STRATEGIA, nucleare. L’arsenale della Repubblica Popolare cinese e la ricerca di ulteriori capacità

Dal «Nuclear Notebook» Bulletin of the Atomic Scientists degli Usa, pubblicato di recente, emerge che Pechino sta modernizzando il proprio strumento strategico in vista di una sempre più credibile deterrenza nei confronti degli americani

La Repubblica Popolare cinese sta continuando a perseguire il proprio programma di modernizzazione dell’arsenale nucleare dell’Armata Popolare di Liberazione (le forze armate), un processo avviato negli anni Ottanta che è stato poi implementato nei decenni seguenti.

Questo emerge dal «Nuclear Notebook» che periodicamente, con cadenza annuale viene pubblicato nel Bulletin of the Atomic Scientists degli Stati Uniti d’America. Nel rapporto diffuso il 7 dicembre scorso, che è frutto dell’accurata analisi di Hans M. Kristensen (direttore del Nuclear Information Project presso la Federazione degli scienziati americani, FAS) e di Matt Korda (ricercatore associato al progetto), emerge che Pechino sarebbe impegnata in una corsa al nucleare militare attraverso l’introduzione in linea di diversi tipi di sistemi d’arma di tale categoria in numero sempre maggiore.

La nuova panoplia nucleare di Pechino

Rispetto ai recenti rilevamenti dell’intelligence occidentale risalenti al 2019, risulta che i cinesi  abbiano proseguito  nel processo di immissione in servizio del DF-26, un missile balistico a raggio intermedio (IRBM) installato su lanciatori mobili (TEL), inoltre stanno ritirando dal servizio i vecchi missili balistici intercontinentali (ICBM) DF-31A, che verranno sostituiti dal più moderno e performante DF-31AG.

La Cina è anche in procinto di schierare il nuovo DF-41, un ICBM lanciabile da piattaforme mobili che si ritiene sia in grado di recare sull’obiettivo un numero multiplo di testate indipendenti (MIRV), al pari del più vecchio datato DF-5B.

Per quanto concerne la componente missilistica balistica imbarcata, i due analisti americani rilevano che la Cina ha completato la realizzazione e il dispiegamento di altri due sottomarini (SLBM) e ne sta contestualmente sviluppando un nuovo tipo, si tratta dei JL-2.

Inoltre, i vertici strategici e militari dello Stato comunista hanno recentemente riconfigurato la missione assegnata ai loro bombardieri, questo a seguito dello sviluppo di un nuovo missile aria-superficie armabile con testate nucleari.

Le bombe disponibili per un attacco

Kristensen e Korda stimano che Pechino abbia provveduto ad accumulare una scorta di oltre 350 testate nucleari, delle quali 272 destinate all’armamento di almeno 240 missili balistici superficie-superficie attualmente operativi, 48 imbarcati a bodo di unità della marina militare e 20 bombe nucleari a caduta, recapitabili sui bersagli dai bombardieri.

Le restanti 78 testate sono destinate ad armare ulteriori vettori in fase di schieramento in linea, sia con le unità missilistiche terrestri che con quelle della marina.

Si tratta dunque di una stima che risulta superiore a quella elaborata dal Pentagono nel suo Rapporto 2020 presentato al Congresso degli Stati Uniti.

Tuttavia, precisano gli analisti del FAS, la stima del Pentagono si riferisce solo alle testate nucleari cinesi attualmente operative, quindi è concesso presumere che debbano venire escluse dal computo quelle destinate alle nuove armi ancora in fase di sviluppo. Conseguentemente, concludono Kristensen e Korda, la stima del Pentagono dovrebbe coincidere approssimativamente con quella del loro Nuclear Notebook.

Le relative capacità cinesi nel settore

Molte proiezioni precedenti relative alle armi nucleari cinesi elaborate dalla comunità di intelligence americana non hanno però corrisposto alla realtà.

Infatti – sottolineano i due analisti autori di questo rapporto -, nel corso degli anni Ottanta e Novanta le agenzie governative statunitensi hanno stimato un numero inesatto (in eccesso) della capacità di pechino di realizzare e impiegare testate nucleari.

In uno studio della Defense Intelligence Agency del 1984 si stimava che la Cina potesse impiegare dalle 150 alle 360 testate nucleari, un numero incrementabile a oltre 800 entro il 1994, tuttavia quella previsione si rivelò successivamente esagerata.

In un altro studio della medesima agenzia federale, questa volta del 1999, si previde che le armi nucleari disponibili da Pechino entro il 2020 sarebbero state almeno 460, ma anche quella previsione fu errata.

Obiettivo: penetrare le difese anti-missile americane

Nel 2019 l’agenzia di intelligence della Difesa statunitense offrì un’ennesima valutazione delle capacità nucleari cinesi, stimando il numero di testate in meno di 200, con la proiezione relativa al prossimo decennio di almeno un raddoppiamento delle dimensioni dell’arsenale nucleare.

Si tratta di una stima basata sul previsto dispiegamento di ulteriori sistemi, tra i quali 24 DF-41, più altri 24 missili balistici lanciabili dai sottomarini JL-2. Però, in questo caso rileverebbe la novità rispetto al passato della incrementata capacità di impiego di MIRV, fattore di potenziale e significativo incremento del potere offensivo di Pechino.

Alla base dello sviluppo del programma MIRV cinese risiederebbe la necessità di garantirsi una capacità di penetrazione delle difese anti-missile statunitensi, piuttosto che perseguire una massimizzazione del potenziale distruttivo delle cariche delle testate di guerra.

Infatti, a fronte di un rafforzamento del dispositivo di difesa americano, la Cina parrebbe indirizzata a modificare ulteriormente il suo arsenale nucleare al fine di attribuire una maggiore credibilità alla sua forza d’attacco, anche in prospettiva di un «secondo colpo» di rappresaglia, un deterrente che possa scoraggiare un (primo) attacco contro il suo territorio.

A questi sforzi nel campo dei vettori missilistici si affianca quello nel settore aeronautico, in particolare nel settore dello sviluppo di velivoli ipersonici, dove però Pechino al momento risulterebbe ancora indietro sul piano tecnologico e industriale rispetto agli Stati Uniti d’America.

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