MEDIO ORIENTE, Palestina. Con la morte di Saeb Erekat scompare un altro pezzo di un mondo che non c’è più

È stato sempre considerato lo storico negoziatore palestinese che fu tra gli artefici degli Accordi di Oslo, ma in realtà la sua figura andrebbe ridimensionata, poiché, seppure sia stato un intelligente diplomatico, dovette fare sempre riferimento a un livello decisionale superiore del quale non faceva parte

Salutandolo idealmente per l’ultima volta, il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen ha dichiarato pubblicamente che «se ne va un giusto figlio della Palestina». Uno dei “bracci destri” dapprima di Arafat e poi di Mahmoud Abbas, si è spento a sessantacinque anni nell’Hadassah Medical Center di Gerusalemme dopo aver contratto il coronavirus.

Il suo fisico era stato indebolito da un precedente infarto che lo aveva colpito nel 2012, quindi dalle conseguenze di un intervento chirurgico di trapianto dei polmoni al quale si era dovuto sottoporre nel 2017 presso una clinica negli Usa. Negli ultimi anni della sua vita si era ritirato nella città di Gerico.

Lutto per un palestinese. Egli fu dietro le quinte degli infiniti negoziati che hanno caratterizzato il travagliato e fallimentare processo di pace israelo-palestinese, vivendo il suo momento di maggiore gloria nel 1993, quando vennero sottoscritti gli Accordi di Oslo, emblematizzati dalla storica stretta di mano alla presenza del presidente statunitense Bill Clinton tra l’allora primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il presidente dell’Olp Yasser Arafat.

Erekat ebbe modo di svolgere un ruolo importante anche nei successivi negoziati che due anni dopo avrebbero condotto ai cosiddetti Accordi di Oslo 2, entrambi sicuramente giorni di speranza, destinati tuttavia a cedere ben presto il passo a una serie di sanguinosi episodi di conflittualità e di odio che, in diversa misura, si trascina tuttora.

È morto all’età di sessantacinque anni dopo un lungo ricovero in un ospedale israeliano, proprio il giorno precedente a quello del sedicesimo anniversario della scomparsa del suo capo Arafat.

Abu Mazen, ha proclamato tre giorni di lutto nazionale, disponendo che nei Territori le bandiere sventolino a mezz’asta.

Da Abu Dis all’Hadassah. Era nato ad Abu Dis, il sobborgo arabo nei pressi di Gerusalemme.  Negli anni Settanta si era poi trasferito negli Stati Uniti d’America per ragioni di studio, fase della sua esistenza che ha preceduto quella del suo impegno al fianco di Arafat, del quale fu uno dei principali consiglieri, quindi di Abu Mazen alla morte del rais.

Esponente del Fatah, sostenne sempre la soluzione dei due Stati quale strada maestra per giungere alla pace tra palestinesi e israeliani.

Il suo lavoro all’interno del gruppo dirigente formatosi attorno ad Arafat ebbe inizio nel 1991, quando assunse l’incarico di vice capo della delegazione palestinese alla Conferenza di Madrid, impegnandosi in seguito nelle trattative che portarono alla firma dello storico accordo nella capitale norvegese.

Nel 1994, fase di intense trattive, fu allo stesso tempo ministro dell’Autorità nazionale palestinese e capo negoziatore, poi, nel 1996, membro del Consiglio legislativo palestinese, una carica che avrebbe rivestito fino a oggi.

I contrasti con Israele. Sempre al fianco delle leadership palestinesi, visse i turbolenti periodi della prima e della seconda Intifada, caratterizzate da violenti disordini, repressioni israeliane e attentati suicidi compiuti dagli shuhada. In molte occasioni non mancò di condannare Tel Aviv per le azioni commesse dall’esercito israeliano nei confronti della popolazione di Cisgiordania e della striscia di Gaza, pur continuando a partecipare alle principali conferenze di pace sulla Palestina e il Medio Oriente.

Così come, in questi ultimi mesi della sua vita, si oppose al piano di pace promosso dal presidente statunitense Trump e dal genero di quest’ultimo, suo ascoltato consigliere per le questioni mediorientali, Jared Kushner, piano che incontrò l’approvazione del primo ministro israeliano Netanyahu.

Quello che è stato ribattezzato l’Accordo del secolo per i palestinesi, sempre più isolati nello scenario internazionale, venne al contrario considerato «una provocazione», al punto da spingerlo assieme alla classe dirigente del Fatah, sempre meno influente nella stessa Cisgiordania, a cercare la rottura dei rapporti con lo Stato ebraico.

I limiti del negoziatore. È stato sempre considerato lo storico negoziatore palestinese che fu tra gli artefici degli Accordi di Oslo, ma in realtà la sua figura andrebbe ridimensionata, poiché, seppure sia stato un intelligente diplomatico, dovette quasi sempre fare riferimento a un livello decisionale superiore del quale non faceva parte.

Altri elementi di vertice in seno al Fatah avevano un potere maggiore di lui e con essi Erekat non sempre in linea. E poi lui, a differenza di leader come Jibril Rajoub o Mohammed Dahlan ad esempio, non godeva del sostegno di una componente militare interna all’Olp.

In ogni caso, Erekat fu importante in quanto capace ed esperto diplomatico e per le sue buone relazioni con gli israeliani, tuttavia privo di una base che lo sostenesse in seno al comitato centrale del Fatah.

Tanti i messaggi di cordoglio, incluso quello di Hamas. «La morte del fratello e amico, il grande combattente Saeb Erekat è una grande perdita per la Palestina e per il nostro popolo», queste le parole pronunciate da Mahmoud Abbas, che ha poi aggiunto di «provare un profondo dolore per la sua perdita, specialmente alla luce di queste difficili circostanze che deve affrontare la causa palestinese».  Egli ha poi concluso affermando che «Il nostro popolo ricorderà il giusto figlio della Palestina che era in prima linea per difendere le cause della sua patria e del suo popolo nei campi del lavoro e della lotta nazionale e nell’arena internazionale».

Anche il “grande avversario” Hamas, alla fine ha fatto pervenire al presidente Mahmoud Abbas le proprie condoglianze per la scomparsa di Erekat. In una telefonata, il leader dell’organizzazione islamista palestinese al potere nella striscia di Gaza, Ismail Haniyeh, ha dichiarato che «Erekat era un vero patriota che ha difeso i diritti del popolo palestinese e della sua giusta causa», aggiungendo che è stato «un figlio sincero della Palestina e un leale combattente per la libertà e l’indipendenza»

Da Israele numerosi messaggi di cordoglio, il primo del quale è giunto mediante un tweet dall’ex ministro degli esteri Tzipi Livni. «Sono triste per la morte di Saeb Erekat – ha ella dichiarato -, Saeb ha dedicato la sua vita al suo popolo. Usava dire che “ottenere la pace è il mio destino”. Da malato mi aveva mandato un messaggio: “Non ho finito quello per cui sono nato”. Le mie più profonde condoglianze ai palestinesi e alla sua famiglia. Mancherà».

E cosi, con la morte dello storico negoziatore palestinese se ne va un altro pezzo della vecchia guardia del Fatah, un mondo che non c’è

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