SPORT, calcio. La morte di Maradona e il ricordo del campione che ne ha fatto il giornalista e scrittore Marco Ciriello in «Maradona è amico mio»

Un anno che si apre con la morte di Kobe Bryant e si chiude con quella di Diego Armando Maradona è un anno nero per lo sport, e per una volta non servirebbe neanche citare la pandemia

Un anno che si apre con la morte di Kobe Bryant e si chiude con quella di Diego Armando Maradona è un anno nero per lo sport, e per una volta non servirebbe neanche citare la pandemia.

Lo staff della casa editrice a 66thand2nd lo ricorda con profondo dolore attraverso il libro che Marco Ciriello gli ha dedicato, “Maradona è amico mio”, poiché, proprio nel momento in cui ci ha lasciati, si rendono conto di quanto Maradona fosse un amico tutti loro.

Marco Ciriello, “Maradona è amico mio”: dalla prefazione di Emanuela Audisio. «Non c’è sfogo, non c’è retorica, e nemmeno un’illusione. C’è che Diego Armando è tutti e non tutti sono lui, anche se ci piacereb­be, c’è che Maradona è una confluenza come l’incontro del Tigri e dell’Eufrate, c’è che è stato capace di attraversare molto, onestà e disonestà, mostrando che entrambe hanno una ragione, e di illu­minare povertà, ricchezze, vanità, quante volte figlio mio, molte padre, ogni volta che ho potuto.

C’è che la vita va storta, come i dribbling, e a certe finte finisci per crederci anche tu, poi ti tuffi e scopri che il mare del tempo è una superficie dura, che fa male, che gli specchi sono tremendi, nella loro mancanza di fantasia.

Carnera, Jesse Owens, Coppi, Bartali, Pelé, Clay-Ali, Best, Cruijff, Maradona; perché i campioni dello sport sono l’edera intrecciata alla nostra vita e noi continuiamo a scrivere le nostre iniziali sul quel tronco?

Cosa hanno di così universale e di così amichevole che sembrano gente di famiglia, anche quando non lo sono, e non lo potrebbero essere? Il fatto di sedurci con la loro terribi­le diversità ci fa perdere quella giusta distanza, che a volte è solo paura, perché ogni abisso ha le sue vertigini, perché è vero, in uno slalom intravedi una fuga genealogica, la voglia di scansare le in­sidie, in fondo sono solo birilli e non DNA in attesa di fissa dimora».

Il libro. Per quello che fece in campo la sentenza è già stata emessa dal tribunale degli dèi, il solo competente: fu il più grande di tutti, capace di entrare perfino nel cuore di chi voleva e doveva odiarlo.

Ben più severo il verdetto dei mortali, mai propensi a valutare con il giusto distacco le contraddizioni di un uomo che, prima di ogni altra cosa, è stato uno straordinario moltiplicatore di sogni ed esistenze, tanto che chi ha voluto raccontarne i fantasmi presto o tardi ha dovuto fare i conti con i propri.

È successo anche a Marco Ciriello, che qui ripercorre la vita di Diego Armando Maradona con l’intento di restituirne l’immaginario pop e consegnarci un ritratto del Pibe de oro per quello che, in fondo, è sempre stato: un eversore più o meno consapevole, «un Lenin allegro e soprattutto cazzaro che, scremando tutta la parte noiosa, arriva al sodo in un solo tocco o in una frase».

Utilizzando il proprio eroe come uno specchio borgesiano, in un gioco di rimandi narrativi che, seguendo la lezione di Cortázar e Tarantino, scardina ogni coordinata spaziotemporale, Ciriello rivive anche la propria storia di adolescente in attesa di varcare la linea d’ombra, in una Napoli sospesa tra il sacco degli anni Ottanta e la primavera dei Novanta, che accolse Maradona come un figlio insperato, lo venerò come un amante capriccioso e lo protesse come un padre ormai sfiorito. Ottenendo in cambio una felicità ancora sconosciuta e mai più provata.

Marco Ciriello (1975) è scrittore e giornalista. È autore di varie opere. Scrive per teatro e tv e collabora con «Il Messaggero» e «Il Mattino».

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