STAMPA, giornalisti nel mirino. Trentacinque anni fa la camorra assassinava Giancarlo Siani, giovane cronista de “Il Mattino”

Il suo barbaro assassinio permane un monito riguardo all’importanza della libertà di espressione e di stampa. Con Giuseppe Giulietti, presidente della FNSI, abbiamo ricordato il cronista ucciso attualizzando l’esempio di quell’inviato in una “terra di frontiera” distante soltanto poche decine di minuti di macchina dal centro di Napoli

Accadde esattamente trentacinque anni fa, al quartiere napoletano del Vomero in una calda serata settembrina, quando in piazza Leonardo due killer si avvicinarono alle spalle della Citroën Mehari verde di Giancarlo Siani e spararono a bruciapelo alla schiena del ragazzo, che morì colpito da due proiettili.

Assassinio di un giornalista. Siani era un giornalista coraggioso e impegnato che collaborava con lo storico quotidiano locale, “Il Mattino”. Era corrispondente da Torre Annunziata e dalla Vesuviana, una zona di frontiera che, al pari del resto della città di Napoli e del suo hinterland, si caratterizzava per la presenza attiva della criminalità organizzata.

Egli vi si recava continuamente, al punto da divenirne un profondo conoscitore, con una padronanza degli equilibri scaturiti tra i clan camorristici a seguito della sanguinosa guerra combattuta negli anni precedenti dalla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo contro la Nuova famiglia, il cartello criminale uscito vincitore.

Siani seguiva dappresso e attentamente le dinamiche in atto, registrando meticolosamente ogni segnale di trasformazione ai vertici dei clan o nella geografia del controllo del territorio.

Nel condurre le sue inchieste entrò nel “quadrilatero delle carceri” di Torre Annunziata, il “fortino” dei Gionta, un clan il cui potere in quel momento era in forte crescita malgrado il suo capo, Valentino Gionta, allora fosse latitante.

Il cerchio stretto attorno al super boss. La cosiddetta strage di Sant’Alessandro segnò poi un punto di non ritorno. Fu un’azione perpetrata al circolo dei pescatori di Torre Annunziata il 26 agosto 1984 da un poderoso commando formato da quattordici killer, giunti sul posto a bordo di un autobus rubato alcuni mesi prima a Scalea.

Era successo che, una volta eliminati tutti i cutoliani, Valentino Gionta aveva diretto il tiro contro i Bardellino, suoi rivali nella zona. Egli poté così controllare sia i traffici illeciti miliardari, sia le importanti attività economiche locali, a partire dal mercato ittico, stabilendo inoltre contati con la mafia siciliana, liason che gli permise di organizzare il contrabbando di sigarette e il traffico di droga via nave.

Un personaggio di tale caratura divenne però ben presto ingombrante, suscitando la reazione dei clan avversari.

I suoi stessi sodali temettero che potesse essere scaricato da chi in quel momento lo stava proteggendo, venendo ucciso oppure arrestato dalle forze dell’ordine che lo ricercavano.

Quando questo accadde, egli si trovava a Marano, una zona di influenza del clan Nuvoletta, all’interno della quale quindi si sentiva al sicuro, ignaro del fatto – ma lo si sarebbe saputo anni dopo in seguito alle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di Giustizia – che su quel clan i Bardellino avevano esercitato fortissime pressioni allo scopo di indurlo a mettere definitivamente fuori gioco il potente boss avversario.

L’articolo e la condanna a morte. Un evento del genere, che andò a incidere radicalmente sui preesistenti, seppur precari, equilibri del crimine organizzato della Vesuviana, non sfuggì all’occhio attento di un cronista analitico quale era Giancarlo Siani, da tempo impegnato nella ricostruzione dettagliata di tutte quelle dinamiche, che poi trasponeva in una serie di articoli di stampa pubblicati dal giornale per il quale lavorava. Nomi, fatti e storie in grado di fornire all’opinione pubblica un lucido e fedele quadro di insieme della realtà criminale di quella terra.

Con riferimento alla specifica vicenda della cattura di Gionta, il 10 giugno del 1985 su “Il Mattino” scrisse che il super boss era divenuto un personaggio scomodo, poiché la sua cattura poteva essere stata «il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan della Nuova famiglia, i Bardellino».

Non glielo perdonarono e decisero di ucciderlo.

Parole di circostanza e affermazioni sibilline. Dopo il suo assassinio si ascoltarono le consuete parole di circostanza che vengono  pronunciate in questi casi. In tael esercizio di retorica, qualcuno del suo stesso giornale si distinse in maniera particolare per lo squallore, giungendo ad affermare che «forse a Siani si sarebbe dovuta consigliare una maggiore cautela», un’affermazione che venne letta come un sibillino postumo invito all’autocensura.

Sul fronte delle indagini da quei primi momenti (e per alcuni anni) la magistratura non funzionò ottimamente, quello era il periodo nel quale a Palazzo di Giustizia il Procuratore capo della Repubblica era il dottor Francesco Cedrangolo, lo stesso del caso Tortora.

Quattro giorni dopo l’assassinio del giornalista venne arrestato Alfonso Aniello, persona subito indicata dall’Ufficio istruzione come uno degli esecutori materiali dell’omicidio, ma poi, dopo dieci giorni di detenzione, scarcerata in quanto palesemente innocente.

Evidentemente si correva il rischio concreto di arrestare chiunque, pur di dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole. In seguito la prolungata stasi nelle indagini sarebbe durata interrottamente per anni.

Attualità di un esempio. L’esempio del sacrificio di Giancarlo Siani risulta oltremodo attuale anche oggi, a trentacinque anni di distanza dalla sua prematura e violenta scomparsa, questo perché in Italia sempre più giornalisti sono oggetto di minaccia da parte della criminalità organizzata o di gruppi che praticano la violenza come strumento di azione politica.

Nel ricordare un collega barbaramente ucciso dalla camorra, oltre a ripercorrere sinteticamente i fatti che portarono alla sua morte, insidertrend.it. ha voluto anche stimolare una riflessione nell’opinione pubblica sull’importanza fondamentale di un bene quale la libera informazione. Lo ha fatto raccogliendo l’appello-denuncia lanciato da Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), la cui intervista è possibile ascoltare di seguito in formato audio.

A265 – STAMPA, GIORNALISTI NEL MIRINO: 35 ANNI FA LA CAMORRA ASSASSINAVA GIANCARLO SIANI. Il suo barbaro omicidio permane tuttora un monito sull’importanza della libertà di espressione e di stampa.

Con GIUSEPPE GIULIETTI, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, abbiamo ricordato il giovane cronista de “Il Mattino” inviato nella zona della Vesuviana, una “terra di frontiera” distante poche decine di minuti di macchina dal centro di Napoli.

Infatti, l’esempio del sacrificio di Giancarlo Siani risulta oltremodo attuale anche oggi, a trentacinque anni di distanza dalla sua prematura e violenta scomparsa, questo perché in Italia sempre più giornalisti sono oggetto di minaccia da parte della criminalità organizzata o di gruppi che praticano la violenza come strumento di azione politica.

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