, l’Unità di mobilitazione popolare, un piccolo esercito di migliaia di volontari che fu decisivo nella vittoria nella piana di Ninive.

L’uscita dal cono d’influenza iraniano

Al-Sistani ha anche favorito l’uscita dell’Iraq dal cono di influenza iraniano. Sciita e iraniano, l’ayatollah non appoggiò, però, la riconferma a premier di Nuri al-Maliki nel 2014, sebbene questi fosse considerato un partner strategico dell’Iran, e così al Maliki fu sostituito come primo ministro da Haide al-‘Abadi.

Non era solo una posizione anti-iraniana, infatti al Sistani si oppose a qualunque ingerenza esterna sulle questioni irachene. Dopo la Seconda guerra del Golfo chiese nuove elezioni, in qualche modo “forzando” la transizione tra l’amministrazione dell’Ambasciatore Lewis Paul Bremer, che pure aveva ancora sul terreno un esercito di 100.000 uomini e il governo ad interim di Iyad Allawi.

Sono tutti episodi che fanno sì che al-Sistani sia ancora considerato un fattore di stabilità in Iraq, nonostante la sua età avanzate e le sue precarie condizioni di salute. Ed è per questo che il Cardinale Sako guarda a lui come un punto di riferimento del dialogo.

Implementazione del dialogo islamo-cristiano

Di lui il cardinale Sako ha apprezzato gli appelli e il non rispondere con la violenza alla strategia del terrore.

L’incontro del Papa con l’anziano ayatollah rappresenta dunque una chiusura del cerchio nell’ambito del dialogo islamo-cristiano. Prima sono stati riaperti i rapporti con al Azhar, la più importante istituzione accademica sunnita, cosa che ha portato al viaggio del pontefice in Egitto nel 2017, a cinque incontri tra Francesco e il Grande Imam di al Azhar Muhammed al Tayyb e, quindi, alla firma del documento sulla Fraternità umana ad Abu Dhabi nel Febbraio 2019.

Ora – conclude Gagliarducci nel suo articolo -, per Bergoglio è tempo di implementare il dialogo con l’Islam sciita e, il cardinale Sako, vede nell’incontro con al-Sistani un’eccellente opportunità per farlo. Ma non solo, poiché l’incontro ribadirà anche agli iracheni che il capo della Chiesa cattolica romana approva l’ala quietista del mondo musulmano.

Ci sarà tutto questo nell’incontro del 6 marzo tra Papa Francesco e l’ayatollah al-Sistani e i due, probabilmente, faranno anche una dichiarazione contro la violenza in tutte le religioni.

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