TUNISIA, proteste. Dopo la quarta notte di disordini in piazza la situazione si fa oltremodo critica

Il governo cerca di arginare le violenze e mobilità le unità dell’esercito per inviarle in sostegno della polizia. Nell’ultima ondata di arresti oltre 600 le persone coinvolte, ma in assenza di concrete prospettive l’unica alternativa è l’emigrazione con i barconi

I tumulti hanno avuto inizio il 14 gennaio scorso, data dell’anniversario del suicidio di protesta del venditore ambulante Mohamed Bouazizi, atto che diede inizio alla rivolta divampata dieci anni fa, la cosiddetta «Rivoluzione dei gelsomini» contro l’allora presidente Zine el-Abidine Ben Ali, che assieme al suo gruppo di potere controllava il Paese nordafricano.

Gli incidenti si sono ripetuti secondo il medesimo copione delle notti precedenti, con danneggiamenti saccheggi e assalti alle forze dell’ordine. A essere interessate dagli scontri sono state alcune zone della capitale, in particolare alcuni suoi sobborghi popolari, oltreché numerose città del Paese.

Va rilevato che questa volta è stata registrata una diminuzione dell’intensità del confronto violento tra i gruppi di giovani scesi in strada e la polizia.

In un suo comunicato, il ministro dell’interno ha inteso ridimensionare la portata degli eventi, escludendo che alla base dei disordini risiedano motivazioni di natura politica, aggiungendo che il fine principale delle azioni violente sarebbe quello del saccheggio delle proprietà e dei beni altrui.

«Non si tratta di manifestazioni – ha egli aggiunto un portavoce del Ministero -, bensì di atti vandalici», sottolineando inoltre che molti dei minorenni coinvolti in queste azioni siano stati fermati dagli agenti.

Dal canto suo, il Presidente della Repubblica Kaïs Saied, che nella giornata di ieri ha fatto visita alla località di Mnihla, nel governatorato dell’Ariana,  ha ribadito «il diritto del popolo tunisino al lavoro, alla libertà e alla dignità nazionale», invitando inoltre la gente a «non violare l’integrità fisica e la proprietà delle persone».

Egli però, paventando apertamente una strumentalizzazione della protesta facendo leva sui bisogni primari del popolo, ha aggiunto anche che «coro che manipolano i giovani e si muovono nell’oscurità sfruttando la miseria della gente, mirano a diffondere il caos nel Paese», concludendo che: «La gestione degli affari pubblici non dipende dalla realizzazione di alleanze e manovre politiche, ma si basa piuttosto su valori morali e principi costanti».

Le violenze proseguono

La notte precedente a questa, la terza della rivolta in numerose città della Tunisia, la polizia aveva tratto in arresto 632 manifestanti, una cifra resa nota dal Ministero dell’interno, quasi tutti giovani di età compresa tra i quindici e i venticinque anni catturati dopo che avevano dato alle fiamme pneumatici o cassonetti della spazzatura allo scopo di impedire o, quantomeno rendere difficoltosi, i movimenti delle unità delle forze di sicurezza.

I disordini erano divampati il giorno seguente al decimo anniversario della caduta di Ben Ali e del suo regime di polizia, un anniversario però soffocato da un blocco generalizzato delle attività disposto sulla base della motivazione ufficiale relativa al contenimento della diffusione dei contagi del coronavirus, che ha così permesso alle autorità l’imposizione del coprifuoco a partire dalle quattro del pomeriggio.

Ma è stato un provvedimento vano sul piano dei suoi effetti, poiché esso non ha impedito le violenze di piazza, le cui esatte motivazioni non sono note con chiarezza e che hanno luogo in un contesto economico e sociale degradato che è fonte di forte instabilità politica.

Non è infatti un caso che i tumulti siano divampati in aree emarginate e duramente colpite da una crisi economica senza precedenti anche per la Tunisia, dove la pandemia di Covid-19 ha minato la debole ripresa lasciando la locale classe politica  divisa, e paralizzata nell’agire.

Però, non va dimenticato che la brace covava sotto la cenere ormai da tempo, visto che il verificarsi di manifestazioni di protesta, in differente misura e modalità, era state registrate già da alcuni mesi.

Arginare la protesta in un paese senza speranza

Di fronte al precipitare degli eventi, lo Stato sta cercando di arginare la protesta ricorrendo a soluzioni «muscolari». La polizia è stata schierata in decine di località nel Paese, tra le quali il vasto quartiere popolare di Ettadhamen alla periferia della capitale, teatro di scontri e saccheggi che hanno visto protagonisti consistenti gruppi di giovani.

Tuttavia, le violenze si sono replicate anche altrove, in diversi quartieri di Tunisi e in altre città del Paese e il possente dispositivo della polizia non è bastato a garantire l’ordine pubblico, allora il governo si è visto costretto a ricorrere all’esercito nel tentativo di arginare la protesta, dispiegando le sue unità in rinforzo agli agenti nella regione settentrionale di Biserta, in quella orientale di Sousse e in quella centro-occidentale di Kasserine et Siliana, al fine di proteggere gli edifici pubblici oggetto dei sistematici attacchi a opera dei dimostranti.

Oggi hanno certamente buon gioco coloro i quali sobillano la popolazione contro il potere costituito nell’unica repubblica che, malgrado tutto, riesce ancora a esprimere una forma di democrazia nella tormentata regione.

Al riguardo anche i sondaggi di opinione effettuati tra la gente parlano chiaro: il 58% dei tunisini ritiene si stesse meglio prima della Rivoluzione che dette il via alle “Primavere arabe”, mentre il 28% prova frustrazione; l’84% afferma addirittura di odiare tutti i politici, mentre soltanto il 2% onora ancora la memoria di Bouazizi e del suo sacrificio.

Il Paese risente fortemente del blocco delle attività imposto a causa della pandemia di coronavirus, un macigno che si è abbattuto su un’economia già debole e gravemente colpita dal terrorismo jihadista.

Piove sul bagnato

Il governo di Tunisi ha parlato apertamente di manifestazioni «contemporanee e organizzate» nelle aree popolari della capitale, che hanno preso avvio non appena è scattato il coprifuoco sanitario, con il coronavirus che ha provocato quasi seimila morti, mentre i casi di contagio ammontano a 175.000.

In Tunisia piove sul bagnato, su una situazione pregressa molto degradata, con la disoccupazione giovanile al 35% e un tunisino su cinque che vive con un reddito al di sotto della soglia di povertà.

Quelle che un tempo non lontano erano le entrate derivanti dalle attività nel settore turistico sono crollate, così come le esportazioni e gli afflussi di investimenti esteri, questo mentre lo Stato rischia di finire in bancarotta.

Ed ecco quindi, soprattutto i più giovani, imbarcarsi sui barconi della speranza che salpano dalle coste di Sfax, Zarzis e Mahdia, alla ricerca di un futuro in Europa: 5.200 persone nel 2018, 2.654 nel 2019, oltre 13.000 nel 2020. Un picco di migranti che ha portato i tunisini a divenire il gruppo nazionale più consistente tra quelli di richiedenti asilo politico all’Italia.

In assenza di sostanziali riforme, con lo spettro sempre incombente del terrorismo e gli scarsi aiuti dell’Occidente, la quasi totale carenza di prospettive ha favorito la discesa in piazza della gente.

Ora il primo ministro Hichem Mechichi ha promesso un rimpasto di governo che dovrebbe comportare la soluzione di dodici ministri, inclusi quelli dell’interno, dalla sanità e della giustizia, ma sarà difficile per la classe politica riconquistare sufficienti margini di fiducia nella popolazione.

Quest’ultima, sobillata o meno da oscuri registi della protesta, nella sua massima parte rifiuta persino gli islamisti di Ennahda, che hanno espresso l’attuale presidente del Parlamento Rashid Gannouchi.

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