USA, Casa Bianca. Le presidenziali in America: parla Nina Luzzatto Gardner

L’avvocato Nina Luzzatto Gardner, docente universitaria e attivista del partito democratico statunitense figlia dell’Ambasciatore di Jimmy Carter a Roma Richard Gardner, è, allo stesso tempo felice per la vittoria di Joe Biden ed estremamente severa con il presidente uscente Trump, «fino all’ultimo ella afferma -un demolitore delle istituzioni, che con i ricorsi per annullare i voti fa un assist a sé stesso, ma forse non ai suoi». La lunga intervista concessa al quotidiano socialista

di Roberto Pagano, giornalista, pubblicato su “Avanti!” Online il 13 novembre 2020 – Raggiunta a Washington dall’Avanti! on line, l’avvocato Nina Luzzatto Gardner, docente universitaria e attivista del partito democratico statunitense,  è felice per la vittoria di Joe Biden, con tanti giovani e non solo, recatisi in massa alle urne o votando via posta, ma insoddisfatta per la mancata, e molto attesa, “onda blu” dell’Asinello, che invita – insieme ai sondaggisti «che dovrebbero tornare a scuola» – a un profondo ripensamento del proprio radicamento sociale ed elettorale.

Nell’intervista, Luzzatto Gardner è estremamente severa con il presidente uscente Trump, fino all’ultimo «un demolitore delle istituzioni, che con i ricorsi per annullare i voti fa un assist a sé stesso, ma forse non ai suoi».

Nina Gardner è fondatrice e direttore di Strategy International, società di consulenza per la sostenibilità aziendale e la responsabilità sociale d’impresa. È avvocato e docente associato alla John Hopkins University SAIS a Washington DC e da sempre impegnata in numerose attività in campo accademico, politico e sociale. Componente del Council on Foreign Relations, ha partecipato alla missione di peacekeeping delle Nazioni Unite a Zagabria dopo la guerra nei Balcani nel 1996.

Grande attivista democratica, è stata fondatrice di ‘Americans in Italy for Obama’ nel 2007. La professoressa Gardner, tra l’altro, è figlia di Richard, il famoso Ambasciatore statunitense in Italia durante la presidenza di Jimmy Carter.

AVANTI! – Professoressa Nina Luzzatto Gardner, abbiamo ascoltato le dichiarazioni di Joe Biden, che da subito, delineandosi la vittoria, sono apparse molto presidenziali e tranquillizzanti…

NINA LUZZATTO GARDNER – Con la Harris, il presidente eletto è già al lavoro per la transizione, mentre dalla Casa Bianca non si intende assolutamente accettare il risultato. Anzi, prosegue ovunque la presentazione dei ricorsi da parte degli avvocati di Donald Trump e una rivendicata non collaborazione istituzionale.

Biden ha mostrato un tono presidenziale già dal primo momento  e, finalmente, ci dà la prospettiva di avere un presidente “normale”.

Sono andata già venerdì sera, il 6, davanti alla Casa Bianca. Davanti, sottolineo, per modo di dire, perché hanno chiuso tutto attorno al parco di Lafayette Square per paura delle proteste, e poi vicino a quella chiesa dove Trump è andato per fare la photo opportunity. C’erano centinaia di persone che avevano dei poster incredibili e io ho ballato per quattro ore insieme con loro. Ho sentito un senso di euforia crescente, che non sentivo dalle elezioni di Obama nel 2008, e che poi è esplosa sabato alle 11.30 quando la AP, l’Associated Press, ha annunciato che Biden aveva raggiunto la soglia dei 270 voti del collegio elettorale.

L’attesa non è stata semplice, con le notizie degli Stati “swing” non confermate per la incertezza dello spoglio.

Noi, attivisti e cittadini, siamo stati per ore lì in strada e sempre tutti attaccati all’ascolto dei media, alle radio e a seguire le grandi stazioni tv. Notavamo che queste, probabilmente per essere state criticate in passato, per prudenza e per diverso tempo, non avevano ancora annunciato che la Pennsylvania vedeva, con lo spoglio dei voti postali, una crescita di Biden e si è aspettato il conteggio effettivo di ogni voto per annunciarlo.

Come ci aspettavamo, quei voti inviati via posta erano di gran lunga voti democratici, ma non solo: erano e sono voti di tutti i cittadini che avevano paura di andare di persona ai seggi durante la pandemia e non volevano rischiare. Questi erano voti, in particolare, provenienti da Philadelphia, suffragi di un ceto urbano generalmente molto democratico e con una notevole quota di voto afroamericano.

Adesso ci saranno alcuni recount dei voti, dei ricalcoli da effettuare. E’ infatti da sottolineare che, anche se in ogni Stato è diversa la legislazione elettorale, la regola comunque è che quando lo scarto tra il vincitore ed il secondo arrivato è di 0,5%, per quel mezzo punto percentuale il perdente ha il diritto di chiedere un ricalcolo. Una cosa normale ed è nel suo diritto, ma tanto il risultato non cambia e non cambierà.

La bella notizia è che la Georgia è stata assegnata ai Democratici, e questo non accadeva dal 1992; e così anche l’Arizona.

Sono anche altri voti da conteggiare con esattezza?

Sì, spesso non si pensa che molti dei voti per posta sono spediti dai militari. E’ impensabile rifiutarsi di conteggiare i voti espressi dai nostri soldati all’estero. O i voti dei civili espatriati.

Questi voti non arrivano in blocco per essere contati, ma tornano in ogni contea di residenza. E’ incredibile che in alcuni Stati questi voti non vengano calcolati, anche se sono stati “postmarked” il giorno delle elezioni. In alcuni Stati questi voti potrebbero fare la differenza.

Ma esigendo l’annullamento o il non conteggiare quelle schede, non saranno irritati anche gli elettori repubblicani che, seppur in quota minoritaria, hanno votato per posta? O sono totalmente schiacciati da queste posizioni propagandistiche, per cui è importante soltanto che vinca il “loro” presidente?

In effetti, sì. E infatti in Texas hanno provato ad annullare 127.000 voti di coloro che erano affetti da Covid-19 e a cui è stato permesso di votare in questo modo, e non si poteva sapere se erano voti repubblicani o democratici. Ma i Repubblicani, anche se alcuni loro elettori erano del tutto meravigliati, hanno ugualmente mandato i loro avvocati per chiedere alla Corte di questo Stato di annullare il voto in blocco, un qualcosa di impossibile.

Tra l’altro, però questa iniziativa ha gettato nello sconcerto molti candidati repubblicani soprattutto alla Camera, ma anche al Senato, perché ha messo in luce che a Trump non interessavano i voti per i candidati del suo partito al Congresso o alle assemblee locali, ma egli pensava solo e unicamente ai suoi voti.

Si può immaginare la reazione dei potenziali deputati o senatori del suo stesso partito che si sono vista messa in pericolo o, addirittura, annullata l’elezione.

Un paradosso…

Sì, Trump non pensa ad altri che a sé stesso. E qui si tratta di un vero assist a sé stesso, andando persino contro i suoi stessi possibili parlamentari o che devono essere rieletti. Incredibile.

Però, l’onda blu non c’è stata…

Sì, è così. Nonostante il buon risultato, direi che vedere i dati reali è stato abbastanza devastante per i Democratici. E’ infatti certo che la grande “onda blu” preventivata, purtroppo, non c’è stata.

In più, aggiungerei ironizzando ma nemmeno tanto, che chi ha fatto il polling, i sondaggisti dovrebbero ritornare a scuola.

I sondaggi dovrebbero essere più accurati.

Rilevo, peraltro, qualcosa di interessante: ricordo che il voto postale è estremamente complesso, veramente complicato, e se non ci fosse stato il Covid-19 e le persone avessero potuto votare ai seggi abituali, nel Sud degli Stati Uniti – in Arizona, Nevada, Georgia, Texas- sicuramente un trend blu, il voto in direzione dei Democratici, che vi è stato, comunque sarebbe stato maggiore. Aggiungerei che questa è la prima elezione che il partito ha dovuto fare virtualmente – sia per telefono, SMS, o cartolina – escludendo il modo più efficace di far campagna che è sempre stato il ‘porta a porta’.

Adesso si attendono i ballottaggi di gennaio per sapere se anche il Senato andrà all’Asinello…

Fondamentale. Oltre la Camera dei rappresentanti, adesso aspettiamo, infatti, anche il Senato, dove abbiamo delle chances di conquistare la maggioranza.

Alle elezioni del 5 gennaio per il ballottaggio di due seggi senatoriali si saprà se Biden potrà governare con le sue forze e le sue, e nostre, policy, oppure se sarà bloccato ogni momento dai Repubblicani.

Quindi, avere un’affermazione qui risulta importante perché, all’inaugurazione della Presidenza Biden, innanzitutto vogliamo ritornare subito nell’accordo di Parigi sul clima, da cui siamo usciti con Trump proprio il 4 novembre, e vorremmo anche introdurre stimoli per l’economia.

Se non si conquista subito il Senato, procedere in questa direzione sarà complicato.

Che Amministrazione pensa che configurerà il presidente Biden? Sarà una composizione equilibrata tra le istanze progressiste e di sinistra, sociali e del lavoro, di Sanders e Warren, le posizioni liberal e quelle centriste e moderate?

Sono quattro i fulcri del programma democratico: controllare e contrastare la pandemia, risanare l’economia, lavorare sui target del cambiamento climatico, e focalizzarsi sui temi di “social justice”, vale a dire lavorare sulle diseguaglianze sociali, che sono, purtroppo, strutturali nel nostro Paese.

Quindi la composizione del vertice politico disegnata da Biden dipenderà molto da quel che accadrà il 5 gennaio con i due seggi mancanti del Senato.

Penso che Biden redigerà due liste di ministri per il Cabinet e le agenzie. Egualmente per gli ambasciatori da nominare.

Ma se i Democratici non avranno la maggioranza al Senato, allora i Repubblicani potrebbero bloccare quasi tutto…

Per questo motivo, un’altra ipotesi ministeriale potrebbe essere più moderata, con un’Amministrazione aperta anche ad elementi meno problematici e moderati, in modo da avere un appoggio al Senato. Se, invece, ci sarà la maggioranza anche nella Camera alta, la situazione cambia parecchio, anche perché l’ala progressista del partito spingerà per avere un ruolo importante.

Devo ammettere che il partito è rimasto sorprendentemente compatto durante questi ultimi mesi, ma la prospettiva di altri 4 anni di Trump ha funzionato come una minaccia esistenziale.

Non penso che Biden inserirà dei “super progressives”, innanzitutto perché Biden non lo è, e non lo è la Harris. Purtroppo, non lo vedo nominare Elizabeth Warren al Tesoro. Credo molto probabile che a capo di questo ministero andrà la signora  Lael Brainard,  economista e componente del Board della Federal Reserve.

Sarà davvero una presidenza di svolta, che pacificherà e ricucirà il Paese, nonostante i problemi e i tanti cittadini avversi o scontenti?

Biden è un centrista moderato, sa tranquillizzare e sa che il Paese è letteralmente spaccato in due.

Lui sa di dover esser quasi il “guaritore in capo”, un compito enorme. I primi due anni saranno duri e dovrà lavorare con dedizione per risanare e convincere, come, ad esempio, parlare con gli operai delle miniere di carbone, ignorati totalmente dai candidati democratici nel passato. Ai minatori dovrà spiegare che quel comparto è in declino completo e che la via da seguire consiste nel creare nuove opportunità di lavoro, trovare per loro una nuova prospettiva, senza abbandonarli al loro destino.

E così il presidente Biden (che ha lui stesso radici in Pennsylvania, nel vecchio bacino industriale americano), dovrà rivolgersi a loro e sostenere le tante persone che, invece di prosperare, con la globalizzazione e la nuova crisi stanno soffrendo moltissimo. Ecco, lui sarà sicuramente molto attento a questa parte della società americana ed è la persona perfetta per farlo.

E come Segretario di Stato chi si ipotizza?

Qui si fa interessante, perché io ho sentito circolare dei nomi come Richard ‘Nick’ Burns, che è un grande diplomatico, da sempre molto apprezzato e molto preparato.

O anche il mio caro amico, Antony Blinken, che è con Biden da sempre ed è stato ultimamente Vice Direttore del National Security Council sotto Obama.

La seconda ipotesi, se non avessimo la maggioranza, è il senatore Chris Coons, del Delaware. E’ più moderato, è anch’egli un collega molto vicino a Biden e che passerebbe facilmente al vaglio parlamentare. Invece, non prevedo una nomina di Susan Rice.

Si tornerà, in ogni caso, a ristabilire un rapporto nuovo e relazioni proficue con l’Europa e con la Nato. Così anche con le organizzazioni internazionali come l’OMS, il WTO e su diversi dossier, rinnovando l’attenzione sul tema dei diritti umani.

Questa è stata veramente una presidenza anomala. Il leader della prima potenza mondiale che “salta” completamente i media, insulta i giornalisti sgraditi, toglie loro l’accredito durante una conferenza stampa alla Casa Bianca, i rapporti burrascosi con gli alleati, all’interno della stessa Amministrazione, per non parlare dell’opposizione, politica e non. Si intende scardinare fino all’ultimo giorno di permanenza l’equilibrio dei poteri?

Per la maggioranza degli americani questo è, in effetti, scioccante. Trump è riuscito a demolire tutte le istituzioni americane, dalla Corte suprema, all’FBI, a tutti i ministeri che dovrebbero esser stati lasciati svolgere il loro lavoro, per esempio sull’ambiente, per non parlare del nostro sistema elettorale. Quindi Trump ha realizzato quel che voleva.

Questo è un problema molto serio, perché la gente ha perso fiducia nel governo stesso, ed è preoccupante perché poi i cittadini non sanno più a cosa serve votare.

È stata una fase veramente pericolosa. Speriamo, e credo che ci sarà, in una vera svolta dopo di lui.

Ma Trump non lascerà facilmente, perché ha tutto da perdere: ci sono moltissimi procedimenti giudiziari in sospeso nello Stato di New York, e rischia il carcere.

Per i suoi problemi fiscali, ma non solo..

Sì, ci sono molte altre cause a suo carico, tra l’altro, anche per stupro. E poi la Deutsche Bank, che sta aspettando di chiedergli indietro un prestito di 400 milioni di dollari, che dovrebbe ripagare. Non sarà facile, anche se lui pensa, e sta lasciando trapelare qui e là, sui media di destra e conservatori, che se lui lascia o dovesse perdere anche i ricorsi, Trump si ripresenterà, ricandidandosi nel 2024.

Devo dire che la delusione più grande in questi ultimi 4 anni è venuta dai leader del Partito Repubblicano, che non hanno voluto opporsi a questo dittatore in erba. Ma penso che uno di questi giorni ne capiremo meglio le ragioni.

Il presidente ha provocato la polarizzazione estrema delle posizioni, quasi fino al parossismo: leaders esteri e alleati irrisi, polemiche dirette contro i capi dell’opposizione democratica e i non allineati nel suo partito, fino a idee discutibili su come bloccare le proteste a seguito di comportamenti violenti di alcuni agenti di polizia, sempre giustificati. Si è avuta una agitazione continua di gruppi ultras e antifascisti, i cosiddetti ‘Antifa’, fino agli estremisti della parte opposta, nazionalisti e di destra ultraconservatrice.

Inoltre, qualcosa di innaturale è entrato nel dibattito pubblico: i Dem e il duo Biden-Harris paragonati a pericolosi socialisti e comunisti, comunque intenzionati a modificare il sistema e l’economia Usa in senso statalista.

Dobbiamo riconoscere che i social media e certi mass media, ed anche Fox News, bisogna dire, sono stati molto pericolosi.

Hanno travisato i veri temi, le issues e, invece, di entrare nel merito, hanno deciso di dipingere Biden e Harris come degli ultras, come lei sottolinea, come dei radicali comunisti che intendono somministrare agli Stati Uniti delle medicine “socialiste”.

Qui sorrido, perché forse sarebbe stato utile e necessario, sul fronte della pandemia Covid-19, un sistema sanitario di base, per tutti, pubblico, che è qualcosa di normale per l’Europa.

Ma qui la gente è stata così eccitata e le posizioni talmente polarizzate che i messaggi diffusi, tra Twitter, Facebook e la Fox, hanno dipinto i candidati democratici in questo modo assurdo.

Ed è incredibile perché Joe Biden e Kamala Harris sono veramente moderati, sono le persone più moderate del partito, non sono Sanders o la Warren.

Ma si sapeva che, qualunque fosse il ticket presidenziale, i candidati sarebbero stati presentati e inquadrati così dai trumpiani?

Purtroppo, però, questa rappresentazione è stata decisiva per alcuni gruppi Latinos in Florida, che, ovviamente, essendo scappati da Cuba e dal Venezuela, sono stati sensibili a questa immagine così negativa.

L’onda blu non c’è stata. Qualcosa di già visto, con la candidatura e quel che si credeva una vittoria “sicura” di Hillary Clinton, sebbene il risultato del 2020 porti alla vittoria Biden e un risultato favorevole ai Dem. Ci sarà un ripensamento dentro il Partito democratico?

Sì, effettivamente, come dicevo, la grande ondata non c’è stata. E si dovrà riflettere molto.

Pensiamo alla candidatura del Senatore Sanders nel 2016. Mio figlio stesso lo sosteneva nonostante la sua età e il fatto che era un indipendente, mentre l’altro candidato poteva essere la prima donna alla Casa Bianca. “N͑͑͐͐on c’è problema”, sostenevano i dirigenti democratici affermando che “anche i giovani voteranno la Clinton e noi Dem”. Ma quei giovani, invece, non lo hanno fatto, e sono rimasti a casa invece di andare a votare. Quattro anni fa non si è tenuto conto delle opinioni dei ragazzi che, invece, questa volta sono andati in massa ai seggi. Un voto, penso, in gran parte come voto contro Trump, e come un voto a favore di Kamala. L’affluenza alle urne ha raggiunto massimi storici. Ad esempio, nella mia contea rurale, in Virginia, ha votato l’87% degli elettori, una cifra pazzesca. Purtroppo, devo ammettere, una maggioranza Repubblicana.

Nina Gardner, una domanda da «inner»: come si sono comportati i Democrats Abroad, la sezione dei Democratici all’estero?

L’attivismo dei Democrats Abroad è stato ammirevole. Innanzitutto, è da premettere che non dovrebbe essere reso così difficile il votare dall’estero e spero che un giorno si potrà votare per posta elettronica sicura come già si fa in alcuni Stati.

Comunque, gli espatriati hanno raccolto fondi, telefonato (usando Skype) agli elettori negli Stati-chiave, scritto e spedite migliaia di cartoline verso ogni angolo degli Stati Uniti, e particolarmente verso gli Stati in bilico, incoraggiandoli a votare.

Io, per esempio, sono tornata a casa in Virginia, dove voto, ed ho trovato la mia casella di posta con ben otto cartoline di propaganda, per il senatore, per la presidenza, per la contea e così via. Il punto è che vi è stato uno sforzo incredibile.

Non penso che gli italiani si rendano conto quanto sia difficile votare negli Stati Uniti, specie in alcuni Stati.

Prima di tutto, i cittadini si devono registrare, e questo non sempre è reso facile; non arriva automaticamente a casa l’avviso. Poi, per chi ha voluto votare di persona abbiamo visto file di dieci ore, perché si sono messe poche urne nelle circoscrizioni urbane dove si ipotizzavano più voti democratici.

Tutto ciò era fatto apposta, in certi Stati, per scoraggiare la gente, soprattutto chi lavora e che magari non si può permettere tante ore di attesa in fila.

Ricordiamoci che il giorno delle elezioni in America non è festivo. Grazie a Dio, alcuni Stati hanno deciso di aprire le urne alcuni giorni o anche delle settimane prima del 3 Novembre, proprio per evitare questo problema. Poi ogni Stato ha regole diverse per verificare l’identità della persona, dato che noi non abbiamo una carta d’identità federale, quindi chi per esempio non ha una patente avrà, forse, più difficoltà a votare. E per quanto concerne il voto per posta, le istruzioni sono così complesse che io stessa ho avuto problemi a seguirle.

E i Democrats Abroad in Italia?

Ho aiutato a realizzare a Roma da Laura Tonatto una boccetta di igienizzante con il gel, il dispositivo di protezione individuale, e su cui c’era una figura di Botticelli con scritto “Vote as if your life depends on it” (Vota come se la tua vita dipendesse da questo). Quindi, un simpatico messaggio elettorale senza precisare chi votare, ma molto chiaro: abbiamo la pandemia, ma con l’idea di proporre non solo qualcosa di salutare, ma anche qualcosa di profumato dall’Italia per significare un nuovo inizio. Un nuovo inizio sia per i cittadini che per la Casa Bianca.

Sto provando, anzi, a portarlo al dottor Anthony Fauci, che è diventato un vero idolo tra i Democratici.

Per concludere, Professoressa Gardner, gli ultimi sviluppi continuano ad essere clamorosi, il presidente Trump ha appena licenziato il segretario alla Difesa, Esper, e altri membri di vertice. Ultime mosse contro i non fedelissimi?

Davvero, oggi più che mai, appare come questo presidente si sta comportando in modo anomalo, poco democratico, dispotico.

Trump era stato contrariato da Esper, che aveva respinto pubblicamente l’ipotesi dell’impiego delle Forze armate federali nel controllo delle manifestazioni a lui contrarie, considerate da Trump potenzialmente violente. Evidentemente, Trump la pensava molto diversamente.

Trovo questo sviluppo molto preoccupante. Si parla anche di vendite di armamenti verso gli Emirati Arabi Uniti, molto più facile da fare con uno «yes man».

Inoltre, già sappiamo, da media a lui vicini, che Trump proverà a fare pressione sui Grandi elettori di ogni Stato, specialmente quelli già in bilico, che si riuniranno il 14 dicembre.

Egli li blandirà, dicendo che ci sono stati brogli diffusi e, che quindi, devono esprimersi per il presidente in carica.

Si dice addirittura che i soldi che sta ancora raccogliendo vadano verso un fondo per ricompensarli. Sembra assurdo, ma ormai non mi sorprende nulla. Lui e il suo staff stanno anche tenendo sotto stretta osservazione, in vista di una ricandidatura, chi nel partito gli sta davvero vicino e lo sostiene anche in questa lotta insensata, e chi no.

Se oggi Ted Cruz e Lindsey Graham lo appoggiano totalmente, dicendo di tutto e di più a suo favore, altri esponenti repubblicani sono, invece, attendisti e più moderati, cosa che lo fa infuriare.

Anzi, Trump figlio sta lanciando messaggi propriamente non obliqui, del tipo: «Dove siete adesso? Ce ne ricorderemo!».

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